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La tenaglia Italia-Ue su Amazon è un assaggio dei rischi del Dma

Di Janna Brancolini
Amazon

Le autorità garanti italiane (e non solo) stanno aumentando le multe alle Big Tech per violazioni dell’antitrust e della privacy, prima che la prossima legge europea sui mercati digitali metta in pericolo la loro competenza. Ma così si rischia di moltiplicare per 27 le indagini per la stessa condotta

La punizione è stata sorprendente, sia per la dimensione che per il luogo in cui è stata imposta. A dicembre il garante della concorrenza italiano ha inflitto una multa ad Amazon da 1,13 miliardi di euro per aver presumibilmente privilegiato i venditori che utilizzano i servizi di logistica della società. Poco tempo prima, i regolatori italiani avevano emesso una serie di multe multimilionarie contro Apple, Google e Facebook.

Il messaggio era chiaro: non è solo Bruxelles che sta dando un giro di vite alle Big Tech americane. Ci sono anche Roma, Berlino e Parigi. In parte i regolatori nazionali europei sembrano motivati da un sincero desiderio di prevenire gli abusi nei loro mercati. In parte stanno dicendo a Bruxelles che vogliono continuare a giocare un ruolo chiave, mentre l’Unione europea si appresta a rendere legge il nuovo Digital Markets Act.

La possibilità di una tenaglia

Anche se i leader europei hanno concordato un quadro generale per il Dma, spetta ora a loro, al Parlamento europeo e alla Commissione europea definire i dettagli. In particolare, rimane da vedere come l’onere dell’applicazione del del regolamento sarà suddiviso tra la Commissione europea e i regolatori nazionali.

Le aziende temono di diventare soggette a 27 diverse interpretazioni delle nuove regole. I sostenitori di Bruxelles insistono sul fatto che possono fornire un’unica applicazione, coerente e consistente, e possono evitare i problemi emersi negli ultimi anni con il GDPR. Il regolamento sulla protezione dei dati ha dato all’Irlanda e al Lussemburgo, sede dei quartieri generali europei di Google, Facebook, Microsoft, Apple e Amazon, la responsabilità dell’applicazione; ma finora le indagini sono state poche.

Le authority nazionali dei grandi Paesi europei rispondono che la stessa Bruxelles spesso è stata troppo lenta: per esempio, l’indagine antitrust su Google partita nel 2009 è ancora in corso nei tribunali europei. In più, i funzionari nazionali credono di avere le competenze necessarie per imporre una punizione efficace. Ma che succede se sia Bruxelles che i singoli Paesi procedono come se avessero entrambi ragione?

Il caso Amazon

In Italia, la multa di Amazon rappresenta uno spartiacque. C’è l’importo, 1,13 miliardi di euro.  E c’è il precedente, che prende di mira per la prima volta il modello di business di Amazon: unire la sua vasta rete logistica e il mercato online per ottenere un vantaggio sui concorrenti.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, o AGCM, ha accusato Amazon di fornire vantaggi non autorizzati ai venditori che utilizzavano la piattaforma Amazon Logistics. Questi avrebbero ricevuto vantaggi sleali come una migliore visibilità, un posizionamento di ricerca più alto, un migliore accesso ai consumatori attraverso il programma Amazon Prime e l’ambita “Buy Box”.

Oltre a pagare la multa, Amazon deve definire e pubblicare una serie di standard che rendono un venditore idoneo per Amazon Prime. L’azienda deve poi “estendere ogni privilegio in termini di vendite e visibilità sulla piattaforma a tutti i venditori terzi che rispettano gli standard”, ha detto l’AGCM.

Circa un anno dopo che l’Italia ha annunciato la sua indagine sulle pratiche logistiche di Amazon, la Commissione europea ha informato l’azienda di aver raggiunto anch’essa una conclusione preliminare: il “Buy Box” e l’etichetta Prime hanno violato le norme antitrust dell’Ue distorcendo la concorrenza nel commercio elettronico. Ma Bruxelles non ha ancora annunciato una sentenza finale, né una sanzione.

Amazon ha fatto ricorso per cercare di fermare le indagini parallele, ma a ottobre la Corte di giustizia europea ha stabilito che entrambe possono continuare. A ogni modo, l’azienda intende ricorrere contro la multa italiana. Un portavoce dell’azienda ha dichiarato che “la multa e i rimedi proposti sono ingiustificati e sproporzionati”.

L’intenzione dell’Europa di imporre una regolamentazione rigorosa sulla Big Tech statunitense è chiara da tempo. Ma ciò che rimane incerto è se imporrà un unico meccanismo di applicazione a livello continentale, o se le aziende dovranno gestire il rischio Paese per Paese. È una domanda gigantesca. La risposta sarà determinante per le possibilità del continente di creare un mercato digitale unico.

Janna Brancolini è una giornalista e avvocato statunitense che vive a Milano, dove si occupa di politica ambientale e finanziaria in Europa per Bloomberg e degli affari italiani per il Los Angeles Times. Il suo articolo originale è apparso su CEPA.

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