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Back to work (or not). Il futuro del lavoro è ibrido

Smart working o ritorno alla normalità lavorativa? Dal colosso Amazon agli uffici dei dipendenti federali le scelte sul lavoro in presenza sono diverse (e confuse). La Generazione Z è più abituata a fare tutto da casa, ma c’è il rischio di perdere legami sociali e promozioni

Dal 1° marzo i dipendenti del quotidiano americano The Washington Post sono stati invitati a tornare sulle proprie scrivanie in ufficio, mentre chi ha in casa bambini sotto i 5 anni che non sono stati ancora vaccinati, o famigliari con sistemi immunitari compromessi, possono chiedere un’estensione di tre mesi per continuare a lavorare da casa.

Il management del Wall Street Journal, invece, studia l’opzione di un ritorno flessibile, e lascerà la decisione di quale formula funziona meglio ai lavoratori.

Certo è che la pandemia ha trasformato definitivamente il mondo del lavoro, per cui la cosiddetta Generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2010) potrebbero non dovere recarsi in un ufficio per lavorare. Il Wall Street Journal su questo fenomeno ha pubblicato un sondaggio che dimostra come i giovani non hanno alcun problema con il lavorare a distanza, si sono già abituati perché l’esperienza del lavoro in ufficio l’hanno vissuta molto poco.

Tuttavia, sorgono alcuni problemi lavorando da casa. I ricercatori Santor Nisizaki e James DellaNeve che hanno eseguito il sondaggio sottolineano le difficoltà nell’aspetto sociale e psicologico di questi ragazzi che non frequentano gli uffici. Non possono condividere ansie e stress nella rete sociale perché lavorano isolati.

Inoltre, non si sentono parte di una comunità o un’impresa, e danno più peso a quanto vedono in rete rispetto alla vita reale.

Johnny C. Tylenol jr, presidente e direttore di Society for Human Resource Management, crede che lavorando da casa c’è un impatto negativo sulla vita sociale, mettendo a rischio amici, rapporti di coppia e di famiglia.

Nicholas Bloom, ricercatore dell’Università di Stanford che si è dedicato allo studio del tele-lavoro, ha spiegato a Business Insider come i lavoratori in smart work rischiano di perdere promozioni e aumenti di stipendio in confronto a chi va in ufficio.

“Nel nostro articolo pubblicato nel 2014 in Quarterly Journal of Economics siamo arrivati alla conclusione che i tele-lavoratori avevano un indice di promozione del 50% minore in confronto a chi lavorava in presenza”.

Un’altra ricerca di Bloom, questa volta per l’Università di Chicago nel 2022, ha dimostrato come un terzo dei lavoratori da remoto è preoccupato per la propria crescita professionale.

La scommessa, dunque, è di un ritorno alla normalità per cercare di convivere con il virus. La multinazionale americana Tyson Foods ha annunciato che eliminerà l’obbligo di indossare la mascherina ai suoi dipendenti vaccinati, così come hanno fatto anche Walmart e Amazon, tranne negli stati americani dove le norme locali lo richiedono.

“C’è una forte diminuzione di casi di Covid-19 in tutto il Paese nelle ultime settimane – si legge in un comunicato di Amazon -. Insieme all’aumento dell’indice di vaccinati, è un segnale positivo per tornare a lavorare come eravamo abituati”.

Secondo Los Angeles Times, società come Microsoft e Facebook, che hanno adottato il tele-lavoro per mesi, si stanno organizzando per fare tornare i dipendenti in alcune dati obbligatorie, creando in questo modo un sistema di lavoro ibrido.

Il tema del “back to work or not” non riguarda solo il settore privato. L’amministrazione Biden ha previsto di accelerare il ritorno dei dipendenti federali in ufficio, anche per dimostrare che i posti di lavoro sono luoghi sicuri.

Un funzionario del governo americano ha detto ad Axios che la Casa Bianca vuole dare l’esempio, invitando alle persone a non lasciarsi più condizionare dal Covid. Questa misura sarebbe importante perché “Biden prevede di inviare un chiaro segnale di ritorno al lavoro in America, forse nel discorso sullo stato dell’Unione martedì, ma probabilmente in un discorso separato sul Covid più tardi a marzo”.

Jeff Levin-Scherz, direttore del settore sanitario di Willis Towers Watson (gestione del rischio), crede che “stiamo in una situazione migliore rispetto a sei mesi fa o un anno. In un certo senso, siamo più protetti. Ma la realtà lavorativa non sarà mai come quella di prima”.

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