Skip to main content

Se l’onda russa può arrivare a Roma

Di Francesco Sisci

La mossa di Putin nel Donbas può diventare un boomerang sui consensi interni in una situazione di già grave instabilità. A dar manforte al presidente russo c’è un partito trasversale e trasnazionale che in Italia gira intorno ai palazzi del governo. Il commento di Francesco Sisci

Non è ancora guerra tradizionale, ma certo con spiegamento di forze, spari, lanci di missili, movimenti di truppe, crolli di Borsa, rincari dei prezzi siamo già nel pieno di una guerra asimmetrica, propria del 21° secolo.

Il presidente russo Vladimir Putin continua la sua politica di tensione, brinkmanship, ordinando ai soldati russi di entrare nelle zone già contese dagli indipendentisti russofoni dell’Ucraina. Quindi in realtà è una invasione in miniatura, il resto dello spiegamento delle forze armate sembra avere ancora una funzione di minaccia.

Nel suo discorso però, più ampiamente, il presidente russo nega la situazione politica che si è creata dopo il crollo dell’Urss. Gli Stati che sono emersi non hanno dignità tale, c’è solo la Russia, vera nazione con vera storia, che quindi deve riassorbire prima o poi gli altri “staterelli”.

Senza avere una idea delle sue intenzioni finali, le sue azioni e le sue parole sembrano mirate a cercare una via d’uscita onorevole da presentare all’interno. Non è chiaro quando e come ciò avverrà, se avverrà dopo tutto, ma certo appare una crisi simile a quella di Cuba, quando il leader sovietico Krusciov sfidò l’America nel 1962, esattamente 60 anni addietro, un intero ciclo dell’oroscopo cinese fa.

La crisi finì con un compromesso ma forse si dimentica anche che intorno al periodo si consumò anche la spaccatura con la Cina e subito dopo Krusciov cadde. Certo, le similitudini storiche vanno prese con le pinze. Krusciov era al potere da poco tempo. Putin guida Mosca da oltre vent’anni. La struttura del sistema sovietico era molto diversa da quella russa attuale. Però di simile con allora c’è il consolidamento o meno del potere a Mosca, allora con una agenda riformista oggi con una revanscista.

Ora Putin appare con le spalle al muro e senza nessuna buona soluzione davanti a lui.  Sembra che in effetti si agiti per cercare di strappare la rete nella quale si è infilato. Le alternative alla strategia della tensione sono peggiori: ritirarsi senza risultati è uno smacco, invadere è rischioso e comporta contraccolpi sociali che altre volte hanno rovesciato i regimi a Mosca.

Putin per una via di uscita ha bisogno di una sponda esterna, ma non è facile perché in America non ci si fida di lui, giusto o sbagliato che sia. Qui si apre la pagina con gli Stati uniti. Tutto l’impasse è un grande regalo inatteso e insperato all’America del presidente Joe Biden, all’opposto dalla crisi cubana di 60 anni fa che mise in difficoltà l’allora presidente Kennedy.

In Europa l’America è tornata protagonista politica e punto di riferimento di paesi della Ue che solo qualche settimana fa credevano che Washington fosse superflua. La Nato è uscita dalla tomba. La posizione americana in Asia si è rafforzata rassicurando gli alleati della sua presenza. La Cina è messa in guardia perché la Russia è avventurista e gli Usa fanno sul serio.

Nella stessa America, in attesa delle elezioni di midterm, Biden è l’uomo che finalmente dopo oltre vent’anni di sforzi inutili, è riuscito ad arginare Putin. Per fortuna, per ingegno o per un errore di calcolo di Putin stesso, Biden, sonnacchioso, gentile, educato, appare come la risposta che tanti in America e fuori aspettavano, pugno di ferro in guanto di velluto. Qui anche le differenze con la situazione di Putin.

