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Il report Onu sul clima e il rischio di un flop colossale

Non sarà facile fermare la temperatura “entro i 2 gradi”, come hanno concordato i grandi della Terra in ogni conferenza mondiale, e nemmeno avviare le transizioni energetiche green promesse. Nella trincea del carbone e dei fossili ci sono troppi paesi. La pandemia e ora l’aggressione in Ucraina ritarderanno giocoforza le azioni concrete, mentre i report scientifici citati dall’Ipcc sono sempre più drammatici e da “codice rosso per l’umanità”

L’orizzonte temuto è il “flop colossale”, con deep impact molto più gravi rispetto a quelli finora stimati. “Questo rapporto – sottolinea con parole durissime il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres – è il più importante nella storia dell’IPCC, quello che ci mette di fronte alle nostre responsabilità. La popolazione del Pianeta è colpita duramente e gli ecosistemi sono già adesso a un punto di non ritorno. È fondamentale rispettare il taglio delle emissioni del 45% entro il 2030 e arrivare al net zero entro il 2050, ogni altro atteggiamento è criminale. Ma più che rallentare i fossili è importante ora aumentare la produzione di energia verde”.

Hanno messo ancora nero su bianco la crisi climatica i duemila scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, la task force indipendente di 2000 scienziati dei maggiori centri di ricerca di 195 Paesi istituito dalle Nazioni Unite nel 1988 per valutare l’evolversi del clima a livello globale, con anche i nostri climatologi del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. E il loro secondo volume del sesto report su “Impacts, Adaptation and Vulnerability”, sull’interdipendenza tra clima, biodiversità e persone, va al sodo con “un terribile avvertimento sulle conseguenze dell’inazione”, e il presidente Hoesung Lee lancia l’ennesimo alert per vite umane, biodiversità, infrastrutture e aree urbane soprattutto costiere: “È urgente un’azione immediata e più ambiziosa per affrontare i rischi climatici. Le mezze misure non sono più una possibilità”.

Il Pianeta, spiegano, si avvia verso il superamento netto del riscaldamento globale di 1,5°C., e la finestra temporale per agire è sempre più stretta. Avvicinandosi ai 2 gradi, in alcune regioni, resistere a quelle temperature sarà impossibile, e nei prossimi due decenni il mondo affronterà molteplici e contemporanei campi di battaglia climatica, con ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali irreversibili. L’insieme di dati e grafici racconta che l’aumento previsto di ondate di calore con incendi furiosi e siccità estreme, città devastate da alluvioni-lampo, desertificazione e carestie, maree e aumento del livello dei mari, sta già superando le soglie di tolleranza della vita biologica su diverse aree della Terra, causando “mortalità di massa in alcune specie di alberi e coralli”.

Gli eventi meteo estremi simultanei causano effetti a cascata che saranno sempre più difficili da gestire, e “milioni di persone sono esposti a grave insicurezza alimentare e idrica, soprattutto in Africa, Asia, America centrale e meridionale, nelle piccole isole e nell’Artico”. Le valutazioni scientifiche sul breve termine (fino al 2040), sul medio termine (2041-2060) e sul lungo termine (2081-2100) mettono in evidenza i troppi rischi per le giovani generazioni che avranno 80 anni nel 2100. La percentuale della popolazione esposta agli stress da calore è oggi del 30%, ma arriverà al 76% per quella data. Da 800 milioni a 3 miliardi di persone subiranno scarsità dell’acqua con un riscaldamento di 2 °C, ma se si arriva a 4 °C diventeranno 4 miliardi. E la fame toccherà fino 80 milioni di persone, concentrate soprattutto nell’Africa sub-sahariana, nell’Asia meridionale e in Centro America. Alcune zone diventeranno inabitabili perché stiamo perdendo spazi vitali per le specie e anche per noi umani, a causa della pressione sugli ecosistemi, la distruzione degli ambienti, la riduzione della biodiversità.

Non sarà facile fermare la temperatura “entro i 2 gradi”, come hanno concordato i grandi della Terra in ogni conferenza mondiale sul clima, e nemmeno avviare le transizioni energetiche green promesse con l’obiettivo di zero emissioni killer dell’atmosfera nel 2050. Nella trincea del carbone e dei fossili ci sono troppi paesi del mondo così come in quelle del gas e del petrolio. La durissima lezione degli effetti della pandemia e ora l’aggressione in Ucraina scatenata da Putin ritarderanno poi giocoforza le azioni concrete, e sarà difficile evitare il plateale flop che si prospetta mentre sono sempre più drammatici e da “codice rosso per l’umanità” i report scientifici. Le emissioni di gas serra dovute alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta, e possono mettere a rischio  a fine secolo tra i 3 e i 4 miliardi di persone. Non è più “crisi climatica” ma “emergenza climatica” con l’unico spiraglio realistico e possibile di riuscire a tenere assolutamente il livello sotto i 2°C con riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni nei prossimi 20 anni, altrimenti anche i 3°C saranno probabili e forse saliremo verso i catastrofici più 4 o 5°.

