La visita del presidente statunitense a Varsavia, unica tappa del suo viaggio in Europa dopo Bruxelles, è di triplice natura: politica, umanitaria, securitaria. Come si muoverà ora il governo? L’analisi di Teresa Coratella, programme manager presso l’ufficio dell’Ecfr a Roma
Dopo aver incontrato i vertici Ue, Nato e G7, il presidente statunitense Joe Biden ha scelto la Polonia come unica tappa dopo Bruxelles, tappa che include un bilaterale con il presidente polacco Andrzej Duda, questa settimana già impegnato con gli omologhi Maia Sandu della Moldavia, Rumen Radev della Bulgaria e Klaus Iohannis della Romania; visite a strutture polacche di gestione della crisi umanitaria; un incontro con le truppe statunitensi dell’ottantaduesimo battaglione stanziato in Polonia.
Il carattere della visita è di triplice natura: politica, umanitaria, securitaria. La natura politica deriva dalla volontà del presidente Biden di dare un segnale di sostegno inclusivo e proattivo alla Polonia come anche di rilancio del dialogo politico tra Varsavia-Washington, drammaticamente peggiorato sin dai tempi dell’amministrazione Trump. Il sostegno umanitario, che gli Stati Uniti stanno facendo proprio con il fresco annuncio di uno stanziamento di un miliardo di dollari e la volontà di accogliere 100.000 profughi ucraini, fondamentale segnale alla Polonia, primo Paese in termini di accoglienza con circa 2,2 milioni di ucraini.
E dimensione securitaria. Considerato il grave rischio che un’escalation del conflitto possa estendersi ad un coinvolgimento diretto della Bielorussia, la Polonia si troverebbe non solo a continuare a condividere circa 530 chilometri di confine con Kiev, ma ulteriori 420 chilometri con Minsk. Dunque quasi 1.000 chilometri di confini territoriali instabili condivisi con l’aggredito e un potenziale aggressore.
La Bielorussia diventa ora per la Polonia un ulteriore fattore di insicurezza. Non a caso il presidente Duda, in attesa dell’arrivo di Biden, ha incontrato la leader dell’opposizione democratica bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya, impegnata nelle celebrazioni del Freedom Day.
In soli 30 giorni, la decisione russa di invadere l’Ucraina ha provocato uno dei più grandi disastri umanitari mai avvenuti in territorio europeo dalla guerra in ex-Yugoslavia; ha imposto un riposizionamento obbligato dello scacchiere multilaterale; ha ribaltato gli equilibri energetici a livello regionale; ha determinato un forte riposizionamento dell’Unione europea nei confronti della Russia e di molti dei suoi Stati membri, in primis Germania e Italia.
Ma ha anche riportato Varsavia sulla scena politica europea come protagonista della crisi. Pro-attivismo e costruttivismo politico inimmaginabile fino a poche settimane fa se pensiamo alla Polonia isolata all’interno dell’Unione europea alla pari dell’Ungheria; in rotta di collisione con Bruxelles su stato di diritto e violazioni dei diritti umani; in aperto scontro con Washington sulla LexTVN circa il ritiro della concessione statale a operatori stranieri; coinvolta nella crisi dei rifugiati al confine con la Bielorussia; impantanata in uno dei più aspri scontri politici tra governo e opposizione dall’inizio del processo di democratizzazione post-era sovietica.
La Polonia sta dimostrando di voler maggiormente in prima linea circa la posizione che l’Unione europea, Nato e G7 dovrebbe avere nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina. Lo è politicamente a livello Ue, richiedendo la maggiore estensione possibile delle sanzioni; a livello Nato, avendo proposto insieme a Londra che la Nato decida di prevedere “una qualche forma di azione” in caso di escalation; a livello multilaterale, avendo chiesto, per il momento invano considerato il rifiuto della presidenza indonesiana, di escludere la Russia dal G20.
La Polonia di oggi offre un’immagine ribaltata rispetto a 30 giorni fa e costituisce oggi per gli Stati Uniti un partner necessario. Come riconosciuto da Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza degli Stati Uniti, la Polonia sta svolgendo un grande lavoro umanitario; militare, ospitando sul proprio territorio il più grande contingente di soldati americani in Europa orientale, circa 1.900 unità; e securitario, rappresentando il confine Ue e Nato con la Bielorussia.
L’attuale attivismo politico e il sostegno umanitario polacco sembrano aver momentaneamente spinto l’Unione europea, impegnata politicamente ed economicamente su fronte reattivo all’invasione russa, ad alleggerire la propria attenzione dai temi e criticità che hanno caratterizzato il difficile rapporto con Varsavia degli ultimi anni. La visita del presidente Biden, accanto al primario obiettivo di ascoltare le preoccupazioni politiche di Varsavia come anche di assicurare l’alleato e prevenire decisioni e dichiarazioni che potrebbero indebolire l’azione multilaterale, dovrebbe avere il potenziale di mantenere viva la discussione sul ruolo che Varsavia intende svolgere a livello comunitario e regionale, soprattutto su dossier al momento congelati come quello della crisi ed emergenza migratoria con la Bielorussia e sviluppi su stato di diritto e difesa principi democratici.
Durante il suo discorso ai leader europei, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fatto un grande j’accuse pubblico nei confronti dell’ungherese Viktor Orbán, reo di non voler assumere una posizione netta nei confronti dell’alleato russo, da cui dipende in termini energetici e finanziari. Il fatto che l’asse polacco-ungherese, viste le opposte reazioni all’azione russa, sia al momento inesistente, indebolimento avvenuto già all’interno del gruppo Visegrad, è un chiaro segnale di come alcune alleanze populiste sia facilmente costruibili ma anche sgretolabili. Importante sarà dunque vedere come al termine della visita europea di Biden Varsavia deciderà di procedere in merito al proprio ruolo all’interno dell’Unione europea.