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L’Italia e l’economia di guerra. Ci siamo già dentro

L’intervento di Maurizio Guandalini: il già annunciato cammino verso forme annacquate di sovranismo autarchico, insomma il fai da te per quello che ci serve, è segnato a sorte eterna. Qual è il nuovo paradigma della globalizzazione ‘the day after’? Che non si farà più commercio e investimenti con i paesi che violano i diritti umani?

Non è parvenza. Stiamo prendendola alla leggera. I soldi ci sono, il gas c’è ma costa di più, le banche funzionano, quindi non proprio di economia di guerra si tratta, ma ne siamo ormai prossimi, con razionamenti, limiti all’acquisto di prodotti alimentari, tir fermi per l’allarme gasolio. Non è economia di guerra, ma dobbiamo prepararci ha detto a Versailles il premier Draghi. La risposta  puntuta è che l’economia italiana va bene, solo un rallentamento, da risolvere a stretto giro, il futuro è incerto. Siamo già in ritardo e all’orizzonte si annunciano altre sanzioni. Quiet, please. La commissione europea ha detto che la penuria energetica si risolve con la diminuzione di qualche grado del termostato. Il 130% in più del costo delle bollette di gas e luce, per altro, già arrivate nelle nostre abitazioni, in alcuni casi con aumenti ben superiori alle cifre preventivate, sta mettendo sul lastrico piccole e medie imprese, partite Iva, famiglie, anziani con pensioni risicate.

Davide Tabarelli, chairman di Nomisma, uno dei maggiori esperti in Europa di energia ha dichiarato: “Questa è un’emergenza senza precedenti e destinata a durare a lungo, la stiamo affrontando con un ottimismo immotivato. Gli obiettivi di cui parlano Draghi e Cingolani non sono raggiungibili”. A questo punto non sarebbe il caso che  lo espliciti il bureau del Governo agli italiani? Si dica, cifre alla mano, che per effetto delle sanzioni pagheremo un prezzo salatissimo, ab illo tempore. Gli italiani sono d’accordo? La trasparenza, la democrazia, la libertà è questa roba qui. Chiarezza nei rapporti.

Insistere che faremo, risolveremo, metteremo a posto quando dai documenti ufficiali, anche del vertice di Versailles, si scrive a chiare lettere che solo dal 2027 ci leveremo dal groppone la dipendenza dal gas russo, vuol dire che le lingue parlate sono diverse. Frammentate. Non è tutto. Macron sulla penuria alimentare dell’Ue ha detto: “Sul grano e sui cereali saremo ancora più destabilizzati fra 12-18 mesi a causa di quello che non può essere seminato in questi giorni”. E’ incerto pure un Recovery Ue, cioè i denari, non proprio a fondo perduto, per l’energia o in generale per far fronte all’economia di guerra. Se n’è parlato, sfiorato il tema, demandato alla Commissione a preparare una proposta.

Forse un fondo di 130 miliardi di euro, girava questa cifra, in sostanza non tutta la quota che solo gli italiani pagheranno in più nel 2022 per l’aumento delle bollette energetiche. Voglio vedere l’Unione europea mossa negli arzigogoli di sempre col pallottoliere dare ristori minimi a un tessuto economico martoriato dalla pandemia, con migliaia d’imprese decimate, altre in sofferenza, altre ancora che non si rialzeranno mai più. C’è un andante lento dell’Unione europea che non rassicura. A Versailles è stato un bouillon di vaghezza, burocrazia, freno a mano. Approssimazione.

È economia di guerra? Tra poco, d’accordo. Star lì a dire discuteremo nei prossimi giorni, abbiamo demandato, ci sarà una proposta sono fanfaluche. Le decisioni vanno prese. Seduta stante. E se non c’è accordo europeo ogni Stato procede secondo le urgenze impellenti. Le sanzioni. sono prese d’un soffio, veloci, dalla sera alla mattina? Le sanzioni sono usate come strumento di guerra? Le sanzioni sono shock and awe, colpisci e terrorizza? Di contro i paesi sanzionatori devono accendere immediatamente gli strumenti di difesa e di protezione dei cittadini che amministrano. Perché creare un caos indistinto con la promessa di occuparsene quando sta già accadendo o è accaduto? Il futuro entra in noi molto prima che accada.

E’ evidente che la narrazione della trama fin qui raccontata è parziale ma rende l’idea di quanto siano dannose le sanzioni applicate alla Russia. Che tendono a un generale impoverimento (chi più chi meno, l’Italia tra i più-più) di tutto il mondo, ricacciano nella povertà strati diffusi di popolazione, spezzano la filiera di collaborazione economico commerciale andando a passo spedito verso una decrescita infelice.

