Il regolamento comunitario che contrasta Russia Today e Sputnik è un atto fondamentale sia nell’immediato, sia perché dimostra che non è più rinviabile l’attribuzione di una sovranità autonoma rispetto agli Stati membri. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel Corso di laurea in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara
Il primo marzo 2022 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il Regolamento 350/2022 e la Decisione 351/2022 con i quali vieta a emittenti radiotelevisive, internet provider e piattaforme di veicolare i contenuti di Russia Today e Sputnik, due elementi fondamentali di quella che il Consiglio qualifica come una “sistematica campagna internazionale di manipolazione dei media e di distorsione dei fatti, nell’intento di rafforzare la sua strategia di destabilizzazione dei paesi limitrofi e dell’Unione e dei suoi Stati membri”.
Il difficile bilanciamento fra diritti fondamentali e necessità di contrasto alla disinformazione
Applicando uno schema già messo a punto nel contrasto alle violazioni del diritto d’autore, il Regolamento 350 è progettato per impedire la raggiungibilità dei contenuti propagandistici vietando agli operatori autorizzati (emittenti radiotelevisive, operatori di reti di comunicazione elettronica) sia il broadcasting – la trasmissione – dei contenuti propagandistici sia il conferimento della capacità di diffonderli. Per raggiungere l’obiettivo, il regolamento utilizza nozioni abbastanza vaghe che consentono di interpretare il divieto fino al punto di applicarlo non solo ai servizi di trasmissione (canali satellitari) o di accesso (per esempio, connessioni internet) ma anche a quelli di data centre (hosting, housing) e a quelli di piattaforma (content management system, mailing-list).
In altri termini, i giornalisti di Russia Today possono continuare a raccogliere notizie e svolgere le loro inchieste, ma il risultato del loro lavoro non può essere diffuso o messo a disposizione del pubblico perché nessun operatore può, direttamente o indirettamente, consentire a questo fine l’uso di risorse tecnologiche.
Il Consiglio europeo ha valutato che la compressione della libertà di stampa tramite l’impedimento della diffusione di notizie ma non della loro raccolta è un bilanciamento accettabile fra i diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e le necessità di proteggersi da azioni ostili.
Le complessità applicative
L’applicazione concreta di queste norme comunitarie, tuttavia, non è del tutto praticabile ed efficace.
Per come è scritto, in relazione alla componente internet, il divieto di trasmettere e di fornire capacità trasmissiva di contenuti alle agenzie di stampa russe che operano nell’Unione europea riguarda soltanto i loro fornitori diretti e non, quantomeno esplicitamente, operatori diversi.
In altri termini, certamente nessuno può vendere accesso e servizi di data-centre a questi soggetti ma —per esempio— gli operatori italiani non potrebbero intervenire intercettando selettivamente le richieste di connessione dei propri clienti e bloccandole come accade per le IP TV illegali. In questo caso, infatti, il rapporto contrattuale è fra operatori di accesso e singoli individui i quali decidono in autonomia come utilizzare il servizio. Dunque, anche se Russia Today e Sputnik non possono più trasmettere o rendere disponibili i propri contenuti dall’Europa, nulla vieta di spostare le proprie operazioni altrove e farsi raggiungere via internet. Per evitare questa conseguenza paradossale sarebbe stato necessario che il Consiglio imponesse anche il divieto di raggiungere le piattaforme della propaganda russa, ma questo non è stato fatto perché avrebbe comportato una compressione preventiva dei diritti dei cittadini degli Stati membri che sarebbe stata difficilmente giustificabile.
L’assenza di sanzioni chiaramente azionabili e il sindacato delle corti nazionali
Un altro aspetto che rischia di vanificare l’efficacia del regolamento è la previsione di un “divieto” privo di sanzione, che si traduce nel trasferimento alle corti nazionali del potere di decidere sull’applicazione dei divieti.
Scrivere “è vietato” senza disciplinare direttamente le conseguenze della violazione del divieto rende la norma se non inefficace, quantomeno difficile da applicare. Spetta infatti alle singole autorità nazionali – in Italia dunque al Mise, ad Agcom e all’Autorità garante per la protezione dei dati personali – valutare quali sono gli strumenti del diritto interno che consentono l’applicazione del regolamento comunitario.