Non c’è terrestre ad ogni latitudine che non sappia che la temperatura media della Terra sta toccando vette a noi  umani sconosciute. E non c’è scienziato ad ogni latitudine che non ammetta che tutti i principali indicatori degli ecosistemi terrestri – atmosfera, oceani, ghiacci – mutano a velocità mai osservate, a partire dall’innalzamento del livello del mare con un più 20 centimetri nell’ultimo secolo, un’accelerazione più che doppia negli ultimi 10 anni ma che caratterizzerà tutto il XXI secolo con inondazioni costiere nelle aree basse, direttamente proporzionale allo scioglimento dei ghiacci e all’aumento di temperatura media globale. Nel decennio 2011-2020 la temperatura è stata di 1,09 °C superiore a quella del periodo 1850-1900. Mai così rapido l’aumento da 200 anni, e mai così elevata da 6.500 anni. E le catastrofi climatiche non sono mai state così frequenti e con vittime e danni gravissimi in tutti i continenti per ondate di calore, siccità prolungate, furiosi incendi e tifoni, cicloni e alluvioni con il corredo di frane nel 90% delle aree mondiali. Con un riscaldamento globale più alto a 2°C, le proiezioni climatiche sono inequivocabili: si faranno più critiche le condizioni per l’acqua e per l’agricoltura nelle regioni più povere del pianeta.

L’attuale ritmo di immissione di gas killer in atmosfera continua però senza freni, e gli scienziati mettono in guardia il mondo perché le nuove stime sono pessimiste. Fermarci in tempo è possibile, ma senza misure immediate e da adottare già oggi, intorno al 2030, una decina di anni prima del previsto, avremo un aumento “senza precedenti di eventi meteorologici estremi” e la temperatura salirà anche di 2,7 gradi centigradi, quasi doppiando la soglia-Maginot “sotto i 2 gradi” sulla quale sei anni fa si attestarono i 195 potenti della Terra firmando il 12 dicembre 2015 l’accordo di Parigi. Il tipping point delle quantità di carbonio sparate in atmosfera sta per essere raggiunto e forse superato, e l’unica chance per ridurre i rischi presenti e futuri è impegnarsi seriamente a raggiungere la “neutralità carbonica” – CO2 emessa pari a quella assorbita -, nel 2050. Perché l’evoluzione di tutti gli indicatori climatici è più veloce dei modelli previsionali, e la spaventosa realtà fa definire gli effetti meteo-climatici dall’IPCC come “inevitabili e irreversibili…molti senza precedenti in centinaia di migliaia di anni”.

Cosa fare? Servono azioni “ambiziose e accelerate” per adattarsi al climate change e per ridurre rapidamente le emissioni di gas serra. Ma ad oggi, spiega l’IPCC, “è sempre più ampio il divario tra le azioni e ciò che è necessario fare ed è maggiormente accentuato tra le popolazioni a basso reddito”. Per il co-presidente del gruppo di lavoro dell’IPCC Debra Roberts mancano gli impegni concreti a “ripristinare gli ecosistemi degradati, per conservare efficacemente il 30-50% degli habitat terrestri, d’acqua dolce e marini, ma sono essenziali finanziamenti adeguati e coinvolgere governi, settore privato, società civile”. Serve invece far crescere lavoro ed economie green, sostenute anche dai clamorosi pacchetti finanziari climatici, come anche dal nostro Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Tutto spinge a rinnovare settori industriali ed energetici e sistemi di mobilità. Decarbonizzazione, difese e adattamento al dissesto climatico fanno rima anche con business per migliaia di nostre aziende che sono in grado di rispondere alle richieste di prodotti e soluzioni per contrastare le nostre due grandi crisi: climatica e socio-economica.

Va fatto nelle città che, ammoniscono gli scienziati, sono e saranno hotspot di rischi, ma sono anche parte cruciale della soluzione. Nelle città vive più della metà della popolazione mondiale, e la salute, la vita, le proprietà immobiliari e le infrastrutture critiche, tra cui i sistemi energetici e di trasporto, sono sempre più colpiti da ondate di calore, tempeste, siccità e inondazioni, e dai cambiamenti a insorgenza lenta come l’innalzamento del livello del mare. Le città offrono opportunità di finanziamenti, trasferimento di tecnologia, partnership per  efficaci adattamenti e riduzioni delle emissioni con  molteplici azioni: edifici verdi, gestione sostenibile dell’acqua potabile, fornitura di energia rinnovabile, sistemi di trasporto non energivori.

Nei capitoli sulle aree geografiche del globo il report individua criticità, meccanismi di adattamento di ogni regione, valutazioni economiche, stime della riduzione del prodotto interno lordo, costi e indicazioni sui danni, produzione di cibo e insorgenza di malattie. E le possibilità di adattarsi, a seconda del grado di riscaldamento e i rischi che ormai non si possono evitare, come spiega Antonio Navarra, il climatologo presidente del Centro Euromediterraneo per i cambiamenti climatici e focal point italiano dell’IPCC: “L’area mediterranea tende a scaldarsi più della media, con una netta riduzione delle precipitazioni e un aumento dell’aridità estrema. La regione Mediterranea si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi maggiormente della media globale, particolarmente in estate. Questo vale sia per l’ambiente terrestre che per quello marino, sia per le temperature medie che per le ondate di calore. Diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell’aumento dell’evapotraspirazione. Allo stesso tempo in alcune aree le precipitazioni estreme aumenteranno”.

Gli scienziati italiani identificano quattro categorie a rischio per l’Europa: le ondate di calore con numero di decessi e di persone a rischio raddoppiato o triplicato; la produzione agricola colpita da caldo e siccità; le risorse idriche sempre più scarse; l’aumento delle inondazioni.

Il rischio è glocal, globale ed è locale, ma prevalgono altre logiche, come le guerre di difesa dei confini nazionali a partire da quella Ucraina, le geo-strategie nazionalistiche, i conflitti regionali. Gli scienziati consigliano di guardare alla Terra come unica entità in un mondo interconnesso con una stretta dinamica di interazioni tra noi umani, le acque, le terre emerse e l’atmosfera, e nessuna soluzione è possibile se non supereremo i limiti dei punti di non ritorno.

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