Giorni fa, nei diversi angoscianti talk televisivi, c’erano alcuni cosiddetti esperti che contavano i minuti per dichiarare finalmente il default della Russia. Se l’applicazione delle sanzioni dà come effetto un rallegramento perché ci saranno popoli affamati, francamente viene da chiedersi come s’intende la solidarietà e la cooperazione tra i popoli. E quindi lo spirito con il quale si sta aiutando il popolo ucraino.

Su Formiche.net ho già scritto perché le sanzioni sono un vulnus catastrofico. Che danneggia gli ucraini, i russi, gli italiani, gli europei e il resto del mondo. Incolpevoli al cospetto del conflitto. L’ha spiegato bene la posizione della Cina che, infatti, ne ha chiesto l’immediata cessazione. L’Europa di contro risponde mettendone altre. In un risiko che lascia spazio a un non so che di dilettantismo della classe politica. Chiariamoci. Qual è il nuovo paradigma della globalizzazione ‘the day after’? Che non si farà più commercio e investimenti con i paesi che violano i diritti umani? Che sfruttano la manodopera minorile? Che mettono in galera gli oppositori? Che usano la pena di morte per gli innocenti? I nuovi paesi fornitori dove andremo a foraggiarci di gas sono anime belle, paesi specchiati, democrazie liberali di buon e quieto vivere?

Il già annunciato cammino verso forme annacquate di sovranismo autarchico, insomma il fai da te per quello che ci serve, è segnato a sorte eterna. Si dice: le sanzioni servono a premere su Putin a fermare la guerra. Possibile che per fermare Putin si debba fare un karakiri generalizzato? A tal proposito, nel bailamme delle previsioni di cui siamo circondati, consiglio la lettura delle considerazioni dello storico Roj Medvedev, 95 anni, che vede Putin in sella sostenuto dalla stragrande maggioranza del suo popolo (che non è solo quello di San Pietroburgo e Mosca), in grado di reggere i sacrifici (Putin aveva messo in conto le sanzioni dure), verso la conquista non tanto dell’Ucraina ma di quelle zone, dove c’è la presenza russofona.

Quindi senza mozioni d’affetto pro Putin è possibile farsi qualche domanda, insinuare dubbi di sostanza? Non sarà che queste sanzioni sono un’arma che rassicura e giustifica all’istante l’assenza di una seppur minima strategia europea sul da farsi, sia in armi sia per via diplomatica? A questo punto non sarebbe più opportuno a ricondurre a più miti consigli il presidente Zelensky evitando, così, di mandare gli ucraini a una carneficina atroce? E ancora. A quando l’individuazione di un mediatore di livello che si dia da fare alla ricerca di soluzioni? In precedenti miei interventi avevo indicato una personalità alla Berlusconi, riconosciuto, politico ma pure uno che conosce i valori dell’economia da difendere, poi sono usciti i nomi di Merkel e in questi giorni dell’ex cancelliere Schröder che non capisce perché snobbato dai suoi in patria quando invece avrebbe le caratteristiche necessarie che tengono insieme politica, economia e interessi nazionali.

L’unica strategia possibile che ora possiamo fantasticare, immaginare,  è che vi sia un lavorio dell’intelligence occidentali per un golpe al Cremlino che destituisca Putin. Ma anche qui diventa difficile ipotizzare  risvolti politici, sociali ed economici che sarebbero per certi versi drammatici. Non dimentichiamo che la Russia di oggi è l’effetto della caduta del Muro di Berlino, la cacciata di Gorbaciov e l’arrivo di Eltsin e quindi di Putin. All’interno è prevalsa l’architrave più o meno nascosta dell’Occidente. Che ha modellato fino a dove ha potuto.

E’ stato Putin che ha ripreso in mano le redini di un paese vasto, variegato nelle etnie, popoli con storie differenti, se volete un modello di conduzione necessaria è paragonabile al maresciallo Tito per la Jugoslavia o il colonnello Gheddafi per la Libia. E in entrambi i casi, Jugoslavia e Libia, abbiamo visto le conseguenze della fine dei loro comandanti in capo. Per la Russia l’effetto moltiplicatore sarebbe devastante. Per la stessa economia. Già urtata e violentata nel suo travaglio denso di incognite dopo la fine di Gorbaciov. L’Occidente si è inserita proponendo il classico modello standard del Fondo Monetario Internazionale ma ha fatto più male che bene perché disaccorti nel dare valore alla transizione. All’education prima del business. Al conoscere per investire.

