L’articolo di Luigi Paganetto, “Nulla sarà più come prima” ha innescato un dibattito su come dovranno cambiare, in brevissimo tempo, le politiche economiche europee. L’economista Pasquale Lucio Scandizzo si concentra sul faticoso adattamento dell’economia mondiale a una nuova serie di obiettivi sociali tra tensioni e conflitti, che richiede risorse sia per finanziare una strategia per “ricostruire meglio” sia per compensare i perdenti
L’articolo di Luigi Paganetto: “Nulla sarà come prima. L’Europa è pronta?”
L’articolo di Michele Bagella: “Come l’Occidente può vincere la guerra economica”
L’articolo di Maurizio Melani: “Game changers e nuove politiche europee”
La crisi russo-ucraina è stata una infelice sorpresa in un mondo che si apprestava (ancora una volta) ad uscire da una crisi profonda (indotta dalla pandemia) con aspettative positive di ricostruzione e ripresa e nella prospettiva già difficile, ma apparentemente non ancora disperata, di far avanzare la transizione energetica.
Oltre a rendere questa prospettiva più ardua con la minaccia di una recessione globale, la guerra ha fatto esplodere il problema della “governance internazionale che non c’è” e dei conflitti nel campo dell’energia, diviso tra partnership disuguali tra Paesi produttori e consumatori e nuovi paradigmi di intervento statale e di partecipazione sociale.
La mancanza di governance internazionale si riflette nei conflitti di interesse che dividono i Paesi europei e gli Usa, e nel maggior valore che si attribuisce alla resilienza del sistema economico e produttivo e alle varie opzioni energetiche, oltre, anche in modo contraddittorio, alla ricerca di un maggiore grado di unità, partecipazione sociale e democrazia deliberativa tra i Paesi occidentali.
I possibili scenari di transizione sono in via di cambiamento e sono essi stessi soggetti ad incertezze profonde di breve e lungo termine. Nel caso del settore elettrico, per esempio, le architetture organizzative, le procedure e i regolamenti per la proprietà e il controllo sono sempre stati controversi con diversi accordi legali e di governance nei diversi paesi. Questa è in parte la conseguenza della natura del fabbisogno globale di energia di base e in parte il risultato dei cambiamenti storici che hanno plasmato l’industria nel corso del secolo scorso. Fin dal suo inizio e fino al 1990, i settori dell’elettricità in tutto il mondo erano in gran parte organizzati sulla base del principio del monopolio naturale, associato a un’idea generale dell’elettricità come forma di bene pubblico di base che non poteva essere mercificata senza mettere in pericolo un diritto fondamentale dei cittadini di uno stato.
Il concetto di monopolio naturale costituiva la giustificazione economica di pesanti regolamentazioni del mercato e l’evoluzione dei servizi pubblici come organizzazioni industriali non di mercato o quasi-mercato, ma la giustificazione sociale era altrettanto importante. Ad esempio, la Federazione delle centrali elettriche tedesche ha descritto l’elettricità come “un prodotto non come altre merci ma un servizio per il quale, come l’acqua potabile, non c’è concorrenza in nessuna parte del mondo”. Più recentemente, i progressi tecnologici hanno messo in dubbio il fondamento empirico dell’ipotesi del monopolio naturale, soprattutto per le parti del sistema che non riguardano gli aspetti di “bene comune” e dove la concorrenza e il coordinamento decentralizzato appaiono più probabili motori di efficienza e benessere sociale. E tuttavia, la crisi della governance mondiale e la natura di bene pubblico globale dell’energia richiamano ora in campo il ruolo strategico del settore pubblico nella pianificazione e gestione dell’energia, in tutta la complessità delle sue catene di valore nazionali e internazionali, e della sfida sempre più ardua della individuazione di possibili percorsi di transizione.
