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Nulla è definitivamente perduto. La diplomazia di Francesco secondo padre Spadaro

Pubblichiamo una sintesi schematica dell’intervento di Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica, alla presentazione del nuovo numero della rivista Italianieuropei dal titolo “Papa Francesco e il mondo” che si è tenuta lunedì 28 febbraio a Roma. A parlarne con Massimo D’Alema, presidente della Fondazione Italianieuropei, c’era anche Alberto Melloni, professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Modena Reggio Emilia

Ha ragione Scalfari a dire che Papa Francesco è «uno spirito profetico che incide sulla politica». Qual è la radice di questo spirito?
«È auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto»: così Francesco ha scritto nel suo Messaggio per la 50ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Nel gennaio 2016 durante il suo tradizionale incontro con il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa, il Pontefice ha evocato la misericordia ben 8 volte.
In quel discorso è apparso chiaro; il forte legame che Francesco pone tra la sua visione del mondo, la politica internazionale, la diplomazia e la misericordia, cioè il Vangelo.

Resta da capire in che modo la misericordia va intesa come una forma dell’agire politico e diplomatico.
Per Francesco la misericordia di Dio non è un concetto astratto. È l’azione di Dio all’interno delle vicende di questo mondo: delle società, dei gruppi umani, delle famiglie e dei singoli.

Dio agisce non solamente nella vita delle singole persone, ma anche dentro i processi storici dei popoli e delle nazioni. Anche in quelli più complessi e intricati.

Nella sua prima ampia intervista del 2013, pubblicata sulla rivista che dirigo, La Civiltà Cattolica, Francesco disse che «Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia».

La misericordia politica di Bergoglio ha una forte radice teologica, evidentemente, e si fonda su una radice essenziale: il volto di Dio. Contemplare il volto di Dio porta a pensare la riconciliazione nello scacchiere mondiale come un obiettivo praticabile.
Che cosa significa la misericordia come categoria politica, dunque? In estrema sintesi, possiamo dire: non considerare mai niente e nessuno come definitivamente «perduto» nei rapporti tra nazioni, popoli e Stati. Questo è il nucleo del suo significato politico.
Ne delineerò qui alcuni tratti

Una geopolitica che non pone il cattolicesimo come garanzia politica del potere

Francesco oppone una forte resistenza alla fascinazione per il cattolicesimo inteso come garanzia politica, «ultimo impero», erede di gloriose vestigia, pilastro di argine al declino, davanti alla crisi delle leadership globali nel mondo occidentale.

Papa Francesco sta sottraendo il cristianesimo dalla tentazione di rimanere erede dell’Impero romano.

Si pone, dunque, una netta differenza tra:

— lo schema teopolitico imperiale di eredità «costantiniana» che vuole instaurare il Regno di una divinità qui e ora. E la divinità ovviamente è la proiezione ideale del potere costituito. Questa visione genera l’ideologia di conquista, dove la guerra non restaura i diritti ma ridefinisce i poteri.

— lo schema teopolitico «francescano» che è escatologico, cioè guarda al futuro e intende orientare la storia presente verso il Regno di Dio, regno di giustizia e di pace. Questa visione genera il processo di integrazione.

Non “conquista” ma “integrazione”, dunque. È ben lontana da Bergoglio l’idea di un «etnicismo» o «tribalismo» cattolico. Le nozioni di radici e di identità non hanno il medesimo contenuto per il cattolico e per l’identitario neo-pagano. Le radici etniche, trionfaliste, arroganti e vendicative, sono il contrario del cristianesimo.

Bergoglio sa che il «popolo eletto» che diventa «partito» entra in un intricato intreccio di dimensioni religiose, istituzionali e politiche che gli fanno perdere il senso del suo servizio universale, e lo contrappongono a chi è lontano, a chi non gli appartiene, a chi è «nemico». L’essere «parte» crea il nemico: bisogna sfuggire da questa tentazione.

La Chiesa fa politica, ma la fa sul serio quanto più è nel Vangelo. Forse lo aveva ben capito Pier Paolo Pasolini. Bergoglio, credo, si troverebbe d’accordo con queste parole che leggiamo negli Scritti corsari:

«Cristo non poteva in alcun modo voler dire: accontenta questo e quello, concilia la praticità della vita sociale e l’assolutezza di quella religiosa, dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Al contrario – in assoluta coerenza con tutta la sua predicazione – non poteva che voler dire: distingui nettamente tra Cesare e Dio, non confonderli, non farli coesistere qualunquisticamente con la scusa di poter servire meglio Dio: non conciliarli: ricorda bene che il mio “e” è disgiuntivo, crea due universi non comunicanti, o, se mai, contrastanti: insomma, lo ripeto, inconciliabili».

