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La guerra bussa alla Pa. Dagli hacker alla crisi, come difenderla

Hacker, crisi economica, supply chain in dissesto. La guerra bussa anche alla porta della Pubblica amministrazione e del public procurement italiano. Meglio rendersene conto e agire in tempo. Il commento del prof. Luciano Hinna, presidente del Consiglio sociale per le scienze sociali

Perché si torna a parlare di sicurezza del procurement in Pa? Semplice, c’è in atto una guerra anche se non siamo in un’economia di guerra come ha giustamente sottolineato il nostro presidente del Consiglio, ma sotto il profilo cognitivo la nostra situazione si avvicina molto a quel tipo di economia e non è la prima volta che l’espressione viene utilizzata come metafora di una situazione di crisi.

Nella vera economia di guerra si registra un ridimensionamento dello spazio di mercato perché gran parte della capacità produttiva di un Paese viene destinata allo sforzo bellico, le risorse vengono convogliate per allestire e finanziare la produzione militare, come è accaduto nell’ultima guerra, ed i consumi vengono fortemente contingentati.

Nell’economia di guerra domina l’incertezza e l’incertezza in economia costa, ma costa anche sotto il profilo psicologico degli individui dal momento che essa genera ansia e precarietà. Non è un caso che in piena pandemia si è parlato di economia di guerra anche se le bombe non hanno fischiato, ma non vi è dubbio che molte imprese sono state costrette a cambiare il proprio modello di produzione, ad esempio facendo ricorso allo smart working, e i cittadini sono stati costretti a cambiare le loro modalità di consumo affiancando il greenpass alla carta di credito con effetti diretti sulle dinamiche della domanda e dell’offerta. Non una economia di guerra, dunque, ma qualche cosa che si è avvicina molto.

Anche con la guerra in Ucraina, con la crisi energetica e l’inflazione ripartita al galoppo, non siamo in un’economia di guerra anche se probabilmente registreremo da un lato un incremento delle spese militari e dall’altro una flessione dei consumi dovuta all’incertezza ed alla interruzione delle filiere produttive per carenza di materia prime.

In aggiunta tra le criticità da gestire oggi c’è il Pnrr che dirotta risorse finanziarie notevoli su settori strategici. Questo ci ha portato a delineare finalmente una politica industriale che è stata assente per decenni, ma la guerra in Ucraina ci ha costretto anche a riflettere non solo sulla necessità di diversificare le fonti energetiche, ma anche sulla tenuta di tutte le filiere produttive che pensavamo inattaccabili per effetto della globalizzazione.

Purtroppo la situazione  ci ha fatto comprendere fino in fondo come i vasi comunicanti dell’economia alimentano dinamiche lontane e sconvolgenti: così la favola del battito di farfalla in Giappone che provoca il terremoto in California si è purtroppo avverata ancora una volta ed impatta sulle esportazioni e le importazioni, sull’inflazione, sul mercato delle materie prime, sulle politiche monetarie, sui sistemi di pagamento internazionali, mettendo in crisi  intere filiere produttive,  tenendo in sospeso aziende ed interi settori economici.

La guerra costerà all’Unione europea l’1,4 del Pil: non poco, un costo che unito all’inflazione che a sua volta genera altra inflazione, mette in moto atteggiamenti non solo di difesa ma alimenta anche fenomeni di speculazione come sottolineato da alcuni autorevoli esponenti del governo. Tutti questi elementi insieme rischiano di erodere tutti gli effetti positivi che ci aspettiamo dal Pnrr.

Ma il Pnrr che cosa è? Rappresenta la sommatoria delle commesse pubbliche di ingente valore e da realizzare in tempi brevi, fatturato per le imprese, che sono elementi che fanno aumentare il rischio di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata, un rischio presente da sempre, ma che situazioni di contesto legate all’urgenza e agli ammontari di fondi rilevanti, fanno lievitare ulteriormente.