Più in generale, nelle trasformazioni presenti e future, le organizzazioni del sistema di potere svolgono un ruolo importante, ma gran parte della loro evoluzione è sussunta da cambiamenti più profondi e dirompenti che coinvolgono l’intera economia globale e possono cambiare completamente il panorama delle istituzioni nazionali e internazionali. Il contrasto tra il settore e il punto di vista generale è particolarmente elevato quando si evocano cambiamenti sistemici, come il concetto stesso di transizione e il problema del disaccoppiamento dell’economia dalla crescita. In tutti questi casi, le considerazioni del settore energetico sono cruciali, ma, allo stesso tempo, sono in gran parte un sottoprodotto di cambiamenti di sistema che trascendono la logica del settore nelle sue attuali forme organizzative e nel modo in cui si adatta al resto del sistema sociale ed economico. Molte delle riforme settoriali (auspicabili) riflettono le tendenze generali verso una migliore miscela di potere statale e di mercato, con un peso maggiore per istituzioni più inclusive e socialmente partecipative, ma non affrontano la questione infinitamente più impegnativa del futuro dell’umanità.
La crisi attuale porta anche alla ribalta la differenza di portata e scala dei due problemi concorrenti, ma distinti, di governance e gestione della transizione.
L’evoluzione delle istituzioni e delle strutture organizzative è in gran parte un problema di governance, cioè come le società auto-organizzanti cambiano endogenamente le loro istituzioni in relazione alle sfide trasformative della transizione. Affrontare problemi specifici di transizione, in un contesto di trasformazione in corso, e utilizzare sia gli accordi istituzionali esistenti che quelli nuovi, tuttavia, è un problema di gestione. Ad esempio, il problema degli attivi non recuperabili (i cosiddetti “stranded assets”) è uno dei principali problemi economici della gestione della transizione.
Esso è una manifestazione del fatto che i valori economici sono contingenti agli stati del mondo, e quindi comportano un’incertezza fondamentale che può essere attenuata, solo in casi limitati, dalla diversificazione e dalle strategie assicurative. Mentre tutti gli asset di dipendenti dall’energia sono interessati (compresi edifici e macchinari) da un deprezzamento accelerato dalla prospettiva di transizione energetica, le aspettative di mercato fanno sì che la ricchezza basata sulle riserve di combustibili fossili perda valore nel tempo, accelerando paradossalmente il suo grado di sfruttamento (il cosiddetto paradosso verde).
Poiché i diritti residui sui giacimenti sono tipicamente attribuiti ai governi nazionali, questa perdita di ricchezza si traduce direttamente in perdite aggregate di performance economica da parte dei Paesi coinvolti (per lo più in via di sviluppo, ma non dimentichiamo la Russia che è sostanzialmente una economia dipendente dalla produzione di energia).
Sul fronte del mercato, le attività sono bloccate perché i loro valori ex-post divergono dai rendimenti attesi ex-ante, con conseguenti perdite di riallocazione per i proprietari, che possono anche assumere la forma di fallimenti e chiusure di imprese (qualora lo stato emergenziale persista nel tempo).
Le variazioni relative dei prezzi spostano le risorse dal vecchio capitale ai nuovi proprietari di capitale, con allocazione positiva ed effetti ambientali nel lungo periodo (il cosiddetto “doppio dividendo”), ma elevati costi di aggiustamento, conflitti e perdite sociali nel breve periodo.
La transizione può quindi essere vista come un processo di faticoso adattamento dell’economia mondiale a una nuova serie di obiettivi sociali tra tensioni e conflitti, che richiede risorse sia per finanziare una strategia di “ricostruire meglio” sia per compensare i perdenti.
Da dove verrebbero queste risorse? Un semplice elenco includerebbe il debito pubblico, la messa in comune delle risorse internazionali, l’aumento degli aiuti allo sviluppo, l’innovazione finanziaria, il progresso tecnologico e, ultimo ma non meno importante, la rinuncia a una certa crescita per qualche tempo almeno per i Paesi più ricchi.
Le modifiche organizzative per supportare la raccolta e la distribuzione di queste risorse sarebbero fondamentali per il successo della transizione. Uno strumento straordinario potrebbe essere proprio la crisi attuale, con prezzi dell’energia che incoraggiano lo sfruttamento accelerato delle riserve di combustibili fossili e trasferiscono risorse ai Paesi potenzialmente più colpiti dalle prospettive della transizione. Il fatto che questi Paesi includano la Russia forse non è casuale.