Serve un piano per le materie prime, resiliente (geopoliticamente), sostenibile, economico (conveniente). Le filiere globalizzate sono soggette a crisi improvvise. Le Pmi sono impreparate a gestirle. E il piano energetico del governo non è sufficiente, secondo Pietro Paganini (Competere)
Le piccole e medie imprese italiane ed europee si sono trovate impreparate a gestire le filiere globali da cui ricavano le materie prime necessarie alla produzione.
- Non hanno avuto accesso agli strumenti per compiere scelte strategiche efficaci.
- Si sono limitate a seguire logiche commerciali, di marketing (come nel caso dell’olio di girasole), o di prezzo.
- Non hanno per nulla considerato le variabili geopolitiche.
- Le associazioni di categoria non si sono rivelate molto utili.
Il Governo sta lavorando a un piano nazionale/europeo per l’energia che si limita alle grandi imprese del settore.
- Le altre filiere che sono cruciali per la sicurezza alimentare del paese restano escluse.
L’Italia, con l’Europa, si deve dotare di un piano per le materie prime. Non si deve limitare all’energia ma deve includere tutti i settori strategici alla sopravvivenza degli italiani/europei.
- Questi settori sono prevalentemente animati da Pmi che hanno dimostrato di non avere le risorse per gestire le filiere globali. Devono perciò essere supportate nelle scelte.
La sciagurata decisione di molte aziende del settore alimentare di abbandonare l’olio di palma per preferirgli l’olio di girasole farà scuola e dovrà servire da lezione.
- Hanno sostituito un olio vegetale prodotto in grandi quantità da almeno 6 paesi lungo i tropici (dall’Asia all’America passando per l’Africa) con uno prodotto prevalentemente in Ucraina e in minor misura in Russia.
- L’olio di girasole è quindi soggetto a fattori climatici e stagionali molto maggiori rispetto all’olio di palma.
Le strategie commerciali hanno prevalso rispetto alle più complesse strategie di filiera.
- La responsabilità è sicuramente di manager e imprenditori (la cui morale nel caso dell’olio di palma andrebbe interrogata);
- ma è anche delle associazioni di categoria;
- e del Governo e delle istituzioni nazionali che non devono intervenire nelle libere scelte di mercato ma che possono fornire conoscenze e strumenti al fine di tutelare la politica industriale del paese e quindi la competitività dei suoi attori.
Il Piano Materie Prime Sicure serve a tutelare la prosperità dell’Italia e dell’Europa in un contesto di concorrenza globale.
- Prevedere il fabbisogno energetico, alimentare, e di materie prime su base annua e decennale.
Individuare le fonti per soddisfare il fabbisogno sulla base di una serie di variabili e 3 principi. Le filiere devono infatti, essere:
- convenienti economicamente (come lo è il gas russo);
- resilienti, cioè consentire alle Pmi di rimodulare rapidamente la catena di approvvigionamento in caso di crisi senza rimetterci;
- sostenibili, perché Italia e Europa possono promuovere il bilanciamento tra interessi umani e tutela della biodiversità a condizione che i primi due punti restino centrati.
Evidentemente una Pmi fatica a operare seguendo questi tre principi senza il supporto strategico delle associazioni di categoria e delle istituzioni che oltre a fornire informazioni e analisi possono anche garantire l’azione diplomatica presso i paesi produttori – sennò a che servono le ambasciate?
Il Governo è più eccitato dall’energia che muove le cose perché riguarda le grandi imprese produttrici e importatrici (di un paio ne condivide la proprietà) e quindi danno più danaro e potere. Mentre si disinteressa dei settori, come l’Agrifood, che sono composti da tante piccole imprese con poco potere economico e politico.
Le associazioni di categoria del settore agricolo e alimentare dovrebbe convincere il Governo a cambiare prospettiva: serve un piano materie prime. Si può circolare in bicicletta; le imprese possono smettere di produrre; senza pane la gente scende in piazza.
Ps: con un piano materie prime sicure in mano il nostro Governo sarebbe meno accondiscendente alla politica di Washington e alle conseguenze inintenzionali che ci aspettano.