La crisi ucraina dimostra che l’Occidente non può fare a meno del resto del mondo, mente il resto del mondo può fare tranquillamente a meno di Europa e Stati Uniti. L’intervento di Pietro Paganini (Competere)
Per almeno tre decenni l’Occidente si è adagiato sulla convinzione che il processo di democratizzazione globale fosse inarrestabile e che pace e armonia fossero garantite. Ha creduto ingenuamente di poter controllare l’offerta dei beni necessari a alimentare la sfrenata crescita del proprio benessere sociale ancor prima che economico. La crisi Ucraina ha evidenziato che il benessere occidentale, e in particolare quello europeo, non è garantito ma dipende intrinsecamente dalle materie prime, o comunque da risorse e beni, provenienti dal resto del globo.
L’Occidente non può fare a meno del resto del mondo, mente il resto del mondo può fare tranquillamente a meno dell’Occidente. Europa e Stati Uniti hanno perso la leadership economica senza accorgersene. Ora stanno per perdere quella sociale e politica. Ci rimarrà quella morale, con cui però, ci facciamo poco.
In Europa, ancor più che in Nord America, dobbiamo ripensare urgentemente come reperire le risorse necessarie a mantenere il nostro elevato benessere; dobbiamo ricordarci che la democrazia liberale non è garantita e non si difende con i presupposti morali, ma con il sacrificio a cui le generazioni presenti non sono più abituate.
Il nostro benessere necessità di molta energia – per nutrire i cittadini e per far funzionare le cose – che compriamo dall’estero attraverso filiere globali sempre più lunghe e complesse. Questa complessità che fatichiamo sempre di più a controllare determina il prezzo di quello che compriamo.
Abbiamo poi, perseguito l’ambizioso obiettivo – certamente condivisibile – di salvare il pianeta dai cambiamenti climatici (un’utopia, fattibile è rallentare la rapidità dei cambiamenti climatici). Ma non ci siamo affidati alla scienza e al buon senso per farlo, ma all’ideologia e all’emotività, aggravando la nostra situazione di dipendenza: continuiamo a comprare dall’estero pretendendo standard ambientali rigorosissimi pena l’esclusione o il boicottaggio di materie prime e produttori. Queste pretese hanno un costo che imprese e cittadini non possono evitare di pagare.
Gli Stati Uniti a differenza dell’Europa hanno avuto la lungimiranza di porre un freno alla dipendenza globale di materie prime e hanno preferito la resilienza alla sostenibilità. Sono il primo produttore al mondo di energia per far funzionare le cose e non se la cavano male in quanto ad energia per le persone. Prima di noi hanno capito che la dipendenza va sostituita con filiere flessibili e rapide per evitare colli di bottiglia e ricatti (vedi il gas russo).
L’Europa inoltre, ha lasciato il controllo dei propri confini e la tutela dei propri partner da cui compra materie prime, come l’Ucraina, agli USA che sono amici ma anche (potenziali) fornitori (di gas, grano, eccetera). Gli Stati Uniti non brillano in diplomazia e affari esteri, come dimostrano queste ore, ancora una volta.
Per lungo tempo hanno invitato l’Ucraina nella Nato provocando la Russia, ma ora non sono disposti a difenderla con le armi stesse della Nato.
Stati Uniti e Unione europea si affidano all’inasprimento delle sanzioni economiche, che già impiegavano dal 2014, pur sapendo che hanno effetti nel lungo termine, spesso intangibili e spessissimo più efficaci sulla povera gente che sui grandi capitali che controllano il potere; ma soprattutto colpiscono anche l’economia di chi le sanzioni le emette. Il prezzo lo paghiamo anche noi italiani, quindi.
L’Occidente si scopre debole. Abbozza come ha fatto il presidente del Consiglio Mario Draghi un piano energetico (solo per il gas, senza ricordarsi che serve molto altro) che andava presentato almeno trent’anni fa, fatto di ipotesi e senza, per parafrasare Friedrich von Hayek, considerare le conseguenze inintenzionali (delle azioni intenzionali).
Si cita il ricorso al gas liquido che gli Stati Uniti ci offrirebbero in soccorso (tanto per fomentare i cospirazionisti cha rilevano come la crisi del gas sia anche frutto delle spingere la propensione filooccidentale dell’Ucraina) e le solite rinnovabili, senza un progetto di filiera, visto che pannelli, batterie e pale si fanno in Cina. Si cerca di differenziare, scappando dalla Russia per rifugiarsi tra Cina, Stati Uniti e Qatar. E senza un piano per la circolarità: se il sole è pulito, pannelli e batterie vanno smaltiti o recuperati.
Prima di stabilire su cosa e dove investire, o meglio da chi dipendere, sarebbe opportuno domandarsi cosa serve (così fa la Cina). Di quanta energia (nutrienti alimentari e per le cose) abbiamo bisogno? Come la possiamo produrre? Come possiamo organizzare filiere, anche globali, ma resilienti e sostenibili (ambientalmente e finanziariamente)?
Se non rispondiamo, con umiltà, a queste domande, continueremo a muoverci a tentoni, picchiando la testa contro il gigante di turno. Siamo piccoli e contiamo poco, ma come il vecchio Ulisse, possiamo contare ancora (chissà per quanto) sulla nostra ragione. Per farlo sono intanto necessarie due condizioni. Prima: una formazione delle libertà che inserisca nell’asfittico dibattito politico dell’ultimo trentennio, il soffio del realistico metodo liberale nel governare. Secondo: il mercato è indispensabile nella società moderna ma che il mercato non rifiuta lo Stato ma è reso possibile e funzionante dallo Stato responsabile che si occupa di creare il benessere per i cittadini e non rincorre il loro consenso emotivo rinunciando al proprio ruolo.