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Europa, un’emergenza esistenziale

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Per avere un ruolo al tavolo, l’Unione non si può presentare nelle condizioni attuali. Deve indicare prima la direzione verso la quale vuole andare, cioè quella della Unione politica per evitare di stare al tavolo come comparsa. L’opinione di Carmelo Cedrone

La politica dei rinvii è l’unica che finora ha ben funzionato in Europa. Un’Europa presa tra due fuochi: l’interesse comune e quello degli Stati. Come sempre combattuta tra l’esigenza di cambiare, per esistere, ed i continui rinvii delle decisioni.

È così, dal 45. Solo che adesso il fuoco è vero. Visti però i risultati nulli del vertice di marzo, sembra che niente sia cambiato per l’Unione, bloccata dall’ostruzionismo economico della Germania, come avviene da anni. Infatti tutti i tentativi per creare una Unione economica, da Maastricht in poi, sono falliti, così come, di conseguenza, sono falliti i tentativi, dal 54 in poi, per creare una Unione Politica, l’unica capace di affrontare la tempesta perfetta con cui la Russia di Putin ha messo l’Ue con le spalle al muro.

Per evitare il fallimento, nel dopoguerra, si ripiegò sulla comunità economica, con il Trattato di Roma del 57 e poi col Mercato Unico, trenta anni dopo. Un mercato non ancora realizzato sulle questioni dirimenti come l’energia. La ragione principale per stare insieme era quella di evitare altre guerre, ma non ha funzionato per tutta l’Europa. Quella orientale, ex-comunista, come vediamo anche in questi giorni con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, non ha mai rinunciato alla guerra. Basti ricordare l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968, della Polonia nel 1980, delle repubbliche secessioniste e della Crimea da parte della Russia, nel 2008-2014, erede dell’imperialismo degli zar e dell’Urss, col quale pensavamo di aver chiuso i conti, senza dimenticare la guerra nella ex-Jugoslavia.

Non voglio però parlare della guerra o di Putin, il dittatore-terrorista, che tiene i russi ancora prigionieri della vecchia sindrome di accerchiamento, di cui non si sono liberati. Solo che oggi, l’accerchiamento che Putin teme non è quello militare, come vuol far credere, ma quello della democrazia. Perciò tenta da tempo di frantumare l’Ue, staccarla dagli Usa e dimostrare che la democrazia liberale non ha futuro. Ecco perché bisogna reagire ed aiutare l’Ucraina, perché aiutiamo noi stessi a uscire dal sogno del benessere, della libertà e della pace senza fine e senza costi.  Per fortuna Putin, sinora, ha ottenendo l’effetto contrario, inaspettato anche per lui. Ha prodotto un risveglio dell’Europa e, spero, dei giovani, i quali, cresciuti in questo ambiente ovattato e protettivo, danno tutto per scontato. Invece la democrazia va difesa ogni giorno dalle minacce interne ed esterne, in particolare da quelle dei regimi totalitari.  Non si tratta di un “luogo comune”, come la storia ci ha insegnato.

Ma l’Unione dov’è? Bisogna riconoscere che mai in passato l’Ue aveva reagito come adesso, rispetto all’invasione dell’Ucraina. Solo che bisogna evitare che resti un lampo di luce, dettato dall’emozione, destinato a spegnersi presto, come fanno presagire i risultati del vertice di questi giorni. Un comportamento a cui l’Ue ci ha abituato da tempo, che la tengono relegata ad un ruolo sub-alterno, a rimorchio degli Usa e sotto l’ombrello della Nato. Rimanere in queste condizioni, di fronte alla nuova e grave guerra sul suo territorio, non è più accettabile. Né l’Ue può pensare, per l’ennesima volta, di cavarsela con delle dichiarazioni retoriche e delle decisioni poco incisive. È un rischio che stiamo correndo di nuovo, sia sulla difesa che sul resto delle emergenze che abbiamo di fronte.

