Non risolve tutto, ma la riforma ha messo in moto il ritorno a meccanismi funzionanti di una democrazia liberale (che per natura procede in modo graduale). Che non intendono punire i magistrati ma colpire mentalità e pratiche giustizialiste che riducono la libertà nelle relazioni tra i cittadini. Il commento di Pietro Paganini e Raffaello Morelli, Competere
Può essere una svolta storica. Il Consiglio dei Ministri dell’11 febbraio ha deciso all’unanimità la riforma del sistema elettorale per il Csm e le nuove regole per la carriera dei magistrati entrati nelle liste elettorali oppure titolari di incarichi di governo nei ministeri, nelle regioni e negli organismi pubblici. Questa decisione si traduce ora in un emendamento alla legge sulla giustizia in corso di discussione in parlamento e dunque sarà quest’ultimo a decidere quando e in che termini diverrà davvero operativa.
Tuttavia va detto subito che quella del Consiglio dei Ministri è una svolta storica che fa riemergere nel settore della giustizia la politica di governare nell’interesse dei cittadini, dopo che per un trentennio hanno dominato le pulsioni giustizialiste, o per mentalità illiberale o per miopi convenienze comunicative attraverso i mezzi di comunicazione.
Stando ai testi varati ad oggi, il nuovo sistema elettorale del Csm (a partire dal rinnovo nel prossimo luglio) strappa l’organismo al correntismo strutturato secondo gruppi di potere ideologico; e la carriera dei magistrati non potrà più spostarsi a piacimento avanti ed indietro tra la funzione giurisdizionale e l’attività politica e di governo, né candidarsi dove nei tre anni precedenti erano state esercitate le funzioni, né essere insieme titolare di giurisdizione e titolare di incarichi elettivi o governativi. Ambedue le innovazioni sono cambiamenti che riportano il Csm e la magistratura alle funzioni originarie di tutela del cittadino.
Al di là delle limature tecniche che potranno essere poi fatte, in questa decisione del CdM sono in ballo due principi democratici importanti. Sulla questione del Csm, si punta ad evitare il più possibile il correntismo. Che non è un fatto tecnico, bensì il ripristino del ruolo di vigilanza sul funzionamento dell’ordine autonomo della magistratura. Che, in quanto definito odine autonomo dalla Costituzione, non può essere un centro di elaborazione politica, quasi una quarta camera sempre fremente per intervenire sul formarsi delle leggi, perfino in parlamento.
Sulla questione della carriera dei magistrati, introdurre il divieto dell’andare e venire a piacimento tra giurisdizione e politica è davvero una rivoluzione rispetto alla pratica invalsa da un trentennio del debordante potere assegnato all’ambiente dei magistrati nell’assumere decisioni di natura politica (al punto che, per avere supporto giuridico nell’attività di governo, la prassi è il ricorso ad ottenere un magistrato nel proprio gabinetto, quasi che nel campo del diritto non esistessero altre professionalità altrettanto e più istruite).
Un clima di sudditanza di cui tutti sono stati responsabili. I magistrati che lo attivano, i politici che lo praticano ossequiosi, i mezzi comunicazione che lo cavalcano esaltati e i cittadini che sopportano ogni violenza alla Costituzione. Il liberale Aldo Bozzi ammoniva già oltre cinquant’anni fa che “un Magistrato non solo deve essere imparziale, ma deve essere considerato tale”. Il magistrato che partecipa alle elezioni, che esercita funzioni di governo, che svolge incarichi societari, assume una connotazione che lo marchia e che gli impedisce il venir considerato imparziale.
In più, le due prassi rimosse dall’attuale delibera del CdM, si sostenevano a vicenda, originando e rafforzando i privilegi di una vera e propria casta di potere (ad esempio le nomine del Csm fatte a pacchetto per facilitare la spartizione), che non era estesa a tutti i magistrati in servizio ma che restava determinante nel darne un’immagine distorta presso i cittadini (i quali, seppure in ritardo, non hanno più la fiducia nella magistratura che sarebbe opportuna) e nel tessere reti di sostegno ai magistrati in vari ambienti a cominciare dai mezzi di comunicazione (non a caso la decisione del Csm ha indotto alcune testate di punta a sminuirne il rilievo tentando di suscitare polemiche strumentali inesistenti). Dunque aver rimosso quelle prassi è un punto di partenza costruttivo.
Avendo avuto la tenace determinazione per decidere – riprendendo in sostanza l’impianto del Ministro Guardasigilli precedente – il Governo ha completato, dopo le riforme del Processo Penale e del Processo Civile, la fase urgente degli interventi nel settore Giustizia. Non è tutto né sono definitivi gli assetti (esistono già diverse questioni su cui continueranno le battaglie, quali la separazione delle carriere), ma intanto si è messo in moto il ritorno a meccanismi funzionanti di una democrazia liberale (che per natura procede in modo graduale).
Meccanismi che non intendono punire le toghe – come invece sostiene l’Associazione Magistrati – ma sono concepiti per non tollerare mentalità e pratiche giustizialiste che riducono se non affossano la libertà nelle relazioni tra i cittadini (meccanismi all’opposto del solito Renzi che neppure capisce la estraneità alla democrazia liberale del sostituire il processo con il fare una querela penale a un Pm perché ha chiesto di rinviarlo a giudizio, anche se sbagliasse).
L’auspicio è che anche le Camere – visto che il Governo non porrà la questione di fiducia – abbiano la medesima determinazione del Governo e che, dopo aver applaudito frenetiche il discorso di Mattarella, ne applichino le indicazioni in tema di giustizia. Presto e bene.