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C’era una volta il centrodestra

Va ricordato che comunque vadano le cose a fine anno si scioglieranno le Camere e una maggioranza politica ed elettorale dovrà pur realizzarsi. Il tempo corre veloce, incredibile che a destra non ci pensi nessuno

La data non si sa ancora e ufficialmente della questione non ne parla nessuno, ma tra il 15 aprile e il 15 giugno si andrà comunque a votare in 977 comuni italiani tra cui 26 capoluoghi di provincia e 143 comuni oltre i 15.000 abitanti.

Nella stessa giornata si dovrebbe (forse) votare anche per i referendum sulla giustizia promossi da Radicali e Lega. Solo in Valle d’Aosta (dove però si vota in solo 4 piccoli comuni) ma a testimonianza di maggiore serietà “montanara” le elezioni sono già state fissate per il 15 maggio.
Voto per città importanti da Palermo a Padova, da L’Aquila a Verona, da Taranto a tutti i capoluoghi del sud del Piemonte, da Messina a Genova. Un test elettorale di milioni di elettori a meno di un anno dalle elezioni politiche ma che per ora sta passando sotto traccia.

Nel centrodestra per esempio tutto tace ed è significativo perché – reduce dall’infausta tornata delle amministrative dell’autunno 2021 – l’alleanza dovrebbe in qualche modo prepararsi a un turno elettorale che si preannuncia molto divisivo e a rischio di nuovi disastri, complice – una volta di più – la superficialità ed il disinteresse dei leader.

Infatti, almeno ufficialmente, tutto tace e il tema non risulta essere motivo di preoccupazione né di urgenza per dei leader che vanno ciascuno per conto proprio, al più incontrandosi solo al “quasi-matrimonio” di Berlusconi, cui però era invitato soltanto il “fido” Matteo Salvini, il che ha portato i commentatori a leggere questa presenza quasi come una incoronazione di potenziale successione all’onnipresente ed inossidabile (anche se per molti patetico) Silvio Berlusconi.

I bene informati sostengono che Meloni e Salvini non si sentono dal 28 gennaio quando – improvvido – l’ascensore del leader della Lega “saltò” il quinto piano del palazzo dei gruppi in Via dei Prefetti, là dove era atteso (invano) da Giorgia Meloni per concordare le mosse. Era il giorno in cui si doveva decidere sul Mattarella-bis e che finì come si sa, compreso il siluramento (e affondamento) politico di una alleanza di centrodestra che per la partita Quirinale era partita con i favori del pronostico.

Da allora le tensioni tra i gruppi sono aumentate con scortesie collaterali: le reti Mediaset hanno di fatto cancellato le presenze di esponenti di Fratelli d’Italia, Meloni non è stata invitata al “quasi matrimonio” di Berlusconi e soprattutto in periferia è in corso una serrata guerra di posizioni che – in vista di elezioni amministrative – non promette mai nulla di buono.

E pensare che la guerra in Ucraina era stata occasione di un forzato riavvicinamento di FdI al governo, occasione che sta evaporando anche per le difficoltà di Draghi a chiudere in maniera soddisfacente il “pacchetto energia” dando spazio alle proteste dell’opposizione per il perdurante caro carburanti.

Colpisce così questa mancanza di volontà a correre insieme, pur ripetendo il mantra che una alleanza “naturale” ci sarebbe nei fatti. La realtà è ben diversa e anche questi atteggiamenti fanno pensare che salgano le quotazioni di un nuovo sistema elettorale proporzionale dove la visibilità dei singoli partiti sarebbe il “valore aggiunto” che ciascuno alla fine attribuisce a sé stesso.

In un momento in cui la sinistra è profondamente divisa il centrodestra non solo sembra comunque incapace di riannodare i propri nodi, ma è magnanimo nel permettere a Letta tempo prezioso per tentare intanto di ricucire i suoi: una “grazia ricevuta”, una bombola d’ossigeno di impensabile valore.

Va infatti ricordato che comunque vadano le cose a fine anno si scioglieranno le Camere e una maggioranza politica ed elettorale dovrà pur realizzarsi.

Il tempo corre veloce, incredibile che a destra non ci pensi nessuno.



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