Fortunatamente il contenuto tecnologico di tale commesse non è proprio alla portata delle solite aziende di movimento terra in odore di coppola e lupara, ma sono alla portata delle aziende di seconda o terza generazione create magari inizialmente con capitali di dubbia provenienza forse addirittura frutto di lavaggio di fondi creati chissà con quale tipologia di business. Sono imprese che ormai si sono conquistate una verginità ed una reputazione senza però perdere il vizio originario di giocare sporco con mazzi di carte truccati dalla corruzione.

Oggi il Pnrr da solo può essere considerato concettualmente come un’unica e grande infrastruttura critica e, come tale, possibile oggetto di attacchi informatici sia da parte della criminalità organizzata che attraverso la guerra cibernetica cerca di prendersi dei vantaggi nei confronti di aziende che storicamente operano con lealtà e serietà, sia da parte di nazioni straniere che provano a minare la produttività e la messa a terra di iniziative importanti per il nostro Paese.

Qui rientra in campo il fattore guerra: se è vero che da noi non fischiano le bombe, è vero però che, anche se non siamo in recessione, si sente la morsa della crisi economica ed il silenzio minaccioso dei mouse impegnati nella guerra cibernetica; una guerra  che è in atto da tempo e che vede all’opera non solo concorrenti sleali, ma soprattutto nazioni ostili e tra queste figura oggi più di ieri la Russia che da sempre ha messo in atto azioni di disturbo per creare confusione nei paesi occidentali.

Ora, dal momento che con questa guerra il nostro Paese è entrato nella lista dei paesi ostili alla Russia, dobbiamo aspettarci un inasprimento di tale guerra cibernetica che costa poco per chi la provoca, ma provoca grandi danni per chi la subisce soprattutto se puntata sul sistema degli approvvigionamenti e della logistica e non solo della pubblica amministrazione.

ll “processo di amazzonizzazione” in atto ormai da diverso tempo, infatti, ha spostato i magazzini delle imprese all’interno dei Tir che solcano le autostrade con tempi di risposta incredibili ed impensabili solo qualche anno fa. Se da un lato il processo è diventato più efficiente, dall’altro però, è diventato più fragile ed attaccabile: basta un incremento del costo del gasolio per bloccare il settore dei trasporti.

Fenomeni che ricordano i “moti del pane” nel 1977 in Egitto e le proteste in Marocco e Tunisia degli anni ’80. La globalizzazione ha aggiunto nuovi anelli alle catene di produzione, ma le ha rese più vulnerabili alle minacce ed alla speculazione: lo abbiamo verificato con la fornitura delle famose mascherine in periodi di pandemia quando affaristi e speculatori, a volte nazioni, intercettavano TIR nelle autostrade di Europa e a suon di migliaia di euro li dirottavano dove faceva loro più comodo.

Ora siamo in guerra e c’è da realizzare un programma come il Pnrr che è strategico per il nostro Paese, per le nostre pubbliche amministrazioni e per le nostre imprese: le cifre in ballo sono notevoli e questo è inevitabile che attiri, come il miele le mosche, tanti soggetti senza scrupoli a caccia di vantaggi competitivi o paesi come la Russia ansiosa di vendetta per le sanzioni economiche a lei imposte dopo l’attacco all’Ucraina.

Questo significa che dobbiamo tutti tenere la guardia alta e non solo le nostre efficienti e competenti strutture dedicate alla cyber sicurezza: il rischio che qualcuno buchi i nostri sistemi di sicurezza informatica non è un cigno nero, è solo un cigno bianco che rischiamo di non riconoscere o riconoscere tardi. Da qui l’esigenza di una sempre maggiore collaborazione tra imprese, amministrazioni pubbliche e strutture di intelligence di Stato.

La conclusione è semplice: la combinazione tra Pnrr, la storica funzione acquisti della pubblica amministrazione con la contingenza economica legata alla guerra in Ucraina, l’inasprirsi della guerra cibernetica sono elementi che registrano un rischio di infiltrazione non solo della criminalità organizzata, ma anche della criminalità politica di quei paesi che pur di realizzare i propri progetti espansionistici non esitano a portare attacchi a danno di quei paesi che non la pensano come loro. Sono attacchi ai diritti umani, alle popolazioni civili e per i paesi geograficamente più lontani sono anche attacchi informatici che subito dopo diventano economici e poi sociali.

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