Questo significa, però, sottoporre al sindacato delle corti nazionali l’applicabilità concreta del regolamento e dunque al controllo indiretto della Corte costituzionale nel caso venissero sollevate (più che probabili) questioni di rispetto ai provvedimenti sanzionatori eventualmente emessi contro gli operatori.
La compatibilità del regolamento con il diritto interno
Gli aspetti problematici del regolamento 350 e che potrebbero essere oggetto di di sindacato riguardano innanzi tutto il poter del Consiglio europeo di emanare un provvedimento del genere.
La sicurezza nazionale e la difesa dello Stato sono, infatti, materie di competenza esclusiva degli Stati membri. Dunque, se il presupposto dichiarato per l’adozione del regolamento 350 è contrastare azioni di destabilizzazioni la conseguenza è che solo i singoli Paesi aderenti al trattato Ue avrebbero potuto legiferare sul punto.
In secondo luogo, e coerentemente, il riconoscimento dell’esistenza di azioni dirette a destabilizzare uno Stato implica la formalizzazione di un atto ostile da parte di un altro Stato. Le valutazioni diplomatiche, politiche e dunque giuridiche, di conseguenza, spettano esclusivamente alle singole entità coinvolte e non all’Unione europea che, sul punto, è priva di rappresentanza. Ogni nazione dovrà verificare se, secondo il proprio diritto interno, le azioni attribuite a Sputnik e Russia Today costituiscono atto illecito amministrativo o penale.
Questo è ancora più vero, e siamo al terzo punto, se il contrasto ad azioni ostili richiede la limitazione eccezionale dei diritti costituzionali che, in Italia, è possibile solo nel caso di pericolo nazionale di pubblica sicurezza (articolo 214 Tulps) o dello stato di guerra dichiarato nelle forme nelle forme dell’articolo 78 della Costituzione.
La riproposizione della questione irrisolta della sovranità comunitaria
La decisione 351/22 e il regolamento 350/00 sono atti importanti perché segnano un altro deciso passo verso l’acquisizione, da parte dell’Unione europea, di una autonomia politica rispetto agli Stati membri nella gestione delle situazioni emergenziali. Dopo le incertezze e le difficoltà mostrate nella gestione della pandemia, ora le istituzioni comunitarie mostrano un piglio senz’altro più deciso e una maggiore capacità di reazione.
Nello stesso tempo, tuttavia, essi dimostrano l’urgenza che alla situazione di fatto che si traduce nell’intervento su aspetti costituzionali prerogativa degli Stati membri corrisponda finalmente una situazione di diritto. Le corti potranno sempre trovare un artificio giuridico per sostenere la legittimità di provvedimenti che forzano il perimetro del trattato Ue ma è chiaro che la sopravvivenza politica dell’Unione non può essere affidata ai tempi e alla incertezza di controversie giudiziarie. Serve un trasferimento definitivo e irrevocabile di sovranità che consenta di riconoscere l’esistenza di un interesse europeo, dei confini, di un esercito.
Senza questo passaggio, e i fatti lo dimostrano, è impossibile gestire unitariamente non soltanto le relazioni internazionali ma anche le crisi e le emergenze interne.
L’urgenza che intervengano le autorità nazionali
In attesa che questi aspetti politici trovino (sperabilmente presto) una soluzione, rimane la necessità di garantire efficacia immediata al regolamento 350/22.
Per evitare che la sua applicazione si impantani in questioni giuridiche pur importanti è indispensabile che le autorità competenti, a partire dalla presidenza del Consiglio e dal Mise, adottino i provvedimenti necessari, anche nella forma di ordinanze contingibili emesse sulla base del nuovo Codice europeo delle comunicazioni elettroniche. La norma, infatti, consente l’esercizio di poteri a tutela della sicurezza nazionale e dunque visto che lo strumento giuridico esiste tanto vale utilizzarlo direttamente invece di limitarsi alla complessa e incerta applicazione di una norma comunitaria che, per le ragioni evidenziate in questo articolo, non poteva essere scritta meglio di come è stato fatto.