Strumenti che avrebbero meglio supportato la transizione democratica della Russia. Il traguardo odierno, il cosiddetto capitalismo di Stato (per la Cina rimane valida la formula di Deng “socialismo di mercato”),  vergato da Putin si regge su pilastri viziati, senza dubbio. Il primo vizio è la classe imprenditoriale degli oligarchi, pochi straricchi per volontà del capo che controllano il sistema finanziario russo. E’ un esempio che ai nostri occhi è inspiegabile se non da aborrire. Però è un punto di equilibrio di quel sistema che privo del comunismo, si poggia per volontà di Putin su imperialismo zarista e nazionalismo maritato a un camouflage attorcigliato di libertà d’impresa, un tenore di vita più alto rispetto al periodo comunista anche se molte delle garanzie assicurate sotto quel regime oggi, molte, è da conquistare.

Secondo pilastro viziato è il fenomeno diffuso della mafia, così della corruzione che Zar Vlad non è riuscito a scalfire. Mafia e corruzione sono cancri sempre presenti. Assillo di quel Andropov, ante Gorbaciov, quello sì capo del Kgb prima di assurgere nel 1982 a segretario del Partito Comunista (Putin del Kgb ne è stato solo funzionario) che per la storia dell’Urss se ne andò troppo presto nel 1984.  Con certezza oggi quel grande paese sarebbe, nel suo format di funzionamento, simile alla Cina.

Sono andato veloce nel dettagliare passaggi  storicizzati, catalogati che andrebbero meglio levigati, nutriti, introiettati drenandoli dalla fantapolitica, ma il mio sforzo  è teso a evidenziare l’azzardo dell’approccio occidentale al conflitto russo-ucraino. Si è messa in movimento una macchina senza guidatore convinti che agitare il vessillo della libertà sia esaustivo e pacificatore del dopo che arriverà. Senza considerare appunto come questo mondo è interconnesso dalla globalizzazione, e quindi errori di valutazione e mosse azzardate compromettano il destino di nazioni obtorto collo coinvolte in scelte di reazione dei loro leader che sanno di improvvisazione e pressapochismo.

A partire dalla forza militare. Mi stupisco dello stupore di Draghi nell’apprendere dal Ministro degli Esteri della Commissione europea, Borrell, che i paesi europei spendono per la difesa tre volte di quello che spende la Russia. A seguire in tv assistiamo allo sfoggio di una retorica bellicista superomista nauseante. Generali, ex generali, strateghi improvvisati, opinionisti del io l’avevo detto (il giorno dopo che è accaduto), cartine, plastici, guerriglie, attacchi, certezze, pressioni. Poche parole di pace. Di missioni vere e proprie. Ad esempio dell’Europa.

Si sta a strologare tra filo americani e filo russi, tra i né-né e lo sventolio dell’assunto retorico “con le armi si aiuta la pace”.  Gli armiamoci e partite (vi diamo le armi ma combattete voi) procurano sofferenze indicibili, e  molti morti, al popolo ucraino, ma anche danni irreparabili al nostro popolo. A quello russo. Quando si fanno le file davanti ai negozi ci vuole poco ad avere difficoltà nel riuscire a fare pranzo e cena in un giorno. E la libertà, a proposito di paradigmi da aggiornare, non è anche assicurare il companatico a se stessi e alla  famiglia? Parliamone.

Il dato incontrovertibile è che rischiamo una recessione generalizzata di quelle mai viste se non si cambia rotta. Sono le filiere del commercio internazionale che ci vanno di mezzo. Del gas, del grano, e a valanga sul resto. Con speculazione annessa e connessa. Perché quando cancelli o decidi di non usare più la globalizzazione ‘buona’, la globalizzazione ‘cattiva’ è lì in agguato a fare il suo sporco dovere.

Oggi i prezzi del gas, della benzina, e quindi il costo dei beni di consumo e via elencando  funzionano a trazione speculativa. Il gas arriva normalmente e quindi perché le bollette sono così care? Perché il gasolio è schizzato a mille, così la benzina? Cosa ci vuole per togliere seduta stante le accise, tasse e balzelli fiscali che pesano sull’oro nero alla pompa? E del prezzo folle della verdura, delle farine, degli ortaggi?  Aumenti a doppia cifra che poi sarà quasi impossibile calmierare quando lo spettro della guerra troverà fine.

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