Ormai la crisi ucraina è un piano inclinato. Dal Consiglio di sicurezza a Mosca Vladimir Putin ascolta tutti ma poi garantisce: deciderò io. Ecco cosa può aprire il riconoscimento dei separatisti a Donetsk e Luhansk. L’analisi di Giovanni Savino, Accademia presidenziale russa, Mosca
La convocazione in via straordinaria da parte di Vladimir Putin del Consiglio russo di sicurezza, trasmessa in diretta questo pomeriggio (anche se vi son segnali che portano a considerarla in realtà una registrazione), è un ulteriore passo verso lo scenario descritto ieri su queste pagine di un riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk.
Nell’introduzione il presidente russo ha chiesto ai membri del Consiglio di esprimersi liberamente sul punto all’ordine del giorno, fornendo la propria valutazione sulla situazione nel Donbass. Una valutazione che ha ripreso gli argomenti delle scorse settimane sul tema dell’allargamento ad est del Patto Atlantico, e chiarendo ancora più esplicitamente come la sicurezza in Europa e le garanzie per la Russia dipendano dall’applicazione degli accordi di Minsk. Poiché secondo Putin, a cui hanno fatto eco ministri e partecipanti alla riunione, non vi è alcuna possibilità che essi vengano messi in essere da parte di Kiev, il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche è l’unica strada.
Dopo Putin è intervenuto il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, il quale ha riferito dei passi in avanti compiuti a livello diplomatico, nonostante il rifiuto da parte degli Stati Uniti e della Nato di accettare le richieste russe. Secondo il ministro è necessario continuare il dialogo, ma si è detto d’accordo sul riconoscimento di Mosca delle due entità separatiste.
Dmitry Kozak, rappresentante della Russia nel quartetto di Normandia, ha sostenuto come non vi siano stati passi in avanti nei colloqui con Kiev, e alla domanda diretta di Putin sull’applicazione da parte ucraina degli accordi di Minsk, ha risposto che non avverrà mai.
Di particolare interesse gli interventi del ministro della Difesa Sergey Shoigu e dell’ex premier Dmitry Medvedev, ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza. Shoigu, dopo aver relazionato sul concentramento di forze ucraine, stimato a poco più di 59mila effettivi, si è detto preoccupato della possibilità per Kiev di sviluppare un proprio arsenale atomico, facendo notare come gli ucraini abbiano il know-how giusto, ereditato dal passato sovietico.
Medvedev ha rievocato le giornate dell’agosto del 2008, quando da presidente ha dato l’ordine di avanzare su Tskhinvali, in difesa dell’Ossezia meridionale: l’ex premier si è servito di questi ricordi per dire che l’Occidente tornerà in futuro al tavolo delle trattative, come accaduto dopo il conflitto russo-georgiano, e spingendo ad adottare una linea più dura, per tutelare i circa 800mila cittadini russi residenti a Donetsk e a Lugansk.
Vi son stati anche interventi inclini a temporeggiare, ma sempre nell’ottica del riconoscimento delle repubbliche, e son venuti, un po’ inaspettatamente, da Nikolay Patrushev e Sergey Naryshkin, rispettivamente segretario del Consiglio di sicurezza e direttore dell’Agenzia russa di controspionaggio, l’Svr.
Patrushev ha invitato il presidente a un ulteriore colloquio con Biden, ritenendo Washington l’unico reale interlocutore per la stabilità in Europa e in Ucraina, mentre Naryshkin ha parlato di dare un’ultima chance all’Occidente. Proprio il direttore dell’Svr si è reso protagonista di un lapsus forse rivelatore, concludendo il proprio intervento dicendosi a favore dell’annessione delle repubbliche alla Russia, immediatamente redarguito da Putin.
Anche l’attuale premier Mikhail Mishustin si è attestato sulla linea di una breve trattativa, sostenendo anche come la situazione economica diventerà critica, ma dichiarando una certa fiducia sulla capacità del sistema russo di reggere alla tempesta finanziaria, di cui già si scorgono le prime, preoccupanti, avvisaglie. Infatti, a conclusione della riunione, la Borsa di Mosca ha chiuso con un calo del 10.5%, mentre euro e dollaro hanno raggiunto rispettivamente i 90 e i 79 rubli: un segnale inquietante per un paese in parte dipendente dalle importazioni.
L’impressione è che si sia su un piano inclinato: oltre al lapsus di Naryshkin, anche a Kozak è sfuggita una considerazione sull’annessione dei territori secessionisti, e il capo della Guardia Nazionale Viktor Zolotov ha detto che il semplice riconoscimento delle repubbliche non basta, bisogna andare più in là. Adesso resta da attendere la decisione di Putin, attesa per oggi, come annunciato dallo stesso presidente in chiusura della riunione.
Una decisione non semplice, dove oltre alla voce dal sen sfuggita dell’annessione vi è anche la proposta del ministro degli Interni Vladimir Kokoltsev di includere nei confini delle due repubbliche anche quei territori ora sotto il controllo di Kiev. Una mossa in grado di estendere il conflitto dalla dimensione locale a qualcosa di più grave.