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Il grande (e pericoloso) bluff batteriologico di Putin

Di Federico Berger

Nonostante l’ondata disinformativa russa sembra aver avuto un impatto tangibile limitato, resta ancora aperto l’interrogativo sul significato strategico di questa offensiva informativa. L’analisi di Federico Berger, esperto di social media intelligence

Il 10 marzo l’orologio della storia ha fatto un ideale salto indietro di diciannove anni. L’Ambasciatore russo alle Nazioni Unite Dmitry Chumakov ha annunciato su Twitter, nel pomeriggio di giovedì scorso, la richiesta ufficiale al Consiglio di Sicurezza di investigare su presunte attività militari di tipo biologico da parte degli Stati Uniti all’interno dei confini dell’Ucraina. E nella mente di molti, a far capolino è stato il ricordo più o meno sbiadito dell’ex Segretario di Stato americano Colin Powell, che il 5 febbraio del 2003 si presentò davanti allo stesso organo dell’Onu portando le supposte prove ineluttabili (una boccetta di polvere bianca contenente “meno di un cucchiaino di antrace”) del fatto che il regime di Saddam Hussein stesse sviluppando armi di distruzione di massa in Iraq.

Voci e accuse sparse di guerra batteriologica e condotte irregolari, tuttavia, non sono un tema rimasto del tutto dormiente per vent’anni nel dibattito politico-militare internazionale. Nel conflitto in Siria, ad esempio, a partire dal 2015 la Russia è stata attivamente coinvolta nel diffondere narrative legate all’utilizzo di armamenti chimici da parte delle milizie anti-Assad. Come dimenticare, poi, la straordinaria quantità di teorie del complotto generate dalla pandemia di Covid-19: il blaming della diffusione del virus, in base all’infosfera di riferimento, variava dal Governo degli Stati Uniti, ai militari Nato in Europa, ai grandi magnati dell’economia mondiale, fino ad arrivare alla Cina imperialista.

Non è una sorpresa, quindi, che la armi batteriologiche abbiano fatto metaforicamente la loro discesa in campo come strumento di information warfare nel conflitto ucraino. Con un pubblico target già potenzialmente incline a queste narrazioni, da parte russa è bastato reintrodurre il tema gradualmente all’interno del dibattito pubblico. A partire dal 24 febbraio, giorno dell’invasione delle forze russe, in rete si sono moltiplicati nel tempo i contenuti relativi ai presunti armamenti batteriologici di Kiev. Il 28 febbraio, su siti di pseudo informazione allineati agli interessi del Cremlino, sono apparse online alcune mappe che tracciano i laboratori che lavorano su agenti patogeni in Ucraina, accusati di sviluppare strumenti da guerra per conto degli Stati Uniti.

Lo scontro di infowar si è accesso una settimana dopo, il 6 di marzo, quando il Ministero della Difesa di Mosca ha dichiarato pubblicamente con un video come l’Esercito russo sia entrato in possesso di alcuni documenti del Governo ucraino sui biolaboratori. Datata proprio 24 febbraio, la presunta documentazione ufficiale del Ministero della Salute chiede la distruzione delle coltivazioni di alcuni agenti patogeni come l’antrace, il colera e la peste.

Le scansioni sono state rese pubbliche dalle news agency russe Tass, Sputnik e altre ancora, e ricondivise massivamente in rete da siti di disinformazione e da alcuni account sospetti sui social media, raggiungendo anche alcune nicchie politiche estremiste in diversi Paesi, tra cui Italia e Grecia. Da un’analisi multimediale condotta sui file disponibili, inoltre, è emerso come alcuni elementi grafici fossero posticci, come le firme dei responsabili dei progetti o il codice a barre a fondo pagina, utile a dare un senso di ufficialità al contenuto.

Ma mentre, dal canto suo, la Cina ha a sua volta rilanciato le richieste russe di verifica sulle presunte armi batteriologiche finanziate dagli Usa, l’11 marzo le Nazioni Unite hanno rifiutato ufficialmente le accuse sui programmi biologici a scopo militare. In aggiunta, il Guardian riporta come a tutti gli effetti esista un programma di fondi da Washington destinato ai biolaboratori sotto il controllo di Kiev attivo da diverso tempo. L’iniziativa però, nota come Cooperative Threat Reduction (CTR), è uno strumento di soft power statunitense nato con la disgregazione nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, finalizzato principalmente a trasferire conoscenze scientifiche dal campo militare all’ambito medico-sanitario nei paesi

Tuttavia, nonostante l’ondata disinformativa russa sembra aver avuto un impatto tangibile limitato, resta ancora aperto l’interrogativo sul significato strategico di questa offensiva informativa. Se si trattasse di una operazione false flag tardiva, ovvero di un pretesto ex post per giustificare l’invasione del paese (a differenza di quella di Powell), il picco massimo di attività disinformativa sarebbe poco sincronizzato con gli eventi sul campo. Il rischio più concreto, a questo punto, è che possa trattarsi di una giustificazione per un possibile cambiamento tattico nelle prossime attività dell’esercito russo sul terreno. Quello che è certo è che la discesa in campo delle armi batteriologiche, al momento solo a livello informativo, non lancia segnali di attenuazione e depotenziamento del conflitto armato tra le due fazioni.

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