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Una psicoterapia per chi si occuperà del catasto. Scrive Pennisi

Si dovrebbe prevedere un ri-equilibrio delle aliquote riducendo quelle sulle seconde e terze case e reintroducendo una real estate tax che comporti anche il pagamento dei servizi comunali (nettezza urbana, manutenzione delle strade, illuminazione e così via) in un’imposta unica. Il commento di Giuseppe Pennisi

Ora sappiamo che la riforma del catasto si farà, ma da ex-proprietario di un paio di appartamenti (di cui ora ho l’usufrutto; i mei due figli sono titolari della nuda proprietà) credo che la riforma (che metta ordine in quello che è ormai riconosciuto internazionalmente come un pasticciaccio brutto da commedia all’italiana anni sessanta del secolo scorso venga accompagnata da un cura psichiatrica per coloro che a livello dei singoli comuni gestiscono l’operazione. Se del caso, utilizzando l’apposito bonus varato di recente.

Nelle mie, fortunatamente rare, esperienze con il catasto, sono giunto alla conclusione che all’origine del pasticciaccio brutto non ci sia solo sciatteria e altro ma problemi di stabilità quanto meno emotiva di chi tocca il catasto. Non posso spiegare altrimenti i due episodi che mi hanno messo in contatto con il catasto.

Il primo risale a circa una ventina di anni fa quando nel piccolo immobile dove vivo ed opero al centro di Roma (costruito nel 1910, mia nonna vi viveva nel 1969) si decise di costruire, riducendo il vano scale, un ascensore. Nei lavori di rinsaldamento dell’immobile, si scoprì che più o meno tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, il proprietario del quartino al piano terra, si era appropriato delle due belle cantine di pertinenza ai miei due appartamenti ed (in barba di come l’immobile era accatastato) vi aveva fatto due camere da letto, costruendo una scala per collegarle al piano terra e – visto che c’era – scavando un bel giardino in modo che le due camere da letto avessero luce ed anche una gradevole vista verso Piazza Cola di Rienzo. Al catasto non risultava nulla di tutto questo. Cosa fare? In una vertenza legale, la controparte avrebbe opposto l’usucapione. Per fare sì che la proprietà potesse essere un giorno venduta, feci a mie spese le modifiche al catasto dove mi venne detto che a Roma la trasformazione di cantine in stanze da letto ed ancor più di garage in negozi (senza effettuare alcuna modica catastale) era prassi normale, a cui al catasto ci si era abituati…

Il secondo è di una decina di anni fa. Come già narrato su questa testata. Nel 2017, mentre ero in una riunione, vengo chiamato sul cellulare da una società di intermediazione di immobili di lusso che mi chiede se sono disposto a vendere un locale di mia spettanza in quel di Via Anastasia 5 di Acireale a chi comprava il resto del “Palazzo”. Non sapevo di possedere locali in quel di Acireale; non lo sapeva neanche l’Agenzia delle Entrate che altrimenti mi avrebbe chiesto di pagare l’Imu. Ho cercato di sapere se un mio prozio, defunto nel 1971, mi avesse lasciato nulla. Contatti con gli eredi del notaio (anche lui da decenni sottoterra) non hanno portato alla scoperta di alcuna eredità o legato. Mi rivolgo a Internet: il “Palazzo” di Via Anastasia è una casa composta di piano terra, un piano e terrazza. Dalla società, infine, apprendo che l’immobile di mia proprietà sarebbe stato un locale al piano terra di 50 metri quadri in co-proprietà con altri tre (forse un magazzino). Riesco a contattare uno degli altri tre. Anche lui all’oscuro di tutto ma residente in quel di Acireale. Si decide di far fare una correzione catastale. Si dà mandato ad un geometra, il quale, con la parcella, mi invia copia dei documenti sui passi effettuati. A tutt’oggi non è stata fatta. Acireale ha appena 50.000 abitanti (Roma circa 3 milioni) ma anche lì vige la psiconevrosi del catasto.

La riforma del catasto prevede l’introduzione di modifiche normative e operative dirette ad assicurare l’emersione di immobili e terreni non accatastati e correggere gli errori nelle attuali scritture catastali. Oltre alla rendita catastale inoltre è prevista per ciascuna unità immobiliare di rilevare il relativo valore patrimoniale, in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato e introducendo meccanismi di adeguamento periodico. Questo senza che ci sia una modifica nel gettito tributario, ovvero maggiori tasse per i cittadini. Si tratta di quel censimento del patrimonio immobiliare, proposto da numerosi specialisti di scienza delle finanze e di diritto tributario anche del compianto prof. Francesco Forte il quale nelle sue ultime conversazioni sosteneva che per fare tale censimento bisognava cambiare “la mentalità” di chi in numerosi comuni si occupa da decenni di catasto.

Le nuove informazioni non saranno rese disponibili prima del 1° gennaio 2026 e intendono fornire una fotografia aggiornata della situazione catastale italiana. Gli estimi catastali, le rendite e i valori patrimoniali per la determinazione delle imposte rimangono quelli attuali. Le nuove informazioni raccolte non avranno pertanto alcuna valenza nella determinazione né delle imposte né dei redditi rilevanti per le prestazioni sociali.

Questo è quanto prevede la delega. A mio avviso, ma credo di essere in una risicata minoranza, si dovrebbe prevedere un ri-equilibrio delle aliquote riducendo quelle sulle seconde e terze case e reintroducendo una real estate tax che comporti anche il pagamento dei servizi comunali (nettezza urbana, manutenzione delle strade, illuminazione e così via) in un’imposta unica. In tal modo, si completerebbero quelle che al liceo si chiamavano “le basi” su cui mettere in opera la psicoterapia per il catasto.


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