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La mente come campo di battaglia. L’innovativa versione di Caligiuri

Potrebbe essere opportuno cominciare a delineare una “geopolitica della mente”, intesa come il campo di battaglia dove si sta svolgendo la lotta per il potere, in modo da esercitare il dominio definitivo sulle persone e sulle nazioni, poiché oltre il controllo della mente non può esserci altro. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e direttore del master in Intelligence dell’Università della Calabria

Il nostro Paese deve a Lucio Caracciolo la ripresa della geopolitica, intesa come lo studio dei fattori di potenza di uno Stato che tengono conto, nella lunga durata, della geografia e della storia, collocati nell’attualità dello scenario politico.

Le principali teorie geopolitiche argomentano che domina il mondo chi controlla i mari, il centro della terra, l’aria e lo spazio.

Infatti, il controllo dei mari ha consentito all’Inghilterra di costruire un impero che si estendeva in tutti i continenti; la presenza militare nelle linee di faglia tra l’Asia e l’Europa è ancora oggi strategica, come nel “grande gioco” dell’Ottocento; il dominio dell’aria venne teorizzato dal generale italiano Giulio Douhet dato che proprio il nostro Paese utilizzò in Libia nel 1911 per la prima volta gli aerei in un conflitto; la corsa allo spazio tra le due superpotenze ideologiche dopo la seconda guerra mondiale venne considerato un fattore determinante.

Negli ultimi vent’anni, si è progressivamente esteso lo spazio cibernetico, che è asimmetrico per definizione dove piccoli Stati come territorio possono rappresentare grandi potenze, quali Israele e Corea del Sud.

Dal cyber spazio arrivare al sesto dominio, per me quello della mente, il passo è breve, poiché nel 2030 tecnicamente tutti i cittadini del mondo potranno essere connessi a Internet. Pertanto se tutti siamo collegati tutti potremmo essere controllati e quindi in gran parte condizionati.

Appunto per questo, potrebbe essere opportuno cominciare a delineare una “geopolitica della mente”, intesa come il campo di battaglia dove si sta svolgendo la lotta per il potere, in modo da esercitare il dominio definitivo sulle persone e sulle nazioni, poiché oltre il controllo della mente non può esserci altro.

Le ricerche scientifiche ci dimostrammo che da sempre il nostro modo di pensare è già in gran parte condizionato dalla genetica e dall’ambiente, cioè dalla famiglia da cui nasciamo e dal contesto sociale e nazionale in cui viviamo, che orientano inevitabilmente il nostro futuro, trasmettendo inoltre dei pregiudizi sulla percezione della realtà.

In tale quadro, va ricompresa la “geopolitica delle emozioni”, teorizzata da Dominique Moïsi che ipotizza i continenti della speranza, della paura e dell’umiliazione, sostenendo che “viviamo tutti lo stesso tempo ma lo percepiamo in maniera differente”.

Pertanto, la geopolitica della mente è collegata direttamente allo studio del futuro. La società post-industriale è infatti basata sulla progettazione del futuro, tanto che soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, politici, accademici, scienziati e operatori dell’intelligence, si sono esercitati sul futuring. Non sembri pertanto casuale che lo studio del futuro sia materia di insegnamento nelle scuole scandinave e sarebbe bene lo diventasse anche in Italia, integrando tanti decrepiti percorsi disciplinari scolastici e accademici.

Mai come in questi anni di pandemia, e adesso con la guerra russo-ucraina, è evidente come accanto alla guerra reale vi sia quella dell’informazione, che provoca effetti distorsivi devastanti. Per descriverli Marshall McLuhan ricordava che “quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua”. Vale lo stesso per noi che siamo totalmente immersi nella disinformazione e cogliamo l’esatto opposto della realtà.

Non solo la dialettica tra verità e menzogna ha sempre contraddistinto la storia dell’umanità, tanto che Aulo Gellio sosteneva che “la verità è figlia del tempo”, ma oggi tutto sta cambiando in modo strutturale con l’avvento dell’intelligenza artificiale. Non a caso, il futuro dell’intelligence è quello di confrontarsi in uno scontro di intelligenze: quella umana da un lato e quella artificiale dall’altro.

Secondo Ray Kurzweil il 2043 sarà l’anno della “singolarità”, con l’intelligenza artificiale destinata a superare quella umana. Per coincidenza, il 2043 è lo stesso anno in cui Philip K. Dick ambienta il suo racconto Minority report in cui i crimini vengono previsti prima che si commettano.

L’intelligenza artificiale potrebbe comportare uno spill-over, un salto di specie come quello che segnò il passaggio dall’uomo di Neanderthal all’uomo Sapiens e da questo si sta arrivando all’uomo Simbioticus, caratterizzato da una inevitabile ibridazione tra uomo e macchina. E se adesso siamo orientati dall’intelligenza artificiale nell’immediato futuro potremmo anche esserne controllati.

E se la macchina potrà sviluppare una coscienza, negli anni Cinquanta aveva risposto affermativamente finanche Alan Turing, uno dei padri dell’intelligenza artificiale e protagonista della decifrazione del codice “Enigma” utilizzato dall’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale.

Già oggi viviamo in tre dimensioni che si sovrappongono contemporaneamente: fisica, virtuale e aumentata, quest’ultima intesa come risultato dell’ibridazione tra uomo e tecnologia.

In tale quadro, si conferma l’importanza dell’intelligence non solo per predire accadimenti e fenomeni sociali ma soprattutto per interpretare gli eventi, in uno scenario caratterizzato dalla dismisura delle informazioni.

E mentre in passato il consenso era ottenuto con la forza, attualmente è raggiunto attraverso la persuasione e la propaganda, che rendono sempre più difficile distinguere il vero dal falso.

Pertanto, prevalere nell’informazione è determinate. Non solo Bill Gates aveva evidenziato che per cittadini e imprese è essenziale eccellere nel settore dell’informazione, ma come strategia nazionale gli Stati Uniti già nel 1997 avevano definito il concetto di information dominance, in base al quale “nei conflitti di domani prevarrà chi racconterà la storia migliore”.

Nel libro Stati nervosi, William Davies argomenta che oggi l’emozione ha conquistato il mondo, orientando l’azione di cittadini insofferenti e frustrati, sempre più scettici verso esperti e istituzioni, con algoritmi impostati in base al comportamento umano che è “prevedibilmente irrazionale”, come sostenuto dal premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman.

E se la Guerra fredda è stata soprattutto una guerra di intelligence, combattuta attraverso le spie e le informazioni, la disinformazione e l’influenza culturale, con la globalizzazione e il cyberspazio lo scenario si è profondamente trasformato.

Infatti, la manipolazione è diventata capillare e incontenibile, venendo utilizzata non tanto per finalità politiche, quanto economiche, con gli Stati diventati entità finanziarie e con le multinazionali che condizionano pesantemente i governi democratici.

Prima di tutto occorre comprendere che la disinformazione è ormai la caratteristica più significativa di questo tempo. È necessario, quindi, individuare le informazioni rilevanti, quelle che avvicinano alla sempre complessa comprensione della realtà. Pertanto, l’intelligence è una necessità sociale, indispensabile per cittadini, imprese e Stati. Ma sviluppare la cultura dell’intelligence richiede un grande investimento culturale sull’educazione, che dovrebbe occupare il primo posto nelle agende dei governi, che invece sono erroneamente concentrati solo sull’economia.


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