L’elemento religioso invece non va mai confuso con quello politico. Confondere potere spirituale e potere temporale significa asservire l’uno all’altro. Un tratto netto della geopolitica di papa Francesco consiste nel non dare sponde teologiche al potere per imporsi o per trovare un nemico interno o esterno da combattere. La spiritualità non può legarsi a governi o patti militari, perché essa è a servizio di tutti gli uomini. Le religioni non possono considerare alcuni come nemici giurati né altri come amici eterni. La religione non deve diventare la garanzia dei ceti dominanti. Eppure è proprio questa dinamica dallo spurio sapore teologico che tenta di imporre la propria legge e la propria logica in campo politico.

Per questo nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina ha affermato: «Com’è triste, quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra! È molto triste».

Una diplomazia «incompleta» e «aperta» 

La diplomazia incompleta: Papa Francesco non sposa mai i meccanismi interpretativi rigidi per affrontare le situazioni e le crisi internazionali.

La dinamica della misericordia obbliga — anche concettualmente — a quello che Papa Francesco ha definito nella conversazione che ho avuto con lui nel 2013, nell’intervista per La Civiltà Cattolica, «pensiero incompleto» o «pensiero aperto».

Voglio ricordare qui, ad esempio, la situazione siriana e il Medio Oriente. Sappiamo il ruolo importante della Santa Sede contro la guerra in Siria nel settembre del 2013.

Pensiamo al viaggio in Iraq e all’incontro con l’Ayatollah Al Sistani che ha rimesso al centro l’islam sciita nella sua radice più originaria, quella di Najaf, opposta allo scisma politico di Komehini.

E questo è il secondo passo, dopo il primo compiuto ad Abu Dhabi dove ha firmato con l’imam Al Tayeb un fondamentale Documento sulla fratellanza. Il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva, la capovolge e diventa un forte messaggio dal valore religioso, ma anche politico. Non a caso esso porta direttamente a riflettere sul significato della «cittadinanza»: tutti siamo fratelli, e quindi tutti siamo cittadini con uguali diritti e doveri, sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Scompare, dunque, l’idea di «minoranza», che porta con sé i semi del tribalismo e dell’ostilità, che vede nel volto dell’altro la maschera del nemico.

Va ricordata anche l’importante azione che ha portato a riavvicinare Cuba al continente nordamericano. Non si è trattato di riscrivere la storia, ma di andare oltre, avendo piena conoscenza e coscienza delle difficoltà e dei tempi necessari.

La Santa Sede, inoltre, ha contribuito alla riuscita del processo di pace fra il governo della Colombia, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e l’Esercito di Liberazione nazionale (Eln). E così via…

In sostanza la posizione voluta dal Papa consiste nel non dare torti e ragioni, perché alla radice comunque c’è una lotta di potere per la supremazia regionale, definita dal Papa «vana pretesa». Non c’è dunque da immaginare uno schieramento per ragioni morali. Il Papa rifiuta la compenetrazione tra politica, morale e religione che porta ad assumere un linguaggio che suddivide la realtà tra il Bene assoluto e il Male assoluto, tra un «asse del male» e un «asse del bene».

Francesco avverte invece la necessità di vedere il quadro da un’ottica differente. In sostanza, l’atteggiamento del Papa consiste nell’incontrare i maggiori players in campo, per ragionare insieme e proporre a tutti un bene maggiore, ed esercitare il soft power che è il tratto specifico della sua politica internazionale.

Questo mette in moto logiche imprevedibili, proprie di una visione poliedrica, che cioè considera le cose nella loro complessità. Per Francesco la storia del mondo non è un film hollywoodiano. Non arrivano i «nostri» a salvarci contro i «loro»: sa che ci sono in ballo sempre e comunque giochi di interesse. Per questo non entra in reti di alleanze precostituite, mantenendo i giusti rapporti tra dimensione politica e valori spirituali. Questo è molto importante: la Santa Sede ha stabilito o vuole stabilire rapporti diretti e fluidi con le superpotenze, senza voler entrare in reti precostituite di alleanze e influenze.

Bergoglio infatti sposa in pieno la critica agostiniana a una religione intesa come «parte essenziale di tutta la costruzione simbolica e immaginaria» che sostiene «la società attraverso un potere sacralizzato».

Una diplomazia da «ospedale da campo» che guarda dalle periferie

Qual è la visione che il Papa ha del mondo? Come lo vede? Normalmente sono le carte geografiche e i mappamondi a darci una visione globale. Com’è fatto l’atlante di Francesco?

Francesco ha dato due riferimenti chiari: Magellano e Matteo Ricci.

Leggiamo ciò che Francesco ha dichiarato in una intervista rilasciata a La Cárcova News: «Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa». Lo sguardo di Bergoglio è, dunque, quello di Magellano.

