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Salvini, Meloni e i travagli del centrodestra. La bussola di Ocone

Il problema grosso tra i due leader del centrodestra nascerà con la scelta dei nomi dei sindaci per le elezioni amministrative primaverili. Salvini ha fatto sapere che presto incontrerà Meloni per sceglierli insieme. Tutto però sta a capire con che intento ci si vedrà. La rubrica di Corrado Ocone

La razionalità politica non coincide con quella formale, ma pure esiste. Se non sempre la via per raggiungere un obiettivo è in politica la più corta, è pur vero che degli obiettivi dovrebbero esserci e dovrebbero essere potenzialmente vincenti.

Generano perciò molte perplessità, fra gli osservatori ma immagino anche fra i cittadini, certi evidenti comportamenti masochistici del centrodestra. È chiaro che la collocazione di una parte del centrodestra all’opposizione e dell’altra parte al governo generi di per sé frizioni. Ma è pur vero che queste dovrebbero essere superate per cominciare a costruire una futura maggioranza di governo, e prima ancora per vincere le lezioni. Ora, è proprio questa volontà che sembra mancare, in verità soprattutto da parte del partito di Fratelli d’Italia, fra l’altro premiato da una politica di opposizione al governo che lo fa naturale ricettacolo di tutti gli umori protestatari e di tutti i disagi che percorrono in questo momento la società italiana.

Ma il consenso come si sa, soprattutto di questi tempi, è fugace, e in un battibaleno si può perdere quello che si è conquistato. E soprattutto ci si deve porre una domanda fondamentale: si vuole lavorare per governare, prima o poi, o si vuole fare una politica di testimonianza tenendo “in frigorifero” i voti conquistati come capita in Francia al partito di Marine Le Pen?

Giorgia Meloni ha detto che per la Destra c’è un problema di posizionamento politico da risolvere, che al contrario Matteo Salvini non vede. Giustamente, ad avviso chi scrive. Se Meloni allude al fatto che la Lega è al governo con forze a lei culturalmente e politicamente opposte, dice una cosa vera ma non può dedurne che per coerenza politica il partito di Salvini debba prendere armi e bagagli e passare all’opposizione. Si dimentica, se si chiede questo, che il governo attuale è atipico e di emergenza, di necessaria unità di forze diverse se non opposte, “senza formula politica” come ha fu espressamente richiesto al momento della sua nascita, un anno fa, dal Capo dello Stato.

Ora, il problema grosso nascerà con la scelta dei nomi dei sindaci per le elezioni amministrative primaverili. Il leader della Lega ha fatto sapere che presto incontrerà Meloni per sceglierli insieme. Tutto però sta a capire con che intento ci si vedrà: se con quello di scegliere il miglior nome possibile, cioè sulla carta vincente, per ogni singola località; oppure con quello di lottizzare al ribasso i posti disponibili. Che è quanto è avvenuto nelle elezioni amministrative di qualche mese fa con il risultato finale di una clamorosa, totale e senza appello, débacle di tutta la coalizione. Persino il tema referendario, che sulla carta potrebbe essere un momento di coesione e rilancio della coalizione, sta muovendo i primi passi nel modo sbagliato, cioè teso a disunire ulteriormente il fronte del centrodestra.

È paradossale, per certi aspetti, anche in questo caso, la scelta di Fratelli d’Italia di appoggiare solo tre dei cinque referendum approvati dalla Corte Costituzionale: lo è nei contenuti perché tutti fanno parte di un pacchetto unitario e organico di stampo garantista; e lo è politicamente. Quale altro tema, infatti, se non quello, diciamo così, della “giustizia giusta” è identitario per un centrodestra politico che proprio da una “giustizia ingiusta”, e diciamo pure politicizzata, è stato danneggiato e impossibilitato ad operare negli ultimi trent’anni?

Certo, l’idea geniale di affidare al popolo sovrano la parola dopo l’evidente impasse parlamentare e anche governativa (la riforma Cartabia è dopo tutto timidissima), è stata di Salvini. Ma può una leader come Meloni non vedere che il raggiungimento del quorum e una vittoria del sì sarebbe una vittoria dell’intero centrodestra, e un’occasione di rilancio di tutta la coalizione?

Probabilmente se a destra non si comincia ad andare oltre il piccolo cabotaggio, se non si ricomincia a ragionare in grande, a perdere non sarà solo un leader ma tutti quanti. E, nella fattispecie del problema giustizia, a perdere sarà tutto il Paese, a cui gli sarà ancora una volta preclusa la possibilità di dotarsi un ordinamento giudiziario moderno e equo improntato ai valori della civiltà liberale.

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