La fine della storia era stata un miraggio di breve durata. Ma ci sbagliavamo nel prevedere che l’inizio di una nuova storia sarebbe stato caratterizzato da uno scontro tra l’Occidente e la Cina. Lo è stato da un’aggressione della Federazione Russa all’Occidente. Il commento di Giuseppe Pennisi
Nel numero 172 di Formiche mensile dello scorso autunno, ricordai che circa trenta anni fa, quasi in contemporanea con il crollo del muro di Berlino, il politologo nippo-americano Francis Fukuyama pubblicò il saggio “The End of History”, sul settimanale The National Review.
Era il nucleo di un libro che diventò un best seller quando nel 1992 venne pubblicato con il titolo “The End of History and the Last Man”. Fukuyama preconizzava che con il tracollo del comunismo e la vittoria della liberal-democrazia ci sarebbe stata la fine della storia, caratterizzata per decenni, ove non secoli, dal conflitto tra Occidente liberale ed Oriente totalitario in Europa (tale da avere ripercussioni in tutto il mondo). In risposta a “The End of History and the Last Man”, Samuel Huntington pubblicò, nel 1992, su Foreign Affairs il saggio “The Clash of Civilizations” destinato anche esso ad essere ampliato e a diventare un saggio di successo.
Fukuyama sosteneva che liberal democrazia, concorrenza ed economia di mercato ed integrazione economica internazionale erano le carte vincenti. Questo divenne, per anni, l’assunto della politica economica internazionale, e della politica estera, degli Stati Uniti con l’etichetta “esportare democrazia” e libero mercato. Huntington, invece, che le civilization hanno radici troppo profonde perché si possa avere una “coesistenza pacifica”.
In quell’articolo si sottolineava che si era lontani dalla fine della storia, a ragione di uno scontro sempre più palese tra Occidente e Cina, soprattutto dal punto di vista economico-commerciale e (da parte di Pechino) delle tradizioni e la “cultura” millenaria dell’autoritarismo cinese che mostrava ogni giorno la propria superiorità in termini di efficienza ed efficacia rispetto al liberalismo occidentale; la gestione della pandemia da Covid-19 ne sarebbe stata una delle tante numerose testimonianze.
Eravamo corretti nel sottolineare che la fine della storia era stata un miraggio di breve durata. Ma ci sbagliavamo nel prevedere che l’inizio di una nuova storia sarebbe stato caratterizzato da uno scontro tra l’Occidente e la Cina, non da un’aggressione della Federazione Russa all’Occidente.
Devo ammettere che conosco la letteratura e la musica russa, ma non parlo la lingua e i miei soggiorni in Russia sono stati unicamente due: il primo per andare al Festival delle Notti Bianche a San Pietroburgo nel 2006 e il secondo nel 2010 per una crociera di due settimane da San Pietroburgo a Mosca con soste in varie località turistiche. La prima volta fui colpito dalla “voglia matta” di diventare “occidentali” dei giovani che gestivano il piccolo albergo nei pressi del Teatro Mariinsky (dove si svolgeva il festival e il cui staff mi aveva indicato l’hotel). La “voglia” di Occidente era caratteristica anche della guida che avevamo ingaggiato per alcune mezze giornate per portarci in luoghi turistici a San Pietroburgo e nelle vicinanze; parlava un buon inglese mentre il marito, che faceva l’autista, era silente.
Differente l’atmosfera nella crociera del 2010. I turisti erano quasi esclusivamente italiani (con l’eccezione di un piccolo drappello di norvegesi). L’equipaggio era in gran misura russo. La sera c’era un piccolo intrattenimento: o film o musica russa suonata da un piccolo complesso. Faceva da “conduttore” un italiano che aveva vissuto gran parte della sua vita in Russia (e che quindi probabilmente pensava come un russo). Nelle sue presentazioni, trapelava un forte anti-comunismo (probabilmente recente, ossia post 1989) ed una fortissima nostalgia per la “Grande Madre Russia”; i Romanov e lo stesso Rasputin erano stati accolti in Cielo come “Santi”.
Alla fine del 2000 ebbi la traduzione in inglese di quello che era il primo documento del Patriarcato di Mosca su “Le fondamenta della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa”, un documento probabilmente concepito come una risposta della Chiesa Ortodossa Russa a quelli sui temi economici e sociali prodotti in quegli anni a Roma dal Pontificio Consiglio Justitia et Pax della Santa Sede. Ne trassi un breve saggio per il quadrimestrale La Biblioteca della Libertà del Centro Einaudi di Torino. Al testo non mancavano ingenuità ma dall’inizio alla fine era plasmato da un forte senso di primogenitura rispetto ad altre confessioni cristiane.
Queste notazioni e ricordi servono ora ad interpretare le recenti vicende in Europa orientale: la fine della storia se mai c’è stata, è stata di breve durata perché, dopo il crollo del comunismo, la Russia ha inteso riprendersi il primato dei popoli slavi contro i latini e i germanici dell’Occidente.
Questi brevi episodi suggeriscono che un sentimento profondamente sentito e che, per il momento, ha trovato in Vladimir Putin l’interprete dei suoi aspetti peggiori.