Dietro le quinte, democratici e repubblicani divisi come non mai sulla road map dell’Alleanza intorno all’Ucraina. E il rischio di una “guerra per sbaglio” ora è altissimo. Il commento del prof. David Unger (Johns Hopkins)
I continui sforzi di Vladimir Putin di bullizzare l’Ucraina per affermare l’egemonia geopolitica russa hanno alzato la tensione internazionale a livelli pericolosi. Le risposte dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti sono state goffe e a tratti sconcertanti. Gran parte dell’iniziativa è stata lasciata nelle mani di Putin e si è inutilmente chiusa la porta a potenziali vie di uscita pacifiche.
Difficile dire se l’amministrazione Trump avrebbe gestito le cose meglio o peggio. L’approccio di Donald Trump alla politica estera è sempre stato erratico e imbranato, ma non sempre sbagliato. Il punto è che il team Biden-Blinken-Sullivan ha sempre rivendicato di avere esperienza e mano fredda. E invece ci troviamo talvolta di fronte a quel tipo di spacconeria che divide gli alleati e indebolisce la credibilità americana.
Questa crisi riguarda certamente la Russia e l’Ucraina, ma riguarda soprattutto l’allargamento della Nato, e in particolare quanto in profondità la Nato e le sue basi missilistiche si stiano spingendo nell’ex “estero vicino” russo. Giusto o sbagliato che sia, la Russia vi legge un problema che tocca i suoi interessi vitali per la sicurezza nazionale. La Nato ovviamente tocca anche gli interessi vitali della sicurezza americana, anche se non quelli più vitali nel momento in cui fa i conti con le preoccupazioni russe. Immaginate la reazione degli Stati Uniti se, durante la Guerra Fredda, il Messico o il Canada avessero chiesto di entrare nel Patto di Varsavia.
Quanto ad Est gli Stati Uniti vogliono vedere la Nato espandersi? Per alcuni americani, come una serie di politici dell’ex amministrazione di George W. Bush e un importante drappello di democratici intorno a Hillary Clinton, è il caso ad esempio di Victoria Nuland, la risposta è semplice: fino a dove può spingersi senza che diventi un problema. Altri promotori dell’espansione della Nato, come l’ex presidente Bill Clinton, sono stati più cauti, marcando una distinzione netta tra Paesi dell’ex Patto di Varsavia come la Polonia ed ex repubbliche dell’Unione Sovietica come l’Ucraina (le tre repubbliche baltiche, formalmente appartenenti al secondo gruppo, per complesse ragioni storiche sono trattate come membri del primo).
Chiediamoci allora: estendere la garanzia dell’articolo 5 della Nato all’Estonia, che non sarebbe in grado di difendersi da un’invasione russa in assenza di una guerra nucleare, non sarebbe come indebolire quella stessa garanzia per Paesi che da questa si sono sempre sentiti protetti, come l’Italia o la Germania? E quando Washington spinge alleati della Nato come l’Italia o la Germania a minacciare di tagliare i rapporti con la Russia, compresi quelli che considerano nei loro interessi nazionali e di sicurezza energetica, non è anche questo un modo per indebolire la Nato stessa?
Anche per questo i democratici, sia pure mostrandosi compatti con l’amministrazione Biden durante una crisi pericolosa, sono in verità divisi su quale sia il più saggio approccio politico da adottare. C’è chi spera che questa crisi risulti in un nuovo, grande accordo tra Stati Uniti, Europa e Russia che fissi i parametri delle alleanze militari in Europa e in fondo ratifichi lo status quo. Altri democratici vedrebbero in questo risultato una vittoria di Putin, un premio al suo atteggiamento violento.
Questi dibattiti divisive durante l’era Trump hanno spinto sempre più i leader del Partito democratico a demonizzare qualsiasi cosa Putin e la Russia facciano, vogliano fare o siano anche solo accusati di fare. Raramente questa personalizzazione dà vita a una politica estera saggia.
E i Repubblicani? In pubblico, la maggior parte attende un cenno di guida di Trump, ovunque li porti. In privato, sono divisi almeno quanto i Democratici, ma non necessariamente con le stesse proporzioni. Entrambi i partiti hanno però capito che una guerra in Europa è l’ultima cosa che vuole un pubblico devastato dal Covid e sempre più diffidente dei suoi leader. Purtroppo, questo non garantisce in alcun modo che le minacce di Washington o un errore di calcolo di Putin non sortisca il risultato opposto.