Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Contro il terrorismo nel Sahel serve una controffensiva economica

Di Andrea Sperini

La capacità di azione delle organizzazioni jihadiste nella regione passa dall’inclusione nei traffici illeciti delle giovani generazioni. Così il contrasto passa anche attraverso la realizzazione di un sistema economico alternativo, localizzato e interconnesso. L’analisi di Andrea Sperini, ricercatore in materia di geopolitica della sicurezza e terrorismo

A partire dal 2007 i gruppi terroristici di ispirazione qaedista operanti nella regione del Sahel si sono progressivamente definiti come influenti attori geopolitici che, rimodulando il proprio approccio tattico e strategico, sono riusciti a condizionare l’agenda della comunità internazionale.

Oggi, a distanza di 15 anni, bisogna necessariamente prendere atto di un avvenuto mutamento delle manifestazioni del jihad che nel Sahel ha assunto la forma di un terrorismo ibrido, evidenziando la capacità di agire in modo fluido e strategico negli spazi geografici, economici e sociali dell’intera regione.

Il volano di questo processo è senza dubbio rappresentato da una inedita capacità di gestione economica delle risorse consentendo alle organizzazioni/gruppi jihadisti di passare dal ruolo di “prestatori di servizi”, per conto del crimine transnazionale, a diretti gestori di parte del mercato illecito dai caratteri sistemici e funzionali.

Presenza sul territorio e capacità economica; un binomio che ha consentito al terrorismo sistemico di stabilire una minima governance e di godere di un certo grado di legittimazione proveniente dalle comunità locali assoggettate all’ economia jihadista attraverso questa logica inclusiva; questo consente ai locali di soddisfare i bisogni primari, ben rappresentati dalla piramide di Maslow, e all’organizzazione terroristica di stabilizzare la propria influenza nell’area.

Appare evidente come la variabile economica si ponga, dunque, alla base di un progressivo processo di socializzazione primaria, momento propedeutico che consente ai jihadisti di rimodulare l’assetto culturale di interi spazi.

Non si è ancora presa piena coscienza del fatto che è proprio la declinazione di questa variabile nello spazio sociale e geografico a disegnare i nuovi scenari.

La federazione jihadista legata ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico in tal senso è divenuta un modello replicabile; e lo è anche per Stato Islamico della provincia dell’Africa occidentale che, un’attenta lettura, ha già fornito chiari indizi circa la propria mission di medio-lungo periodo che lo vede impegnato proprio nel cercare di definire un ciclo economico da governare, e che gli consenta di guardare oltre l’attuale sfera ingerenza. Un chiaro segnale di come la minaccia terroristica stia cercando di evolversi secondo i caratteri di un sistema parallelo, strutturato, anche in altre aree del continente africano.

Sulla base di quanto sopra descritto appare evidente come la strategia di contrasto a detti fenomeni debba necessariamente essere rimodulata attribuendo alla controffensiva economica un ruolo irrinunciabile e di primaria importanza.

Strutturare capacità economiche localizzate che interessino le singole comunità, per poi farle interagire mettendole a sistema, rappresenterebbe il punto di origine di quel lunghissimo processo di resilienza tanto auspicato. Nello specifico, questa progettualità si tradurrebbe in un input economico semplice e direttamente applicato alle realtà locali più critiche; il carattere diffuso e la capacità di interconnessione funzionale, sarebbero gli elementi strutturali che non solo favorirebbero la creazione di un mercato regionale alternativo al ciclo economico jihadista, ma anche il progressivo sviluppo delle relazioni sociali.

Per inciso, un altro aspetto di forza del jihadismo sistemico risiede proprio nella capacità di infiltrare le contrapposizioni dei locali.

Da dove iniziare? Appare opportuno uno scatto in avanti con l’intento di interessare in via prioritaria le realtà sociali poste sulle direttrice di espansione jihadista e non ancora pienamente compromesse, evitando che la capacità economica del terrorismo possa intercettare i bisogni di quelle aree. L’agire in modo strutturato e massivo per impiantare nella regione del Sahel un modello economico localizzato, che sia alternativo al ciclo funzionale legato al jihad rappresenta certamente un progetto ambizioso; il fatto che questo si debba sviluppare progressivamente, e quasi contestualmente, secondo logiche di azione orizzontali (interdipendenza dei diversi progetti economici definiti su scala locale) e verticali (dalle realtà locali alle realtà realtà provinciali/statuali) rappresenta una dinamica non consueta in un piano strategico che deve interessare grandi spazi.

È, tuttavia, una sorta di pensiero laterale che potrebbe contribuire ad arginare quel “grande gioco” del jihad che sta rimodulando gli assetti culturali di un’intera regione.

×

Iscriviti alla newsletter