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Perché credo che le sanzioni siano inutili. Scrive Guandalini

Riceviamo e pubblichiamo l’articolo di Maurizio Guandalini, che nell’era della globalizzazione considera il ricorso alle sanzioni utopia, mancanza di realismo, inconsapevolezza della realtà degli scambi internazionali

Mi sto sbracciando in tutti i modi nell’evidenziare un aspetto non secondario nel criminoso e aberrante conflitto russo-ucraino. Di considerare il fenomeno prepotente della globalizzazione dell’economia, che da dopo la caduta del muro di Berlino ha accelerato notevolmente nel mondo, staccato dalle soluzioni politiche o geopolitiche militari e di difesa quanto mai urgenti. Mi riferisco alle sanzioni. Che in Occidente sventolano a gran voce. A gara, più dure che mai. Più drastiche di sempre. Perché non si svende la libertà per del grano e del gas. Nelle grida “sanzioni-sanzioni” c’è l’inquietudine di chi sa di agitare uno strumento inefficace, universalmente riconosciuto da addetti ai lavori come ultroneo, ma che però, momentaneamente, salva le coscienze, copre le carenze decennali di politiche di difesa, deficit di diplomazia, incapacità di relazionarsi.

Quella delle sanzioni è utopia, mancanza di realismo, l’inconsapevolezza di far precipitare la situazione sociale di molti paesi. Assorti nell’umore “muoia Sansone con tutti i filistei”. Perché aggiungere caos a caos? Dramma a dramma? Acuire le povertà – anche questa non è, forse, sottrazione di libertà? – di società già fortemente provate da un’altra guerra, quella della pandemia, a Est come a Ovest? Chiusura di aziende, operai licenziati, famiglie che non sapranno come tirare a campare, mentre il gas non arriverà, il grano nemmeno, si fermeranno nazioni, sfibrando il labile equilibrio psicologico d’intere popolazioni. In Occidente come in Russia, e in Ucraina dove i cittadini non hanno colpe e non si comprende perché devono ulteriormente soffrire, cumulare disagio, subire, patire.

La cautela, l’accortezza, la ponderatezza del premier Draghi nel togliere lo Swift per la banche russe spiega bene del pericolo che potrebbe generare un provvedimento del genere nel tessuto sociale (famigliare e imprenditoriale) italiano.

Leggo, in queste ore, molti consigli ex post. Di quello che avremmo dovuto fare (esempio autonomia energetica) e non abbiamo fatto ma da fare oggi. Tutto vero, anche se è un vademecum per gli anni a venire. L’immediato ha sete di soluzioni. E per leggere il presente scrollandoci di dosso le paure, le emozioni, le reazioni a caldo s’impone un’analisi dei fatti, gravissimi, che stanno avvenendo non con gli occhi di cinquanta o ottanta anni fa. Il mondo, grazie a tutti noi, non è fermo al 1939 o agli interminabili anni della guerra fredda.

C’è un fenomeno contrario all’immobilismo e al congelamento, l’antitesi al sovranismo, che ha caratterizzato il post caduta del Muro di Berlino. E’ la globalizzazione, appunto. Il caso ucraino l’ha ricordato Romano Prodi in un’intervista a il Foglio: a Putin non interessava l’entrata dell’Ucraina nell’Unione europea ma bastava restasse fuori dalla Nato. Questo è il postulato del conflitto in corso che vanifica, smonta e relega nella loro inutilità le sanzioni economiche. Perché un fatto acquisito della globalizzazione (ancora, purtroppo, senza le tante agognate regole di Obama, idealizzate durante la crisi finanziaria del 2008), è che gli scambi commerciali, gli investimenti, la cooperazione a estuario, marciano dentro una loro corsia che, malgrado avvenimenti avversi, deve rimanere aperta anche di fronte al peggio.

La consapevolezza intellettuale delle classi occidentali nel riaffermare questa realtà servirebbe a togliere il velo d’ipocrisia che si manifesta attraverso l’applicazione di sanzioni economiche come ritorsione verso paesi con i quali fino il giorno prima vivevano di regolari rapporti commerciali. Dimenticando che così facendo si amplifica un presupposto, sempre disatteso (anche perché come si ricordava prima, ahinoi, la globalizzazione è priva di regole) che si parla (e si commercia) solo con stati probi a una limpidezza etica e morale incontrovertibile. Forse prima del conflitto ucraino, Putin e la Russia, ad esempio sul versante diritti umani, erano in quella piena regolarità che permetteva lo scambio commerciale gas e grano a noi, macchinari e made in Italy a loro?

