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Game changers e nuove politiche europee

Di Maurizio Melani

L’articolo di Luigi Paganetto, “Nulla sarà più come prima” ha innescato un dibattito su come dovranno cambiare, in brevissimo tempo, le politiche economiche europee. L’ambasciatore Maurizio Melani riflette sugli effetti dei game changers e sul ritorno a un maggiore ruolo dei poteri pubblici nell’economia e a una crescita della spesa pubblica nazionale ed europea

L’articolo di Luigi Paganetto: “Nulla sarà come prima. L’Europa è pronta?”

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Negli ultimi tre anni una serie di successivi e concatenati “game changers” ha sensibilmente mutato il contesto geopolitico e dell’economia globale nel quale l’Europa si trova ad operare, ponendo l’esigenza di un riadattamento delle politiche dell’Ue anche sul piano fiscale e dei suoi processi decisionali.

Dopo la crisi economico-finanziaria del 2008-2009 importata dagli Stati Uniti seguita da quella dei debiti sovrani di alcuni Paesi europei alla quale l’Ue ha risposto con una politica di austerità fiscale e poi di limitata espansione monetaria, vi sono stati lo shock della pandemia e contemporaneamente l’accresciuta consapevolezza di dover reagire rapidamente ai cambiamenti climatici con una azione tendente ad una radicale riduzione delle emissioni di carbonio. A queste sfide l’Unione Europea ha reagito con un salto di qualità soprattutto sul piano fiscale e delle regole sugli aiuti di stato. Il patto di stabilità è stato temporaneamente sospeso e con il New Generation EU è stato avviato un processo di indebitamento comune e di incremento, peraltro molto modesto, del bilancio dell’Unione con una prospettiva di rilancio dell’acquisizione di risorse proprie per finanziarlo e garantire il debito contratto.

Poi è intervenuta la guerra in Ucraina. I prezzi dell’energia saliti già prima dell’aggressione russa per uno squilibrio tra domanda e offerta a livello globale durante l’effimera ripresa dopo l’attenuazione della pandemia si sono ulteriormente impennati anche a causa di processi speculativi finora non adeguatamente contrastati.

Il conflitto ha portato anche ad una carenza attuale o prevista di prodotti agricoli, di fertilizzanti e di semilavorati provenienti da Russia e Ucraina. E il mondo si avvia dopo quaranta anni verso una nuova stagflazione con tutte le sue prevedibili conseguenze sociali e politiche. Le sanzioni sempre più dure adottate dagli occidentali quale risposta agli inaccettabili comportamenti della Russia e per costringerla ad una trattativa che non sia un cedimento alle sue condizioni colpiscono quell’economia ma anche le nostre. E le prospettive di un conflitto prolungato accentuano ulteriormente le aspettative del peggio da parte di investitori e consumatori mentre la necessaria riduzione della dipendenza energetica dalla Russia si annuncia lunga e penosa con altrettanti effetti negativi su crescita e occupazione già mortificate dalle strozzature lungo catene del valore diventate troppo estese e vulnerabili come la pandemia aveva messo in evidenza.

L’Unione Europea ha quindi annunciato un rilevante impegno su vari fronti che dovrà ora essere oggetto di una effettiva attuazione con importanti aggiustamenti delle sue politiche in diversi campi. La riunione informale dei Capi di Stato e di Governo a Versailles e la Comunicazione della Commissione REpowerEU ha dato indicazioni che Consiglio e Parlamento Europeo dovranno tradurre in decisioni concrete e atti legislativi. Una volontà politica sembra emergere almeno da parte dei maggiori paesi dell’Unione pur avendo ciascuno di essi interessi specifici non sempre convergenti. Approfondimenti e consolidamenti sono ora necessari.

Quanto annunciato comporterà, se attuato, rilevanti sforzi finanziari, e in questo contesto non è proponibile un ritorno alle regole del patto di stabilità come vigeva prima delle sospensioni adottate a causa della pandemia. Al tempo stesso si rende necessario il rafforzamento di un bilancio e di una capacità di indebitamento comuni.

Sul primo aspetto, una revisione del patto di stabilità, quando sarà deciso di porre fine alla sua sospensione, dovrà almeno porre al di fuori dei vincoli sulla limitazione della spesa gli investimenti per sostenere la transizione e la diversificazione energetica oltre a quanto previsto dai piani nazionali in attuazione del NGEU, nonché quelli per la difesa, almeno per quanto riguarda i sistemi d’arma e di protezione, convenzionali e nei nuovi domini cyber e spaziali, ed almeno in parte per le compensazioni a chi è più colpito dagli effetti delle sanzioni. A queste spese si aggiungono quelle per l’accoglienza di milioni di profughi dall’Ucraina. Ugualmente saranno da rivedere le regole sugli aiuti di stato, ora sospese, per rendere possibili tali compensazioni. Per l’Italia le dimensioni delle spese dovranno inevitabilmente tenere conto degli altissimi livelli di indebitamento.

Sul secondo aspetto, quello dell’impegno comune europeo, sono da considerare un potenziamento dei sostegni allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, della produzione di idrogeno, della ricerca su tecnologie dirette a renderle pienamente sostenibili, delle interconnessioni e dei sistemi di stoccaggio. Saranno inoltre necessari aumenti di risorse per la Peace facility, per il Fondo Europeo di Difesa e per tutte quelle attività dirette a favorire integrazioni nella conduzione di operazioni di gestione delle crisi, nelle acquisizioni di materiali di armamento e nella loro produzione, nei sistemi di pianificazione e nella formazione secondo le indicazioni della bussola strategica (“strategic compass) di imminente emanazione.

Un altro aspetto di una autonomia strategica che riguarda l’approvvigionamento di energia, di materie prime, di semiconduttori necessari alla transizione energetica e digitale e di prodotti medicali e farmaceutici la cui scarsità è stata evidenziata dalla pandemia, riguarda la produzione cerealicola, di oli vegetali e di soia. Ne deriva, come riconosciuto al vertice di Versailles, l’esigenza di una revisione della politica agricola comune che dia nuovamente impulso a tali produzioni dopo anni nei quali la PAC è stata diretta a ridurle favorendo le importazioni.

In conclusione, i “game changers” di cui abbiamo parlato, ed in particolare l’ultimo costituito dalla guerra, stanno determinando il ritorno ad un maggiore ruolo dei poteri pubblici nell’economia e ad una crescita della spesa pubblica nazionale ed europea con un aumento dell’indebitamento, necessario in una fase che potrà durare diversi anni, ma i cui effetti si faranno sentire negativamente nel più lungo periodo.

 

 

 


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