Il presidente russo ha interesse a trovare una via d’uscita il prima possibile, per poter poi cercare di rattoppare la situazione a casa. Biden può “vincere”, mostrarsi forte sia che una soluzione venga trovata a presto sia che arrivi più tardi. Le agitazioni di Putin non fanno che rafforzare la centralità americana all’estero e all’interno.
Se tanti vogliono una soluzione, il diavolo come sempre è nei dettagli. Cosa Putin può volere per dichiarare vittoria e avere un’arma per lottare per sé stesso a casa?

Forse lo stazionamento di poche truppe nel Donbas potrebbe bastare se sarà accompagnato davvero a un ritiro delle truppe al confine ucraino. Naturalmente ciò non eliminerà le sanzioni che l’Occidente applicherà alla Russia né il rafforzamento della Nato o il consolidamento americano nel mondo. Ma potrebbe essere sufficiente per Putin?

Qui il punto non è in Ucraina ma ritorna agli equilibri a Mosca. Non è chiaro quanto grande e forte sia l’opposizione al presidente russo nelle sue strutture e di cosa abbia bisogno per sentirsi al sicuro. Putin pare infatti un’anatra zoppa, non è chiaro quando potrebbe inciampare e cosa potrebbe accadere nell’inciampo.
Essoo è il rischio più grande associato al fatto ormai chiaro che l’appeasement non funziona con lui, lo incoraggia semplicemente a nuove più fantastiche richieste.

Questo potrebbe essere ulteriore segno di grande debolezza interna. Il crollo dei titoli a Mosca, la minaccia dei sequestri dei beni e conti degli oligarchi russi all’estero mette gli interessi dell’aristocrazia putiniana oggettivamente contro quelli di Putin.

I due interessi possono saldarsi solo che l’aristocrazia crede che gli interessi si salderanno nel prossimo futuro e la scommessa putiniana pagherà con gli interessi. Ma questa prospettiva appare sempre più labile, man mano che si rafforza il fronte anti russo sull’Atlantico.

Bisogna quindi mantenere i nervi saldi e controllare la situazione minuto per minuto. In ciò l’America ha un altro vantaggio, ha visto con chiarezza quale era la vera situazione tra Russia e Ucraina da subito, diversamente da Germania e Francia che si erano illusi di poter contenere Putin con delle concessioni o che erano forviate da politiche energetiche mal concepite. Esse danno grande potere di leva a Mosca che usa tale potere senza scrupoli.

Questo di fatto crea la maggiore subordinazione politica in Europa. I leader europei non capiscono qual è la situazione globale, sbagliano nella valutazione e l’America ritorna centrale nella cosa che ha più valore: capire la realtà delle cose. Al di là di quale sarà la soluzione è la via d’uscita per il pasticcio attuale, Biden e la sua America oggi hanno bisogno di mantenere ferma questo valore centrale – la capacità di vedere le cose per quelle che sono, in un mondo coperto di propaganda e di desideri che si antepongono alla valutazione sulla realtà.

C’è una conseguenza europea. I Paesi della nuova Ue, Polonia, Baltici, Romania erano dall’inizio più lucidamente spaventati delle mosse russe. Tali valutazioni si sono rivelate accurate. Naturalmente tali Paesi non hanno la forza economica della “vecchia” Ue, ma la giusta valutazione politica comunque potrebbe dare loro più influenza nel prossimo futuro.

La coda italiana della vicenda potrebbe essere drammatica se non controllata. In parlamento e fuori c’è una minoranza rumorosa di un partito putiniano che ha sostenuto il governo di Mario Draghi. Questo oggi è chiaramente sconfitto, ma non ha smesso di esistere, e anzi in parte nega la sconfitta, a ragione o a torto. Questa frattura attraversa il parlamento e le forze che già per altre ragioni sono riottose nel governo.

Il governo in effetti appare quindi molto in bilico. Se non ci sarà un cambiamento di rotta forte nelle prossime ore, allineando tutta la maggioranza su una politica con la Russia, sul programma economico e sulle misure anti Covid, il governo Draghi non ha nei fatti la forza politica per andare avanti, al di là di ogni sostegno da parte del presidente Sergio Mattarella e di ogni voto in parlamento.



×

Iscriviti alla newsletter