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Attenti all’Eurasia, l’espressione geografica che diventa guerra

Non è solo il titolo di una rivista pubblicata in varie lingue (tra cui l’italiano) che sposa in modo fedele la dottrina anti-Nato sull’invasione dell’Ucraina. È un concetto culturale, etnico e geopolitico che va dalla Chiesa ortodossa agli zar, dai sedicenti filosofi stile Dugin ai proclami di Putin

In Italia (e non solo) c’è un forte gruppo putiniano di cui nessun parla; pubblica una rivista in carta di lusso a Milano; a Palazzo Borghese a Roma ha una sede con finalità principalmente commerciali. Fa parte di una rete internazionale: l’Eurasia.net con addentellati in tutto il mondo. Basta sfogliare l’ultimo fascicolo della rivista per notare il suo taglio: fortemente non solo anti-Nato ma anti-Occidente con saggi ed articoli che sostanzialmente inneggiano all’”operazione militare speciale” in corso in Ucraina. Difficile capire che diffusione abbia la rivista e quali siano le attività del centro culturale ad essa collegato. Si tratta, comunque, di un’esperienza che vale la pena approfondire in quanto l’Eurasia è l’essenza stessa del pensiero putiniano.

Di recente, Jane Burban, professoressa emerita di studi russi ed asiatici della New York University e co-autrice con Frederick Cooper di Empires in World History: Politics and the Power of Difference, ha pubblicato un interessante saggio sull’evoluzione del concetto di Eurosia e di come sia alla base della strategia aggressiva del Cremlino, molto più di quello della Grande Madre Russia.

In effetti, un primo accenno all’Eurasia si trova in brevi pamphlet anti governativi quando Pietro il Grande prima, e Caterina la Grande poi, cercarono di spostare l’attenzione verso Occidente, trasferendo la capitale da Mosca a San Pietroburgo e chiamando a Corte artisti e intellettuali europei. Roba di poco conto, anche in quanto bloccata dalla censura.

L’Eurasia diventò un concetto ispiratore di forze politiche dopo la sconfitta dell’Impero zarista nel 1917. Il concetto venne teorizzato nel 1920 da Nikolai Trubetzkoy , un linguista di famiglia aristocratica (di origine lituana) che all’arrivo dei soviet era emigrato a Praga, dove insegnava alla locale università. Pubblicò un libro di un certo successo (in varie lingue), la cui pretensione è mostrata a tutto tondo sin dal titolo L’Europa e l’Umanità. Il volume conteneva una critica molto severa del colonialismo europeo (che a suo avviso aspirava ad estendersi a ciò che era rimasto dell’Impero russo) e proponeva agli intellettuali di liberarsi dalla fissazione dell’Europa e di essere, invece, il perno di un nuovo Impero basato sull’”eredità di Gengis Khan” che unificasse popolazioni mongole, turche e quant’altro al fine di creare un “grande Stato che si estendesse dalla Russia al Pacifico”.

Attenzione:“il grande Stato” non era concepito come veicolo per diffondere il comunismo ma, al contrario, per contenerlo e combatterlo contrapponendogli una nuova a più forte concezione di quello che era stato l’Impero zarista, un Impero eurasiatico che sarebbe diventato l’asse politico del mondo intero, proprio ciò cui ambisce Putin. Naturalmente, Lenin e Stalin non ebbero alcuna simpatia per le idee di Trubetzkoy, il quale trascorse la sua vita a Praga senza rientrare in Russia.

Alla fine degli anni ottanta, quando l’Urss batteva i primi colpi di un pesante declino, l’Eurasia riapparve alla grande. Se ne fece ispiratore e portavoce un geografo che aveva passato ben 13 anni nel gulag, Lev Gumilyov. A suo avviso, le diversità etniche erano il motore della storia. Secondo la sua ipotesi, la “etnogenesi” può diventare un “superetnos” se guidata da un leader carismatico in grado di svilupparne il potenziale su una vastissima area, anche scontrandosi con altre etnie. Un concetto che non può non essere gradito a Putin. Nei caotici anni Novanta, quando l’Urss si disintegrava, le idee di Gumilyov ebbero una certa popolarità, soprattutto tra intellettuali “nostalgici” del potere del Cremlino di non molti decenni prima.

L’Eurasia, però, diventò centrale al pensiero della classe dirigente russa circa un quarto di secolo fa ad opera dell’auto-proclamatosi “filosofo” Alexander Dugin. Dopo aver tentato di portare il suo “verbo” in quel che restava del partito comunista sovietico, cambiò obiettivo e si rivolse ai militari, alle alte gerarchie, agli oligarchi, al clero. Il veicolo fu un manuale di 600 pagine su Le fondamenta della geopolitica: il futuro geopolitico della Russia. In esso, si contrappone il potenziale ed il futuro dell’Eurasia con la decadente Europa e gli ancor peggiori Stati Uniti (dominati da droga e crimini).

L’Eurasia è il futuro, l’Occidente, guidato da una Nato a conduzione americana, il passato. In questo contesto, viene glorificata la Russia imperiale (i Romanov, e lo stesso Rasputin, vengono canonizzati in blocco), l’Occidente è presentato come “il nemico eterno”, che verrà inevitabilmente sconfitto, anche a ragione della superiorità “culturale” dell’Eurasia. Tra i numerosi esempi, viene portato quello della Chiesa Ortodossa russa, rimasta coesa ed unita nei secoli, mentre la Chiesa di Roma soffriva scissioni e anche guerre di religione. In questo quadro, la Russia del Pcus non viene certamente presentata in buona luce; ha frazionato un Impero ben funzionante dando dignità statale anche a quella Ucraina che ne era parte integrante e facendola diventare “un pericolo per tutta l’Eurasia.

Putin è un forte sostenitore dell’Eurasia. Nel 2013 ha dichiarato che l’Eurasia è una vasta area geopolitica in cui il “codice genetico” delle etnie che la compongono si fonde e si rafforza per difendersi “dall’estremo liberalismo Occidentale”, una difesa tanto più necessaria di fronte ad mondo (occidentale) dominato dagli Lbgt e dove imperversano droga e rammollimento ed in cui si sfida la Chiesa Ortodossa Russa. In breve, l’Eurasia calza Putin a pennello. Anche per aggredire i vicini.


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