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Come finirà la crisi ucraina? I quattro scenari

Il prof. Giovanni Savino (Accademia presidenziale russa, Mosca) delinea i possibili scenari: l’escalation per il compromesso, la guerra, il conflitto localizzato alle regioni orientali dell’Ucraina, un nuovo formato di dialogo con la mediazione di Erdogan

In queste ore assistiamo a ulteriori sviluppi della cronaca di una guerra annunciata: le ambasciate occidentali riducono il personale, inviano i diplomatici a Lviv e chiedono ai cittadini presenti in Ucraina di tornare a casa; al momento della stesura di questo articolo, Biden ha appena finito di parlare con Putin, dopo che il presidente russo si è confrontato qualche ora prima con Macron; la giunta comunale di Kiev dichiara di essere pronta ad evacuare la capitale mentre Zelensky chiede ai partner della NATO di ottenere ulteriori prove della temuta invasione delle truppe di Mosca, invitando a non seminare panico.

Sembrerebbe che il punto di svolta sia vicino, verso quel 16 febbraio ritenuto dalla Casa Bianca inizio dell’attacco russo all’Ucraina, in un’atmosfera resa irreale sia dal clamore mediatico che dalle smentite di Mosca e dagli appelli alla calma dei vertici di Kiev. A complicare ulteriormente il quadro, la prevista discussione il 14 febbraio alla Duma russa sul riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, su una mozione presentata dai comunisti di Gennady Zyuganov.

In questo contesto delineare dei possibili scenari sull’immediato futuro è operazione complessa ma necessaria per provare ad analizzare quali elementi sono in campo e quali probabilità vi sono di una nuova guerra in Europa.

  1. L’escalation per il compromesso: lo stato di agitazione dei media potrebbe essere propedeutico a un nuovo round di colloqui tra Mosca e Washington, ad alti livelli. Questo scenario troverebbe una conferma nemmeno tanto indiretta nei 35 minuti di conversazione tra Biden e Putin, solo che non è chiaro su cosa si possa raggiungere un accordo: alcuni osservatori ritengono probabile un compromesso su un impegno da parte statunitense nell’escludere il dislocamento di unità NATO in Ucraina, il diniego a consegne di armamenti letali a Kiev e ulteriori garanzie sulla diminuzione del rischio nucleare in Europa. Questi punti permetterebbero ai due presidenti di presentarsi come vincitori all’interno, senza esser accusati di aver ceduto alle pressioni. Se per Biden si tratterebbe di un risultato importante in vista delle elezioni di mid-term, resta da vedere quanto un compromesso simile possa essere utile alla costruzione dell’immagine di un Putin vincitore e vendicatore, che il presidente russo vorrebbe lasciare alla storia.
  2. La guerra: questo scenario è il peggiore, e vedrebbe la realizzazione di quanto si scrive da qualche mese. Il conflitto avrebbe conseguenze enormi sull’assetto politico, sociale ed economico dell’Europa, con la distruzione delle città ucraine, migliaia di profughi, la definitiva rottura dell’UE con la Russia, e per Mosca l’isolamento internazionale, con sanzioni severissime e possibili contraccolpi interni in grado di sconvolgere la società e lo Stato. Una guerra simile non vedrebbe vincitori, e creerebbe una situazione di totale dipendenza dell’Unione europea dai rifornimenti statunitensi di gas e dal petrolio mediorientale, assieme a uno sgretolamento dell’assetto in Europa orientale, con l’Ucraina devastata da un ulteriore conflitto e la Russia in preda a sconvolgimenti la cui entità è difficile da prevedere.
  3. Conflitto localizzato: una possibilità che passa sempre per il ricorso alle armi potrebbe vedere azioni belliche limitate al Donbass, con l’impiego di un contingente russo nelle repubbliche separatiste e la conseguente attuazione di sanzioni cosmetiche da parte dei paesi occidentali. C’è chi vede come conseguenza di una guerra limitata una nuova stagione di dialogo, all’insegna del compromesso di cui si scriveva nel primo scenario, ma appare un rischio molto elevato, anche a causa dell’assenza di fiducia tra le parti in campo.
  4. Premere per dialogare: le pressioni di questi giorni potrebbero portare a un difficile, ma non totalmente impossibile, nuovo set di colloqui tra Ucraina e Russia, convertendo il formato degli accordi di Minsk in una prospettiva diversa. Notizia dell’ultima ora è la proposta dell’OSCE di tenere un incontro ad Ankara su quel tipo di formato, e la Turchia si è dichiarata disponibile a ospitarlo in caso di assenso delle parti. In questo senso si tratterebbe di una vittoria importante per Erdogan, particolarmente attivo negli ultimi anni nel Caucaso e in Asia centrale, e che non ha mai nascosto il proprio interesse ad avere un ruolo di primo piano nel Mar Nero, ritenendosi, come i sultani ottomani, difensore dei tatari di Crimea, e potendo così affermarsi come attore decisivo in uno scacchiere assai vasto.

Probabilmente, quando Mosca ha presentato le proprie richieste a Washington e all’Alleanza atlantica, non riteneva plausibile il coinvolgimento di tanti attori in una trattativa che Putin credeva di portar avanti a tu per tu con Biden. Si tratterebbe di un errore di calcolo, da parte del presidente russo, in contraddizione con quanto il Cremlino da anni proclama a gran voce sul nuovo assetto multipolare del mondo, e che dimostrerebbe sì le abilità tattiche di Putin, ma anche l’assenza di un ragionamento strategico a livello globale.

D’altro canto, nel giro di poche settimane la Russia si è trovata al centro dell’attenzione, con visite e telefonate dei principali leader mondiali a Putin, spazio sulla stampa, la quale spesso involontariamente fornisce dei veri e propri assist alla propaganda del Cremlino, facendo apparire la minaccia russa ben più potente di quel che è. Nelle prossime ore resterà da vedere quali mosse vi saranno, sperando di non dover essere testimoni di scelte e movimenti causati dal clamore mediatico e dalla paura, in grado di precipitare l’Europa nel baratro della guerra.


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