L’aumento delle bollette e dei carburanti hanno poco a che vedere con l’impennata dei prezzi “spot” di petrolio e gas. Ecco perché secondo l’economista ed ex viceministro dell’Economia Mario Baldassarri
1- Il caro bollette luce e gas e il caro carburanti non hanno niente a che vedere con la guerra in Ucraina.
I prezzi di petrolio e gas, spinti dalla ripresa della domanda mondiale seguita al grande tonfo della crescita causato dal Covid nel 2020, sono esplosi a partire dallo scorso autunno ed il vertiginoso aumento delle bollette si è determinato già a novembre-dicembre 2021, molti mesi prima dell’invasione russa del 24 febbraio scorso.
Prima della guerra molti pensavano che l’impennata dei prezzi delle materie prime si sarebbe ridimensionata nella seconda metà di quest’anno. La guerra pertanto ha portato ad un ulteriore aumento dei prezzi e soprattutto ha fatto svanire le speranze che il caro materie prime possa svoltare verso il basso prima della fine dell’anno. Pertanto quella che sembrava una bolla temporanea appare ora una modifica strutturale che richiede politiche energetiche decise anche in termini di sicurezza geopolitica delle forniture. La guerra ha cioè posto l’esigenza di un Piano energetico europeo ed italiano che possa ridurre la dipendenza dalla Russia almeno in cinque-sei anni.
2 – L’impennata dei prezzi di petrolio e gas, iniziata ben prima dell’aggressione russa all’Ucraina ha anche ragioni strutturali dovute alla drastica riduzione degli investimenti passati da circa 700 miliardi di dollari nel 2014 a circa 350 miliardi. La questione dei prezzi internazionali si affianca poi alla politica italiana degli acquisti. Il servizio di maggior tutela nell’energia elettrica viene esercitato dall’Acquirente Unico pubblico. Per molti anni questo servizio ha fatto prezzi inferiori a quelli del mercato libero. L’Acquirente Unico infatti funziona come un grande gruppo d’acquisto per conto dei consumatori che, essendo piccoli, non hanno alcun potere di contrattare sul mercato ma possono solo scegliere nella giungla delle offerte dei venditori, più o meno tutte più onerose anche se vengono bombardate tutti i giorni con telefonate anche moleste ai singoli consumatori. Per anni ha funzionato abbastanza bene perché circa metà del fabbisogno veniva acquisito con contratti bilaterali almeno annuali che di fatto orientavano il Mercato del giorno prima (Borsa elettrica) evitando sbalzi significativi.
Nel 2015, per anticipare la fine del servizio di maggior tutela prevista nel decreto del governo Renzi sulla Concorrenza, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) ha tolto all’Acquirente Unico la facoltà di fare contratti a medio termine costringendolo di fatto ad approvvigionarsi solo sul mercato spot, mentre i venditori potevano proporre ai clienti forniture anche pluriennali. Pertanto il servizio di maggior tutela è diventato più costoso e gli operatori attraggono i clienti migliori in condizioni di maggiore potere di mercato.
3 – L’aumento delle bollette e dei carburanti hanno pertanto poco a che vedere con l’impennata dei prezzi “spot” di petrolio e gas. Due controprove.
Il prezzo spot del gas ad Amsterdam è aumentato in un anno del 400%. Gli operatori però comprano gas con contratti a medio-lungo termine. Infatti il prezzo del gas effettivamente importato in Italia è aumentato in un anno del 50%, non del 400%. Per contro le bollette del gas sono aumentate del 200-300%.
Per di più, l’energia elettrica in Italia è prodotta con il gas per il 40%. Le altre fonti di produzione di energia non hanno subito aumenti. Ora, il 40% del 50% fa il 20%. Per contro le bollette della luce sono anch’esse aumentate del 200-300%.
Dieci anni fa il prezzo del petrolio era a 150 dollari al barile. Il prezzo della benzina era a 1,35 euro al litro. Negli scorsi mesi il prezzo del petrolio è balzato a 140 dollari al barile ed ora si è attestato attorno a 110 dollari al barile. Il prezzo della benzina è schizzato a 2,3 euro al litro.
È allora aritmeticamente evidente che il caro bollette e il caro carburanti è solo parzialmente dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime e per molto di più è dovuto all’aumento dei margini di profitto che sono cresciuti lungo la filiera della produzione e della distribuzione ed all’effetto di ulteriore spinta sui prezzi determinato dalla pesante tassazione da parte dello Stato.
Quattro domande
In uno Stato liberale con una economia di libero mercato, i settori con concentrazioni oligopolistiche sono giustamente “affidati” a specifiche Autorità di controllo che devono verificare i cosiddetti abusi di potere di mercato da parte degli operatori.
In Italia ci sono due Agenzie che hanno il compito di analizzare i dati, sorvegliare ed agire laddove si riscontrino abusi di potere di mercato: l’Agenzia per la concorrenza ed il mercato (Antitrust) e l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera).
Ecco allora la domanda. I dati ed i fatti indicati prima sono noti a tutti da molti mesi.
Le due agenzie ne sono a conoscenza? Li hanno valutati? Hanno preso delle deliberazioni?
Senza precise risposte a queste domande si potrebbe pensare ad un caso di omissione di atti d’ufficio?