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Sanzioni russe, che fare? Luci e ombre di un’arma a doppio taglio

Sanzionare chi, come, quando? Mentre l’Europa si arrovella su come fermare Putin in Ucraina si torna a parlare dello strumento più usato per fermare le guerre. Che non sempre funziona, e può diventare un boomerang. L’opinione di Giuseppe Pennisi

Il conflitto militare tra Federazione Russa e Ucraina potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Stati ed Unione europea (Ue) vogliono aiutare Keiv a mantenere la propria indipendenza ma non sono disposti ad intervenire militarmente nel timore che il conflitto potrebbe diventare mondiale, ed anche nucleare. La strada scelta è quella delle sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa.

Sanzioni, inoltre, da modulare con cura in quanto diversi Paesi europei, Repubblica Federale Tedesca in primo luogo, dipendono dall’ approvvigionamento di gas russo. Tutti, poi, temono un ulteriore aumento del prezzo del petrolio, che accentuerebbe le tensioni inflazionistiche già in atto. 

Non tutti sono convinti che le sanzioni economiche evitino le guerre o contribuiscano alla vittoria. In Italia, opera da tempo un’associazione – AWOS (A World without Sanctions . Un mondo senza sanzioni) – che pubblica un elegante quadrimestrale – Geotrade, diretto da Paolo Quercia, docente all’Università di Perugia – che documenta con analisi e commenti come sovente le sanzioni economiche portino ad obiettivi opposti rispetto a quelli che ci si era proposti.

Un contributo importante è stato appena pubblicato negli Stati Uniti. la prima storia organica delle sanzioni : The Economic Weapon- The rise of sanctions as a tool of modern war Yale University Press, 2022. Ne è autore Nicholas Mulder, un giovane professore di storia contemporanea della Università di Cornell. Il volume (450 pagine a stampa fitta) ha ricevuto recensione entusiaste dal Wall Street Journal, da Foreign Affairs e da The Economist. Si può acquistare come E-Book tramite Mondadori. Vale la pena leggerlo perché è la prima storia internazionale dell’emergere di sanzioni economiche durante il periodo tra le due guerre mondiale e le lezioni che se ne possono apprendere.

In breve, il volume documenta che le sanzioni economiche dominano il panorama della politica mondiale di oggi. Sviluppati per la prima volta all’inizio del ventesimo secolo come un modo per sfruttare i flussi della prima globalizzazione e difendere l’internazionalismo liberale, dovrebbero funzionano come un’alternativa alla guerra. Questa visione, tuttavia, ignora il loro oscuro paradosso: progettate per prevenire la guerra, le sanzioni economiche sono modellate su tecniche devastanti di guerra.

Tracciando l’uso delle sanzioni economiche dai blocchi della prima guerra mondiale al controllo degli imperi coloniali e al confronto tra le due guerre, Nicholas Mulder utilizza un’ampia ricerca d’archivio in una storia politica, economica, legale e militare che rivela come uno strumento coercitivo in tempo di guerra sia stato adottato come strumento di mantenimento della pace dalla Società delle Nazioni. Questo studio tempestivo getta una luce in ritardo sul perché le sanzioni sono ampiamente considerate una forma di guerra e perché le loro conseguenze non intenzionali possono essere imprevedibili e costose per tutti.

Negli anni tra le due guerre mondiali, li situazione economica internazionale era radicalmente cambiata rispetto alla belle èpoque che aveva preceduto il primo conflitto mondiale: la grande depressione aveva portato molti Governi sulla strada del protezionismo; la prima globalizzazione si era frantumata, il commercio mondiale diminuiva, il nazionalismo autoritario cresceva. Come ha scritto John M. Keynes in The Economic Consequences of the Peace, le sanzioni applicate nei confronti dei Paesi che avevano perso la prima Guerra mondiale furono il fuoco che attizzò la seconda.

Non solo le sanzioni possono essere contro producenti, ma anche gli aiuti economici sembrano avere pochi effetti.  Mulder non lo dice –Vnon è parte della sua ricerca – ma la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) è esposta per 24 miliardi di euro nella Fedreazione russa, e per altri tre in Bielorussia, cioè più di quanto abbia mai prestato a tutti i paesi dell’Est ora membri della Nato e dell’Ue, e inoltre 50% in più di prestato all’Ucraina.


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