Oggi, con un Pil pari al 25% di quello mondiale, l’Ue ha una occasione storica per cambiare. Si trova di fronte ad una novità strategica offerta dalla guerra in corso, destinata a cambiare l’assetto mondiale. Ma, per approfittare di ciò, serve una scelta radicale, esistenziale e non di facciata da parte dell’Ue, che deve smettere di recitare e di dividersi ogni volta che un paese vede “minacciati” i propri soli interessi.

Si tratta di un’emergenza esistenziale, quella che l’Unione deve affrontare, ora. Una malattia grave, conosciuta da tempo, da cui non riesce a liberarsi, nonostante la terapia sia nota da tempo, perché alcuni paesi si ostinano a rifiutarla, intenti, come sono, a guardare solo il proprio ombelico.  Invece l’Unione, oggi e non domani, ha il dovere di affrontarla, affrontare la sua emergenza, insieme a quella dell’Ucraina. Ne va della sua esistenza politica. I paesi che ne sono convinti devono iniziare la terapia, ormai, a 77 anni dalla seconda guerra mondiale, quando gli USA avevano il 50% del Pil mondiale, a 65 anni dall’atto di nascita, a 30 da Maastricht ed a 20 dall’entrata in circolazione dell’euro.

Gli Stati che ne sono consapevoli devono approfittare della grande opportunità strategica offerta loro dalla storia, con un atto di coraggio, superando lo stallo politico che li tiene prigionieri dal 1945. Ciò richiede un impegno concreto ad agire ben al di là di quanto (non) fatto in questi giorni, per coniugare gli interessi comuni con quello di ogni singolo paese.

Il prossimo Consiglio Europeo, straordinario, deve dare risposte alle due questioni sul tappeto. Decidere di affidare un mandato alla Conferenza sul futuro dell’Unione o ad una apposita Conferenza Intergovernativa, per avviare l’Unione Politica e democratica, cioè un’Unione economica e di bilancio, un’Unione sociale, un’Unione della sicurezza e della difesa, ecc., in grado di tutelare gli interessi comuni e quelle degli Stati. Decidere, inoltre, di portare a compimento le questioni sollevate al vertice di Versailles e poste all’odg del vertice del 24-25 marzo, ma rinviate, riguardanti il mercato unico dell’energia, l’arresto della speculazione sui costi di petrolio, gas ed elettricità; la creazione di un fondo comune a sostegno delle ricadute delle sanzioni nei confronti di imprese e cittadini, la sicurezza alimentare e la difesa comune. Su queste questioni occorrono misure da guerra, perché siamo in guerra. A meno che ci siano paesi che pensano di approfittare anche di questa situazione per lucrare sugli altri, come fanno le compagnie petrolifere e del gas.

Poi ci sono le disuguaglianze, cresciute prima con il Covid-19, poi con la guerra. Stanno aggravando molto le condizioni sociali ed economiche di una parte sempre maggiore della popolazione. Una condizione a cui bisogna porre assolutamente rimedio, con misure efficaci, comuni, da parte dell’Unione, evitando dichiarazioni di facciata.  È da qui, da provvedimenti concreti per le persone, che può ripartire l’attenzione e la ricostruzione del consenso intorno all’Unione, visto il fallimento della partecipazione sulla piattaforma creata intorno alla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Contemporaneamente vanno fermati gli attacchi che stanno massacrando i cittadini ucraini inermi. L’Unione deve fare ogni sforzo possibile, necessario per riuscirci. Una situazione insopportabile, simile a quella compiuta dall’Isis, priva di qualunque giustificazione plausibile, per arrivare quanto prima ad un tavolo di pace che ponga fine alla diatriba alimentata ad arte tra est ed ovest. Per avere un ruolo al tavolo, l’Unione non si può presentare nelle condizioni attuali. Deve indicare prima la direzione verso la quale vuole andare, cioè quella della Unione Politica per evitare di stare al tavolo come comparsa. Inoltre, senza un’intesa sugli altri provvedimenti indicati, si rischia che la “guerra” possa scoppiare all’interno dei paesi o tra paesi dell’Unione, dove una sorta di guerra economica strisciante è in atto da tempo ed alla quale bisogna porre fine. L’Unione Politica serve anche a questo.

 

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