E come Bergoglio ama Magellano così ama Matteo Ricci, il gesuita di fine ‘500 — che si trasferì in Cina a 30 anni — e che compose un grande Mappamondo raffigurando i continenti e le isole fino ad allora conosciuti. Così il popolo cinese poteva vedere raffigurate in forma nuova molte terre lontane.

Lo sguardo del Pontefice si nutre quindi degli sguardi periferici di Magellano e Ricci. Lo sguardo dell’estremo oriente e dell’estremo occidente. È lo sguardo del medico che tasta il polso… per capire se il cuore batte,

All’interno di questi estremi vediamo che il modo di muoversi di Francesco, esemplificato nei suoi tragitti apostolici, ha un forte carattere «terapeutico».

Francesco, infatti, tocca le barriere come fossero la testa di un malato. Vuole toccare le terre ferite ad una ad una. Non vuole fare un discorso generale e astratto valido sempre e comunque. Per questo egli, nel suo viaggio in Terra Santa, ha toccato la ferita del muro di Betlemme, sul quale ha poggiato la testa in preghiera. Lo ha fatto per guarire. E lo stesso gesto ha compiuto ad Auschwitz sul muro delle esecuzioni.

Così è avvenuto anche quando Francesco ha visitato la Corea senza parlare di Nord e Sud, ma di Paese unito da una «lingua madre».

Per questo ha visitato Sarajevo (e non Mostar), come si è detto, ma anche l’Albania e Lampedusa, «Porta d’Europa» alla quale ha significativamente donato il Crocifisso ricevuto in dono a Cuba da Raúl Castro. Per questo ha voluto assolutamente visitare Bangui, nonostante le forti pressioni diplomatiche e giornalistiche esercitate su di lui e sulla macchina organizzativa. Ma pensiamo anche allo Sri Lanka, dove per anni Singalesi e Tamil hanno combattuto una guerra fratricida. E il Papa ha toccato le radici cristiane dell’Europa nelle antiche terre del Caucaso del sud, toccando con mano le ferite aperte tra Georgia e Russia, e tra Armenia, Turchia e Arzebaigian.

Infine, ricordiamo il viaggio in Messico e la tappa a Ciudad Juárez, al confine tra Stati Uniti e Messico. L’altare papale era a 80 metri dalla barriera del confine: davanti al Papa c’era il Messico, accanto c’erano gli Stati Uniti. E la gente era raccolta lì, dietro la grata di divisione ad ascoltare la messa. Il muro è diventato un ponte virtualmente superato. Il Papa viaggia per toccare ferite e per porre la sua mano su quelle ferite, come Cristo ha messo la sua mano sulle ferite di allora. Questo è il senso profondo della diplomazia della misericordia.

Francesco è passato dal Myanmar, a grande maggioranza buddista (88% della popolazione), al Bangladesh, in gran parte musulmano (90%).

La fraternità

La fraternità non esprime solamente un principio di condotta della persona. La fraternità deve ispirare l’azione delle formazioni sociali e delle istituzioni.  Questa prospettiva – afferma il Pontefice nella sua Enciclica Fratelli tutti – presuppone un modo diverso di intendere le relazioni internazionali.

A leggerla con attenzione, Fratelli tutti esprime, in realtà, la richiesta di una profonda revisione del programma politico mondiale.

Chiarissimo è l’appello all’importanza del multilateralismo nell’affrontare i temi caldi e le situazioni di crisi.

Secondo Francesco, occorre fare una riflessione sulle istituzioni internazionali. Nel XXI secolo il potere degli Stati nazionali si è indebolito, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. Per questo è indispensabile il ruolo di organizzazioni mondiali, dotate di autorità per assicurare il bene comune a livello globale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali.

Così si misura la vera qualità di un Paese: valutando la capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, specialmente nei periodi critici. Invece quelli che Francesco definisce i «nazionalismi chiusi» manifestano l’errata persuasione di potersi sviluppare a margine della rovina altrui e che chiudendosi agli altri saranno più protetti (cfr. n. 141).

Conclusione

Colpisce che nel panorama internazionale non sia un leader politico a mettere sul tavolo della discussione una visione globale del sistema-mondo, ma un leader spirituale

Oggi, in un periodo storico di transizione culturale come il nostro, c’è bisogno di coltivare un’utopia carica di valenze politiche.

E invece, per Francesco, la politica contemporanea manca di una visione, è incapace di essere arte architettonica perché si è trasformata in un mercato di interessi. La pratica politica deve uscire da questo mercato e ha bisogno di visioni di ampio respiro, una idea di società fondata su valori. La fratellanza, per Francesco, è il valore fondamentale.

La fratellanza, intesa nel suo senso più profondo, «è un modo di fare la storia» (Fratelli tutti, n. 116).

(SFOGLIA LA GALLERY DI PIZZI ALLA PRESENTAZIONE DI ITALIANIEUROPEI)

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