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La Cina è in ginocchio per Omicron. Ma non molla sulla sorveglianza

La città di Shanghai è sotto un rigido lockdown che ha provocato alcuni disordini, mentre il governo di Pechino assegna allo Stato il controllo esclusivo delle banche dati di informazioni genetiche, considerate “il nuovo petrolio”

In Cina la pandemia non è finita. Con circa 25 milioni di cittadini in lockdown, la città di Shanghai si avvia a un piano in “due fasi” per cercare di contenere la diffusione della variante Omicron. Dopo quelli del 2020, questo è il confinamento più rigido della pandemia sul territorio cinese.

Wu Fan, un membro del team di esperti per la prevenzione e il controllo del Covid-19 della municipalità di Shanghai, ha spiegato che “è necessario assumere misure decisive e risolute per ridurre ulteriormente i contatti sociali, intercettare rapidamente e trovare le persone infette ed eliminare la trasmissione nascosta del virus”.

Il governo di Pechino resta convinto della politica “zero Covid”, basata sui tamponi di massa e confinamenti per zona, ma recentemente ha introdotto alcune modifiche per venire incontro all’attività produttiva del Paese.

La modalità del lockdown a Shanghai, infatti, è diversa rispetto ai precedenti. La città è “divisa” dal fiume Huangpu. Gli abitanti della zona est del fiume, Pudong, sono confinati nei loro quartieri e non sono autorizzati trasferimenti da e verso l’area a ovest del fiume (Puxi). Questa misura resterà per quattro giorni. Da venerdì, invece, partirà un lockdown di quattro giorni per gli abitanti dell’ovest del fiume, Puxi.

La Borsa di Shanghai continuerà a operare anche durante il lockdown con il personale ridotto al minimo. E restano aperti aeroporti, ferrovie e servizi merci internazionali e nazionali.

Nei supermercati si sono registrati alcuni scontri tra persone che volevano acquistare i pochi prodotti a disposizione. Un utente di Weibo, il social network cinese simile a Twitter, ha scritto: “Dopo che non sono riuscito a comprare niente stamattina, mi sono addormentato di nuovo e ho sognato che compravo cibo al supermercato. Non avrei mai pensato di preoccuparmi per acquistare alimenti nella società attuale”.

Il rischio di disordini sociali è quindi latente. E il governo va avanti con i piani per stringere il controllo e la sorveglianza dei cittadini. Secondo Axios, ora il data base di informazioni genetiche dei cinesi è diventato una risorsa nazionale, che rafforza il controllo dello Stato sulle banche e altri archivi genetici.

“La raccolta e l’uso delle informazioni genetiche sono irte di preoccupazioni etiche – si legge su Axios -, tra cui il consenso e la privacy, lo sfruttamento dei gruppi emarginati e una crescente tendenza transnazionale verso la sorveglianza genetica”.

Negli ultimi anni, le autorità cinesi e le società private hanno raccolto informazioni genetiche delle persone, sia dentro che fuori dalla Cina. Sono stati ricavati campioni di sangue degli uomini, specificamente, per creare una mappa genetica dell’intera popolazione maschile della Cina. Quest’operazione è stata definita dal quotidiano The New York Times una “grande escalation degli sforzi della Cina per utilizzare la genetica per controllare la sua gente”.

Nella regione dello Xinjiang, le autorità hanno costretto molti membri della stessa minoranza etnica, gli uiguri, a dare i campioni biologici, mentre il Beijing Genomics Institute ha archiviato informazioni genetiche da donne di tutto il mondo che avevano utilizzato test prenatali realizzati con loro.

Con l’annuncio di Pechino, questo “data base genetico” considerato “risorsa nazionale” non potrà uscire dalla Cina. Ed è anche imposta “la catalogazione dei database genetici umani, compresi i dati presso le istituzioni accademiche, da effettuare ogni cinque anni”, precisa Axios.

Seguendo il principio che “i dati sono il nuovo petrolio”, la Cina ha vietato la trasmissione dei dati genetici all’estero, sostenendo di volerli proteggere da abusi da parte di attori privati, ma consegnando al governo il controllo totale.

In altri Paesi, inclusi Regno Unito e Stati Uniti, ci sono data base di informazioni genetiche e sanitarie simili, ma nel caso cinese le nuove norme suggeriscono che ci sarà un uso statale di questi dati.

Lisa Parker, direttrice del Center for Bioethics & Health Law all’Università di Pittsburgh, ha detto ad Axios che queste misure sulle informazioni genetiche in Cina è preoccupante: “Abbiamo imparato dalle nostre popolazioni tribali indipendenti negli Stati Uniti che ritengono che le loro risorse genomiche siano state sfruttate”.



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