Prestando attenzione ai diritti umani violati nessun paese dovrebbe commerciare con la Cina. L’Italia, per il caso Regeni, avrebbe dovuto chiudere i ponti con l’Egitto. Buona parte dei paesi occidentali non dovrebbe partecipare ai mondiali di calcio in Qatar. L’efficacia delle sanzioni? Quelle comminate alla Russia qualche anno fa i tedeschi le hanno sistematicamente aggirate. Noi italiani invece le abbiamo rispettate alla virgola, distruggendo la filiera del made in Italy.

E a proposito di voce grossa&ipocrisia. Boris Johnson sta facendo il duro, intende chiudere banche spedire a casa gli oligarchi russi e, dimentica che Londra è la piazza affari più importante al mondo dove si fermano e transitano i denari non proprio trasparenti di alcuni paesi del Golfo che attraverso le ‘piramidi’ della finanza islamica foraggiavano (foraggiano?) il terrorismo internazionale. Per la serie, qui il più pulito ha la rogna. E lo stesso vale per il democratico Biden. Buona parte del debito americano è nelle mani di Cina e fondi sovrani. Forse il Presidente degli Stati Uniti intende rinunciarvi a breve?

Le sanzioni ‘impossibili’ nell’era della globalizzazione sono uno strumento stanco che impoverisce, chiude, soffoca, rende vitale l’integralismo, il nazionalismo degli stati autoritari impedendo di far uscire dalla povertà milioni di persone. Prendiamo come riferimento il prima e il dopo Muro di Berlino. L’Italia, prima del 1989, malgrado tutto, dialogava economicamente con l’Urss comunista negli anni Cinquanta e Sessanta (si ricorda “Togliattigrad”, fabbrica di auto della Fiat), lo slancio durante il periodo di Gorbaciov con il graduale ingresso delle imprese straniere attraverso le joint venture, le società a capitale misto, le zone franche che permettevano di recuperare i gap tecnologici (in proposito si legga un libro del 1990, Investire all’Est, con prefazione di G. Napolitano, a cura di M. Guandalini, frutto del primo workshop che ho organizzato a Frattocchie per l’Istituto per la formazione politica della Direzione del Pci) che si erano riversati negativamente sulle condizioni di vita di quei paesi.

La cura dell’arretratezza tecnologica dei paesi dell’Est ci ricollega al fallace utilizzo pressorio delle sanzioni, che ha inizio da quando fu allentato il divieto imposto (durante la Guerra Fredda) dall’Occidente verso i paesi Comecon, l’alleanza economica dell’Est, di esportare tecnologia  suscettibile ai fini militari – ad esempio un macchinario utile per inscatolare la carne poteva essere utilizzato per i cingolati dei carri armati. Ecco i danni che producono la commistione tra politica sanzionatoria ed economia. Fino a inficiare gli esiti di un’operazione colossale nella storia economica come quella di trasformare un’economia centralizzata in un’economia capitalista (Umberto Agnelli nella prefazione di un mio libro del 1997, Guida al business nell’Europa dell’Est, la definì una “trasformazione sistemica senza precedenti nella storia”).

Lì l’Occidente deragliò imponendo l’impossibile, le assurde ricette, tutte e sempre uguali, del Fondo Monetario Internazionale e i risultati sono state, in molti casi, un periodo lungo di saccheggio dell’Occidente verso i paesi dell’Est e l’Urss in particolare, il contrario di quel puro scambio commerciale o investimento produttivo tanto auspicato. A proposito e in generale sul conflitto in corso consiglio la lettura attenta dell’intervista a Massimo D’Alema su la Stampa, forse la sola analisi lucida e realista su quello che sta succedendo e le soluzioni politiche, sottolineo politiche possibili per uscirne.

Gli scambi commerciali testimoniano soprattutto il dialogo tra nazioni. Tra classi imprenditoriali diverse. Tra sistemi. I racconti che mi fece il professor Victor Uckmar, uno dei primi a curare  le bozze della legge sulle società a capitale misto stilata dai russi e poi modificata più volte sotto la spinta del dialogo continuo con i nostri imprenditori, testimoniano i grandi passi in avanti che sarebbe assurdo interrompere perché poi ricominciare, ab illo tempore, vuol dire ritornare da capo, ricostruire fiducia, intesa, capirsi e dopo una lunga fase di sanzioni che fanno tabula rasa di tutto questo sarebbe un dialogo tra sordi.

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