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Quanto è difficile parlare di Taiwan in Italia. Due casi in pochi giorni

Due episodi in una settimana, con protagoniste altrettante istituzioni italiane: il Politecnico di Milano e la Bologna Children’s Book Fair. Il commento di Stefano Pelaggi, docente alla Sapienza Università di Roma

Nell’ultima settimana due episodi riguardanti Taiwan, molto simili tra loro, hanno interessato due istituzioni italiane.

Il più recente riguarda il Politecnico di Milano: da qualche giorno circola online un video in cui Chen Zhen, docente a contratto dell’ateneo milanese, ammonisce con toni molto duri uno studente taiwanese rispetto alla scelta di scrivere Taiwan nella parte dedicata alle informazioni personali della propria scheda. Il docente, con un tono paternalistico e decisamente aggressivo, propone una propria personale visione della sovranità taiwanese. In un discorso, singolarmente interamente impostato sull’opposizione tra noi (Repubblica popolare cinese) e voi (Taiwan), Chen tenta di convincere lo studente dell’inesistenza della nazione in cui lo stesso studente è nato e vissuto. Da “Taiwan è soltanto una regione soltanto una regione e non una nazione indipendente” a “il vostro governo può fare dei giochi di parole, manipolare e ingannare il popolo”, i toni di Chen sono molto duri, nonostante all’inizio della conversazione il docente specifichi che si tratta di un dialogo informale, al di fuori dei ruoli definiti dalla circostanza. Al di là dei compromessi semantici della One China Policy e delle ambiguità sulla sovranità taiwanese è bene ricordare come Taiwan è una nazione che emette moneta, dispone di un proprio esercito, controlla il territorio e difende i propri confini. I cittadini taiwanesi hanno un passaporto, di colore verde con la scritta Taiwan, che gli consente di entrare, senza bisogno di un visto, in più di 150 Paesi. Gli Uffici di rappresentanza di Taiwan sono presenti in più di cento capitali nel mondo, Roma inclusa, e svolgono le tipiche funzioni consolari e diplomatiche, dall’emissione di visti ai servizi per i cittadini taiwanesi all’estero alla promozione degli scambi commerciali. Ma lo studente taiwanese non ha bisogno di un docente a contratto in Architettura che gli spieghi lo status del Paese in cui è nato e vissuto.

La cooperazione tra la Repubblica popolare cinese e il Politecnico di Milano appare molto solida. Ci sono nell’organigramma dell’università ben tre delegati agli affari internazionali che si occupano esclusivamente di un ateneo cinese, uno per l’Università Jiao Tong di Shanghai, uno per l’Università Tongji di Shanghai e uno per l’Università di Xian Jiaotong. Nessuno altro Paese può vantare un delegato per una singola università al Politecnico di Milano, e neanche per un singolo Paese, segno di grande interesse per l’ateneo milanese nei confronti della Cina. In un post apparso sulla stampa cinese nelle settimane immediatamente successive alla diffusione della pandemia Covid-19 nel marzo 2020 il docente Chen Zhen viene fotografato insieme a Graziano Dragoni, direttore generale di Politecnico di Milano, e ad altri ex studenti cinesi dell’ateneo milanese mentre consegna materiale per la prevenzione del contagio. Si tratta presumibilmente di mascherine, un evento che viene ampiamente pubblicizzato sulla stampa cinese ma che, singolarmente, non viene promosso dal sito di Politecnico di Milano. Nello stesso periodo una serie di donazioni dalla Cina veniva pubblicizzata sui media cinesi, una situazione che sfiorò l’assurdo con la diffusione di un video contraffatto con gli abitanti che gridavano “Grazie Cina” dai balconi.

L’influenza della Repubblica popolare cinese negli atenei occidentali è stata oggetto di numerosi studi e analisi, tra cui La mano invisibile. Come il Partito comunista cinese sta rimodellando il mondo di Clive Hamilton e Mareike Ohlberg. Si tratta di una dinamica molto complessa. Gli studenti cinesi sono una incredibile risorsa per i bilanci delle università occidentali e la cooperazione con gli atenei della Repubblica popolare cinese rappresenta un importante fonte di finanziamento. Le esplicite richieste da parte delle istituzioni cinesi sono solitamente del tutto accettabili ma nella maggior parte dei casi gli analisti hanno rilevato una sostanziale tendenza alla censura preventiva e un atteggiamento accomodante nei confronti della linea del Partito comunista cinese. I tabù principali sono l’oppressione delle minoranze religiose dal Tibet allo Xinjiang, ogni riferimento alle proteste di piazza Tienanmen e, sempre più importante, la questione taiwanese.

Il Politecnico di Milano ha risposto a una richiesta di informazioni sugli sviluppi della vicenda da parte di Formiche.net ricordando che il professore è un docente a contratto; quindi, fa parte del personale interno strutturato anche se svolge attività di insegnamento continuativa, e che l’ateneo ha attivato le procedure interne volte a verificare il rispetto del Codice etico e di comportamento.

Il video del professore del Politecnico rappresenta un piccolo tassello di un’azione costante di ridefinizione della questione taiwanese negli atenei occidentali e italiani. Sempre più spesso ogni riferimento a Taiwan viene bollato come scomodo, il pericolo è quello di interrompere il flusso di studenti e tutta la proficua economia legata agli scambi con la Repubblica popolare cinese. Il senatore Lucio Malan (Fratelli d’Italia), presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Taiwan, ha annunciato che una interrogazione parlamentare sulla vicenda mentre l’ex sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti (al tempo Partito democratico e Alleanza per l’Italia) ha chiesto la sospensione del docente. Difficilmente l’approccio degli atenei italiani potrà cambiare a meno di un radicale cambio di rotto. Nessuno delle istituzioni accademiche promuove la censura e nessuno dei singoli attori attua delle politiche di soppressione o limitazione della libertà, si tratta di un lento e inesorabile processo composto da piccole omissioni e trascurabili dimenticanze. Per questo motivo è importante sottolineare una vicenda, minore, come quella del Politecnico.

Negli scorsi giorni alla Bologna Children’s Book Fair, una delle più importanti fiere del settore in Europa, gli organizzatori hanno scelto di apporre una striscia adesiva per cancellare la nazionalità dell’artista taiwanese Pei-hsin Cho. L’artista aveva vinto il premio come migliore illustratrice nell’edizione del 2021 e la Repubblica popolare cinese aveva espressamente comunicato al Comune di Bologna e alla Regione Emilia-Romagna che la denominazione dell’artista doveva essere cambiata da “Taiwan” a “Cina Taiwan”. Gli organizzatori hanno deciso di non menzionare la nazionalità dell’artista per non creare tensioni con l’amministrazione regionale che cofinanzia la manifestazione. 

Numerosi studi e analisi sulla proiezione cinese in Occidente hanno sottolineato un’azione simile, una censura preventiva promossa in ambito accademico e istituzionale con occasionali momenti di protesta ufficiale. Si tratta di una operazione sistematica che mira a definire in maniera precisa i confini semantici su ogni narrazione dedicata a Taiwan.

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