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Energia, cosa fare davanti a una crisi annunciata

Adesso bisogna evitare l’approccio ideologico e impegnarsi subito tutti per attuare investimenti in ricerca, per un serio sviluppo industriale, per una prospettiva a lungo termine, per sgravi per l’utilizzo delle fonti pulite, per politiche attive del lavoro e soprattutto per la riqualificazione professionale dei lavoratori. L’intervento di Nora Garofalo, segretaria generale Femca-Cisl

Non è necessario scomodare Cassandra, la figura della mitologia greca che profetizzava (inascoltata) eventi funesti, per affermare che quello che sta accadendo sul fronte energetico era ampiamente prevedibile.

A più riprese, da anni, abbiamo sollevato il problema dell’autosufficienza energetica del nostro Paese, ma il nostro grido d’allarme è rimasto inascoltato! Il conflitto in Ucraina sta provocando lutti e devastazioni, e il nostro primo pensiero va sicuramente alle vittime e alla popolazione. Ma la guerra ha innescato una reazione a catena pericolosa e preoccupante per quanto riguarda l’energia. I dati sono noti a tutti: quasi la metà del gas consumato in Italia arriva dalla Russia. Nel 2022 i prezzi di elettricità e gas sono aumentati del 200%. L’incremento dell’energia in soli 2 anni è cresciuto del 1.500%, vale a dire che oggi ci costa 15 volte di più. Ma se in Francia e in Germania la produzione interna è addirittura aumentata, seppur di pochi punti percentuali, in Italia si riduce sempre di più, e molte industrie (quelle energivore in primis), rischiano di chiudere i battenti.

A questo si aggiunge il problema delle materie prime: nel distretto ceramico di Sassuolo le aziende iniziano a spegnere i forni, visto che dall’Ucraina arriva l’80% dell’argilla e il 12% del caolino importanti in Ue. Idem per le aziende della gomma: gli stabilimenti Michelin di Cuneo e Alessandria, come quelli nel resto dell’Europa, hanno fermato la produzione per la difficoltà di approvvigionamento del nerofumo o carbon black, pigmento derivato dal petrolio che arriva dalla Russia, usato a livello mondiale principalmente per la produzione di pneumatici.

Ma torniamo al caro energia: la scelta delle fonti energetiche, l’autosufficienza nazionale o la dipendenza dagli Stati esteri, la transizione in atto, sono questioni che coinvolgono e interessano tutti noi, nessuno escluso. Le scelte (o le non scelte) dei governi che si sono succeduti hanno ripercussioni non solo sulle aziende, e quindi sui lavoratori, ma su tutte le famiglie italiane. Le conseguenze del conflitto ci devono indurre ad affrontare e risolvere il tema del fabbisogno energetico in Italia, un tema attuale e complesso, decisivo per le sorti economiche e anche sociali del nostro Paese e che si inserisce anche nel processo di transizione energetica e ambientale in atto.

Un aspetto è bene sottolinearlo: l’esclusione ideologica di alcune fonti di approvvigionamento che continuano a fare paura nonostante siano profondamente cambiate nel tempo, penso all’energia nucleare e alle trivelle, è sbagliato e dannoso. Ha senso, ad esempio, privarci di queste fonti energetiche e poi importare il nucleare dalla Francia, che lo produce a pochi chilometri dal nostro confine? Ha senso che la Croazia e la Grecia estraggan0 gas al limite delle acque territoriali, mentre noi lo importiamo dall’estero?

Gli annunci di questi giorni, come la realizzazione di sei parchi eolici e quella di due rigassificatori galleggianti, appaiono solo un contentino, una goccia nel mare. La verità è che nel nostro Paese c’è ancora un grosso problema di produzione energetica, e le fonti rinnovabili, con iter burocratici lunghissimi, continuano a rappresentare una fetta piccolissima del fabbisogno nazionale.

Uso un paradosso: se tutta la popolazione italiana fosse dotata da un giorno all’altro di auto caricate a energia elettrica, avremmo auto a zero emissioni… ma solo apparentemente. L’energia necessaria per alimentare queste auto, infatti, verrebbe prodotta bruciando carbone o gas. Una sorta di circolo vizioso che non apporterebbe alcun beneficio all’ambiente. E non è tutto: si potrebbe coprire l’intero Paese di pannelli solari, in modo da aumentare l’apporto di energia pulita. Ma non dimentichiamo che la maggior parte della produzione della filiera del solare è ancora oggi in mano alla Cina, una nazione che certo non brilla per la sostenibilità delle sue industrie.

Il risultato, insomma, sarebbe che per produrre energia solare dovremmo dotarci di pannelli, prodotti però dalle industrie di uno dei paesi più inquinanti del pianeta, largamente dipendente dal carbone. Torniamo in Italia: la dipendenza energetica dall’estero comporta rischi che non possiamo permetterci il lusso di correre: se la Russia interrompesse la fornitura di gas le conseguenze sarebbero drammatiche.

Oggi l’obiettivo deve essere quello di un giusto equilibrio tra tutte le nostre fonti, senza preclusioni ideologiche. Il nucleare, il gas, ma anche la cattura e lo stoccaggio di CO2, non possono restare un tabù. Anche perché con i pannelli solari possiamo forse rendere autonoma una abitazione, ma non certo far funzionare un’acciaieria. E anche per una questione di buon senso e per le caratteristiche orografiche del nostro territorio, non possiamo pensare di ricoprire il Paese di pale eoliche e pannelli solari.

Ci vuole una visione di insieme e una prospettiva di medio-lungo raggio. E ci vuole una presa di coscienza a livello europeo, una responsabilità collettiva rispetto alle scelte ambientali ed energetiche. Il “virtuosismo” italiano, insieme ad un certo fondamentalismo ambientalista, ci pone in una situazione di forte debolezza rispetto agli altri stati europei, più pragmatici di noi nelle scelte importanti. Ed è evidente a tutti come la situazione in Ucraina stia mettendo in discussione la tenuta sociale, industriale, economica del Paese e dell’intera Unione Europea.

Nei mesi scorsi, insieme a Confindustria Energia, abbiamo presentato il Manifesto per una transizione sostenibile, insieme alle altre sigle sindacali. Il primo dei 10 punti recita che “bisogna promuovere tutte le possibili soluzioni che, utilizzando strumenti e approcci dell’ecologia industriale, dimostrano le rispettive potenzialità di decarbonizzazione, per favorire il ricorso a molteplici fonti e vettori rinnovabili e low-carbon e l’utilizzo di asset già disponibili”. Un concetto che ha trovato d’accordo anche il premier Draghi, intervenuto alla presentazione del Manifesto.

Insomma, bisogna evitare l’approccio ideologico e impegnarsi subito tutti, ciascuno per il proprio ruolo, per attuare investimenti in ricerca, per un serio sviluppo industriale, per una prospettiva a lungo termine, per sgravi per l’utilizzo delle fonti pulite, per politiche attive del lavoro e soprattutto per la riqualificazione professionale dei lavoratori. Si tratta di passaggi delicati, obbligati, graduali, da farsi con la piena partecipazione dei sindacati. Così come è urgente che la Commissione europea metta in campo una Recovery per l’energia, come ha sostenuto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, per liberare risorse e sostenere i Paesi membri, le famiglie, le imprese. Solo una prospettiva di politica energetica comune, a livello europeo, ci può permettere di mettere in campo risorse, progetti, tecnologie per garantirci l’autosufficienza. Insomma, bisogna assicurare un futuro energetico all’Italia, che deve liberarsi dalla dipendenza estera e attuare con coraggio e lungimiranza una politica energetica seria, efficace, sostenibile.


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