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Droni, missili, spie e cyber-attacchi. Che succede tra Israele e Iran

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

La prospettiva di un ritorno degli Stati Uniti nell’accordo nucleare ha rinfocolato le tensioni tra i due Paesi, anche al loro interno. Ecco perché a Gerusalemme e a Teheran c’è chi dice no al Jcpoa

I raid missilistici dell’Iran su Erbil, città del Kurdistan iracheno in cui, secondo Teheran, ci sarebbe una struttura dell’intelligence israeliana sarebbero una risposta agli attacchi aerei compiuti a metà febbraio da Gerusalemme per distruggere centinaia di droni della Repubblica islamica a Kermanshah. È quanto sostiene il giornale israeliano Haaretz.

La televisione di Stato iraniana ha mandato in onda un servizio che racconta come i Pasdaran avrebbero sventato un imminente attentato israeliano per “sabotare” l’impianto di arricchimento dell’uranio a Fordow. Un agente pagato da Israele in contanti e criptovalute avrebbe tentato di avvicinare un dipendente della struttura attraverso una società di Hong Kong per mettere a segno un attacco prima di Nowruz, cioè la fine dell’anno iraniano, il 20 marzo. A sventare l’attentato sarebbe stata l’intelligence dei Pasdaran e un’unità finora sconosciuta, ribattezzata Commando nucleare, sempre dei Pasdaran.

Val la pena sottolineare che spesso i media statali iraniani diffondono pacchi di propaganda. Lo fanno perché l’establishment della Repubblica islamica usa, come logico, l’ambiente informativo per controllare le masse e diffondere la narrazione. Tutto quello finora riportato dunque potrebbe essere vero solo in parte, ma è comunque molto interessante tracciare le linee che uniscono certi puntini. Soprattutto per la contemporaneità di quanto sta emergendo e per il contesto temporale che si incastra in quella che potrebbe essere la fase finale dei negoziati per la ricomposizione del Jcpoa, l’accordo per congelare il programma nucleare iraniano.

Israele è stato colpito lunedì da quello che i media locali hanno definito un attacco informatico di “dimensioni insolite, forse uno dei più gravi patiti finora da Israele”. Al momento non è chiaro chi possa esserne il responsabile del crash durato 75 minuti. Sembra si sia trattato di un’azione DDoS, di quelle che inondano i siti con enormi quantità di richieste fino a farli bloccare. Gil Messing, portavoce della società israeliana di sicurezza informatica Check Point Software Technologies, ha dichiarato a Bloomberg che è improbabile che l’attacco abbiamo fatto danni significativi. “Questo di solito è fatto per mandare un messaggio e creare molto confusione. Non è necessariamente un’infiltrazione o un’acquisizione di informazioni”, ha aggiunto. Gli indizi sembrano condurre a due possibilità: l’Iran e la Russia. La prima è la più quotata: nonostante le tecniche di attacco ricordino quelle tipiche degli hacker russi, non è chiaro perché Mosca potrebbe voler attaccare ora Gerusalemme che si sta spendendo diplomaticamente sulla situazione in Ucraina.

Tre episodi, un comune denominatore: le tensioni tra i due Paesi rinfocolatesi davanti alla prospettiva di un ritorno degli Stati Uniti nell’accordo nucleare. L’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu ha fatto appello agli Stati Uniti per evitare un simile passo. Bibi ha chiesto a tutti i cittadini statunitensi di chiedere al loro governo di fermare i colloqui sul nucleare perché “questo dare agli ayatollah un arsenale nucleare” è il sollevamento delle sanzioni permetterebbe loro di accedere a miliardi di dollari che userebbero per continuare a seminare “terrore”.

È la linea Netanyahu, niente di nuovo. Una posizione che ha anche ragioni interne, critica del governo locale e dei rapporti con la presidenza Biden — mentre personalmente Joe Biden sembra non vada affatto d’accordo con l’israeliano. Tuttavia l’ex primo ministro esprime una posizione diffusa nello Stato ebraico. Sull’Iran c’è una sostanziale sfiducia. Si teme che la riqualificazione economica internazionale dell’Iran, conseguente al rientro americano nell’accordo, produca un effetto indiretto: più soldi circolano più i Pasdaran possono investirne per continuare a foraggiare i propri interessi. Che sono anche connessi al mantenimento di un network di milizie regionali che va dal Libano all’Iraq, dalla Siria all’Afghanistan, che vede Israele come nemico.

Una considerazione simile la fanno i Paesi del Golfo, accomunati con gli israeliani dal confronto con l’Iran. Ma anche a Teheran c’è preoccupazione: c’è chi, come alcuni tra i Pasdaran, ha paura che il Jcpoa possa eliminare parte dei privilegi acquisiti negli anni trasformando — attraverso le aperture economiche — la Repubblica islamica in un Paese più ordinato, dove la casta militare teocratica conti un po’ di meno. È questa la ragione di certi attacchi, mirati a distruggere il sistema di dialogo con l’Occidente.

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