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Le ambizioni di una Nuova Europa. Veloce, potente e sovrana

Di Federico Riggio
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Pandemia e guerra in Ucraina, sono stati questi i due grandi momenti in cui la Nuova Europa è emersa dal sottosuolo, come inaspettata. Ci siamo guardati attorno per la prima volta e cioè nel momento di vero, grave bisogno e l’abbiamo trovata pronta, prontissima. L’intervento di Federico Riggio, esperto di sicurezza energetica

Nel 1911 comparve alle viste del porto di Agadir in Marocco la cannoniera tedesca SMS Panther, armata con due cannoni da 105mm e sei da 37mm e con una velocità massima di quasi 14 nodi, ben più rapida e agile delle navi in uso dalla Marina Militare Britannica.

Da questo singolo evento Winston Churchill, allora Lord of the Admiralty, si persuase che i tedeschi si preparavano alla guerra e con uno sguardo al futuro cambiò radicalmente la strategia militare del suo Paese.

Convinse e riuscì a convincere il governo e la marina inglese ad avviare il cambio di propulsione dell’intera flotta britannica da carbone a petrolio. Da un approvvigionamento sicuro, domestico, dalle miniere gallesi ad impervi pozzi di petrolio nell’allora Persia, esplorati da avventurieri con mezzi di fortuna. Dominatrice incontrastata a guardia dell’impero più grande del mondo, proprio durante il suo massimo splendore Churchill ebbe l’intuizione di affidare il futuro della potenza inglese ad un radicale cambio di paradigma, per accrescere in potenza il suo Paese e far trovare l’Inghilterra preparata alla prima guerra mondiale.

Allo stesso modo ai nostri giorni, il primo grande evento del tutto inatteso è stato la pandemia all’inizio del 2020. Il secondo è adesso, l’invasione dell’Ucraina e la guerra della Russia alla Ue. La pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo, ribaltano drasticamente il nostro punto prospettico di osservazione e ci impongono un nuovo sguardo sul passato e sul futuro dell’Europa.

La reazione dei governi nazionali all’emergenza di diffusione del Covid fu a marzo del 2020 scomposta, causando migliaia di morti e scene terrificanti che diedero il senso di una politica dispersa, incapace di reagire. Furono i protocolli comuni sia sanitari che di logistica, protocolli europei che negli anni sommersamente erano andati accordando i singoli ordinamenti nazionali fra loro a Bruxelles, a garantire ai governi europei una risposta straordinaria in termini di produzione e approvvigionamento del vaccino, di mascherine e lozioni sanitarie, di contenimento dell’emergenza, cura degli ammalati, capacità di sostenere l’economia e gli spostamenti all’interno dello spazio di Schengen. E nel contempo a definire una risposta del tutto digitale, accompagnando l’Europa fuori dalla crisi e insieme digitalizzando molta parte dei processi legati alla nuova cittadinanza.

Il 24 febbraio 2022 è iniziata con una violenza inaspettata l’aggressione della Russia all’Ucraina e per procura all’Europa, che ha causato già centinaia di morti e una paura che pareva scomparsa dalle coscienze dei cittadini europei. Le cause della guerra sono ed erano note da molti anni, la guerra stessa in atto dal 2014, ma un’ignavia irredimibile e colpevole da parte dei precedenti governi europei ha evitato di affrontare il problema energetico così come quello militare e in generale del rapporto fra l’Ue e la Russia, privilegiando accordi tra singoli governi nazionali e un’ondivaga appartenenza, un delegare ingannevole la politica militare comune europea a quel blocco che ci vede, insieme agli Usa, al Canada e alla Turchia, membri della Nato.

Il tema di cambio del paradigma energetico, che a mio avviso è alla base del conflitto, è stato affrontato in questi ultimi anni, seppure con grandi successi, quasi esclusivamente sotto il profilo ambientale e tecnologico mentre la sua determinante politica è ancora largamente ignorata.

