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Come la videosorveglianza può facilitare le indagini

Partendo dal caso del Duomo di Milano a capodanno, Martino Jerian, amministratore delegato della software house italiana Amped, spiega quanto l’analisi forense sia una tematica sensibile che va ben oltre alle sfide legate all’intelligenza artificiale e alla cybersecurity

L’analisi forense è oggi molto legata a temi quali intelligenza artificiale e cybersecurity. Ma quando vengono esaminati crimini o episodi di violenza che mettono a rischio la sicurezza delle persone – come l’aggressione a una decina di ragazze a Milano lo scorso 31 dicembre – bisogna tenere conto di aspetti che stanno a monte delle investigazioni.

Ne parliamo con Martino Jerian, amministratore delegato di Amped Software, software house italiana con sede a Trieste, presso Area Science Park, che lavora con 800 organizzazioni pubbliche dedicate alla sicurezza nazionale, in 100 Paesi nel mondo e conta su 30 dipendenti con dieci nazionalità diverse ed expertise estremamente specializzata: matematici, ex personale militare, ex funzionari delle forze dell’ordine, analisti esperti in analisi di immagini e video.

Che ruolo ha avuto la videosorveglianza e che conclusioni possiamo trarre dal caso del Duomo di Milano dello scorso 31 dicembre?

Non si è trattato esclusivamente di videosorveglianza, ma anche di fonti di prova video e fotografiche più generiche. Diversi filmati sono stati realizzati, infatti, con lo smartphone: ciò ha sicuramente aiutato a comprendere le dinamiche della vicenda e a identificare i colpevoli. Videosorveglianza, immagini e filmati sono il mezzo più efficace per far luce su episodi di cronaca, altrimenti troppo complessi da risolvere. Ne parlano articoli scientifici, ma anche articoli che leggiamo sui quotidiani nazionali e locali. In generale, la videosorveglianza è uno strumento importantissimo, che consente di rispondere alla maggior parte delle domande del modello investigativo delle cinque W (who, what, when, where, why). Non vi è, a oggi, altro elemento probatorio così completo.

E non ci sono controindicazioni?

Non va dimenticato che a un rapido ed efficace utilizzo investigativo, deve corrispondere un accurato e attento uso giudiziario. Immagini e filmati vanno trattati alla stessa stregua di qualsiasi altra fonte di prova e analizzati con rigoroso metodo scientifico, mantenendo la catena di custodia e utilizzando metodologie di analisi accurate, ripetibili e riproducibili. Solo in questa maniera sarà possibile garantire sicurezza e giustizia e, al tempo stesso, evitare errori che potrebbero causare problemi durante l’iter giudiziario.

Quali sono i rischi legati all’analisi di filmati senza un’adeguata preparazione o i giusti strumenti?

Vi è un rischio principale: quello di “non sapere di non sapere”. Mi spiego meglio: quando veniamo messi davanti a un filmato, sappiamo di poterlo leggere e decifrare perché, di fatto, quel filmato è accessibile a tutti: basta guardarlo. Tuttavia, la maggior parte di noi ignora che vi sono modi rigorosi di approcciarsi a un video, o a una fotografia. Premendo “download” o “play” si ha tutto immediatamente sotto al naso; quindi, diamo per scontato che possiamo interpretare i fatti nel modo in cui questi vengono rappresentati. Ma, così come per il Dna, anche per le video analisi c’è una regola. Per riassumere: è difficile risolvere un problema se non si sa di avere un problema. Dietro alle immagini si celano, infatti, insidie molto pericolose che non bisogna prendere sottogamba solo perché ci troviamo davanti un video o una foto.

Per esempio?

Un esempio sono i filmati registrati a infrarosso, molto comuni per il loro utilizzo notturno. Ecco: queste immagini possono facilmente condurre ad un’errata interpretazione dei colori di una scena del crimine se non si è adeguatamente formati. Se poi consideriamo che i filmati in digitale vengono compressi per renderne la dimensione gestibile sia dal punto di vista della memorizzazione che da quello della trasmissione, ci ritroviamo davanti a possibili rimozioni di dettagli importanti, nonché alla creazione di possibili “artefatti”: dettagli fittizi che alterano la realtà. Insomma: quando si ha a che fare con filmati molto compressi e di scarsa qualità, riuscire a discriminare dettagli minuti da artefatti richiede una formazione specifica, unitamente a strumentazione tecnica e software scientificamente validati.

In che direzione dovrebbe muoversi la politica?

La politica, in questo caso “non sa, che non sa”. Va sensibilizzata attraverso i giornali, attraverso dibattiti e interlocuzioni private, che possano trasferire l’urgenza e l’esigenza di risolvere questa impasse dall’alto. Non dimentichiamo che sono in ballo la giustizia e interi processi. Una volta trasferito questo messaggio importante a più riprese e a più livelli, auspico che vengano adottate le linee guida già esistenti, essendo queste validate dalla comunità scientifica: ciò semplificherebbe drasticamente il lavoro investigativo preservandolo dall’esposizione ad eventuali rischi. È fondamentale creare una base culturale per conoscere le complessità dei dati video e delle immagini: ciò non significa che tutti debbano diventare esperti forensi. Significa lavorare con la giusta consapevolezza e gli strumenti più corretti per migliorare l’approccio alle analisi video. Le linee guida le abbiamo già, si tratta solo di farle conoscere e applicarle in maniera più rigorosa.

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