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Suicidio assistito vs giustizia. Quando il referendum non è la strada giusta

Difficile commentare le decisioni della Corte Costituzionale in assenza delle motivazioni, ma il prof. avv. Cesare San Mauro, Università La Sapienza Roma, intuisce alcuni profili che hanno portato la Consulta a dichiarare inammissibili alcuni quesiti e ad ammetterne altri

È praticamente impossibile per un giurista commentare una sentenza le cui motivazioni non sono state ancora depositate. Mi sembra però di poter intuire alcuni profili che avrebbero indotto la Corte Costituzionale, a mio avviso molto correttamente, a dichiarare inammissibile il quesito referendario che avrebbe previsto l’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente.

Dobbiamo innanzitutto, distinguere chiaramente il quesito referendario dal dibattito in corso in Parlamento sul disegno di legge Bazoli il cui testo è stato approvato dalla Commissione Giustizia e Affari Sociali della Camera nella seduta del 6 luglio 2021.

Mi sono permesso di criticare su Formiche.net del 7 luglio 2021 e, in modo più ampio, sul quotidiano La Ragione dell’8 luglio 2021, il testo del disegno di legge in quanto esso non prevede alcuna tutela per i soggetti la cui volontà a causa della malattia fosse affievolita; ciò che infatti non mi convince del testo Bazoli è quello di poter praticare l’eutanasia anche nelle strutture private o, addirittura, a domicilio, escludendo cioè un controllo pubblico che dovrebbe essere esercitato dal Comitato Etico di un ospedale con un protocollo che preveda la partecipazione interdisciplinare di medici e psicologi. Desidero rammentare che la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza esclude proprio che essa possa essere praticata al di fuori delle strutture pubbliche.

Completamente diverso è, invece, il tema del suicidio assistito: qui ci troviamo di fronte ad una posizione che deve essere, a mio avviso, completamente respinta, in quanto il suicidio assistito non è una forma di eutanasia, ma la scelta volontaria di un soggetto che intenda porre fine alla propria vita anche in assenza di ogni patologia e cioè la volontà ideologica dell’uomo di decidere il suo destino senza alcun rispetto per la comunità nella quale egli vive; l’antigiuridicità del suicidio è tuttora presente nel codice penale anche attraverso la previsione del reato di istigazione al suicidio. Poteva uno strumento referendario abrogativo, così come previsto dall’articolo 75 della Costituzione, disciplinare una materia così delicata? Come poteva identificarsi il libero arbitrio in ogni soggetto, particolarmente per le persone più deboli soprattutto sotto il profilo psicologico?

Non c’è dubbio che i referendum abrogativi hanno consentito in Italia uno sviluppo importante nell’adattamento delle norme alle mutate realtà sociali e politiche.

Si pensi ai referendum sul divorzio, a quello sull’aborto e ancora a quelli sulle riforme elettorali, ma laddove la tematica diventa estremamente complessa viene superata la capacità di analisi e di conoscenza da parte del comune cittadino e il referendum abrogativo non è la strada da perseguire; potremmo ad esempio ricordare la scelta di rinuncia all’energia nucleare effettuata dagli italiani sull’onda dell’emozione dell’incidente di Chernobyl. Approfitto dell’ospitalità di Formiche.net per condividere, invece, l’approvazione della Corte nell’esperibilità dei referendum sulla giustizia, cinque quesiti tutti tesi a bilanciare il rapporto squilibrato tra i tre poteri di montesquieuiana memoria e a limitare lo strapotere e le storture del sistema giudiziario che, come ha recentemente rammentato il Presidente Mattarella, ledono gravemente la credibilità del sistema giudiziario nel nostro Paese.



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