Per quanto concerne una politica militare comune europea, un lungo cammino è stato fatto dall’istituzione nel 1993 della politica estera e di sicurezza comune (Pesc) fino al più recente Fondo europeo per la difesa (European Defence Fund – Edf) approvato dal Parlamento Europeo in aprile 2021. Fondo che affianca le prime operazioni e i fitti negoziati fra imprese e governi per una nuova industria europea per la difesa. Ma è stata l’invasione dell’Ucraina ad imprimere un’accelerazione straordinaria ai singoli governi europei in un’ottica unitaria.

Cronaca di questi giorni la popolazione ucraina assediata, coraggiosa, che rivendica il suo posto nella storia d’Europa se non anche nella sua Unione. Scene umane di morte e di eroismo che speravamo consegnate alla storia riemergono dal sotterraneo anch’esse prepotenti, suscitando paure ma anche un senso di adesione immediata ad una risposta univoca, per alcuni muscolare per altri politica ma in ogni caso comune, europea.

Impressionante in tal senso, la richiesta al Bundestag il 27 febbraio del premier tedesco Scholz, subito dopo l’attacco russo, di aumentare il budget militare della Germania di oltre il doppio per quest’anno e del 2% a partire dal 2023. Da 47 a 100 miliardi di euro. In chiave Nato, certo, ma coordinandosi con gli altri Paesi Eu. Una cifra che sbalordisce per gli impatti che potrà avere sia dal punto di vista operativo che industriale. Lo stesso farà l’Italia, la Francia, ecc. Segnali tutti di questa nuova grammatica europea che si moltiplicano, accelerano e concentrano in questi ultimi giorni l’orizzonte dei prossimi 50 anni.

Sono stati questi due grandi momenti in cui la Nuova Europa è emersa dal sottosuolo, come inaspettata. Ci siamo guardati attorno per la prima volta e cioè nel momento di vero, grave bisogno e l’abbiamo trovata pronta, prontissima.

Ambizioni di una Nuova Europa, veloce, potente e vera coscienza morale del mondo che per anni si è andata strutturando, fiume sotterraneo, intorno ad istituzioni serie come la Bce, salvifica, al Parlamento e alla Commissione, a slanci ideologici di singoli e molto più a programmi industriali, a linee di credito e finalmente ad un concretissimo piano di sviluppo comune. Un’Europa carsica che, innervandosi per tutto il nostro continente e scalzando nel breve torno di due decenni i governi nazionali dalle principali decisioni strategiche, energia, difesa, investimenti, fiscalità, crescita comune, sta affermando una nuova sovranità. Di recente, finalmente, di investimenti a valere su una emissione di debito comune che legherà le scelte e la crescita dei singoli governi, coordinandoli, in maniera sempre più stretta.

E gli ultimi anni di cosiddetti sovranismi, di rigurgiti più provinciali che nazionalistici, il volere fissare l’asse prospettico della storia in un passato che non è mai stato e presagire un futuro di solitudini globali svela la sua natura essenzialmente nevrotica. Da una parte un ordinamento europeo fatto di organi, trattati e regolamenti, costruito su 30 anni di scelte politiche e decisioni tecniche che abbracciano tutti gli aspetti dell’economia e del vivere insieme. Un ordinamento reale, frutto della storia, prodotto di una dorsale tecnico-amministrativa di funzionari preparati, colti, efficienti e con il contributo fondamentale di scienziati, giuristi, economisti, manager, imprenditori, ciascuno per la sua sensibilità, competenza, expertise.

Un ordinamento costruito dal Parlamento Europeo così spesso sottovalutato in Italia, e non negli altri paesi, e dove nuovamente si ritrovano le grandi tradizioni europee, quella cristiano-sociale, quella socialista e quella liberale. E si schierano cattolici e socialisti per appartenenze ideali e non nazionali. Dall’altro le ombre di chi è escluso da questo processo e prova ad inventarsi un suo spazio tra un passato fatto su misura e un futuro vago e retorico, sempre fuori dal presente, dal reale.

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