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Così da Kiev l’onda russa sconquassa l’Africa

Di Luciano Pollichieni
Più gas? Ti piacerebbe. Il Cremlino tiene l’Ue sul chi va là

Dal Sudan al Mali, dal Ciad alla Mauritania. C’è un altro risiko geopolitico che vede impegnata in prima fila la Russia di Vladimir Putin. E la guerra contro l’Ucraina può riscrivere le regole del gioco. L’analisi di Luciano Pollichieni (Med-Or)

Nonostante le centinaia di migliaia di chilometri che separano il fronte in Ucraina dall’Africa, il conflitto tra Mosca e Kiev è destinato ad avere forti ripercussioni sugli equilibri del continente almeno su tre aree fondamentali: 1) Cooperazione tra Africa e Russia; 2) commercio; 3) finanza.

Partiamo dalla prima. Il voto all’Onu degli Stati africani sulla guerra in Ucraina offre già una prima indicazione delle dinamiche in atto nelle relazioni afro-russe. Da una parte, i partner storici di Mosca nel continente, come Sud Africa e Angola, rimangono fedeli alla linea optando per l’astensione. Dall’altra, le reazioni nel Corno d’Africa si pongono in discontinuità: Sudan e Sud Sudan optano per l’astensione, l’Etiopia per il non voto, mentre l’Eritrea decide addirittura di votare contro la condanna dell’invasione.

Messi insieme, questi voti dimostrano l’efficacia della politica russa nella regione che, almeno temporaneamente, riesce a resistere all’onda d’urto di sanzioni e conflitto. Emblematico il caso del Sudan, con il generale Dagalo Hemedti che ha visitato Mosca nelle ore precedenti l’invasione dichiarando il supporto per la “tutela della sicurezza russa”, così come la volontà di espandere la partnership tra Mosca e Khartoum.

La posizione del Sudan (e soprattutto del suo esercito) non sorprendono, specie considerando la presenza del Wagner Group nel Paese e gli investimenti russi nella nuova base navale di Port Sudan. La posizione Eritrea invece, con il voto contrario all’Assemblea Generale, conferma l’avvicinamento di Asmara a Mosca. Poche settimane fa il rappresentante speciale di Putin, Mikhail Bogdanov, ha incontrato il presidente Afwerki a Massaua per discutere dell’ampliamento della cooperazione tra i due stati.

Importante anche la posizione dei Paesi del Sahel. I membri del G5 Sahel votano in maggioranza contro l’invasione (Ciad, Niger e Mauritania) mentre il Mali decide di astenersi e il Burkina Faso addirittura di non partecipare al voto. In questo senso, la crisi in Ucraina conferma le spaccature nel G5 così come l’efficacia del Gruppo Wagner nell’attirare paesi nell’orbita di Mosca. Tuttavia, il futuro della partnership tra Russia e stati come Mali e Repubblica Centrafricana dipenderà dalla capacità russa di rimanere sul campo, specie dopo le ultime indiscrezioni che parlano di un ridispiegamento dei contractors di Mosca in Ucraina per supportare l’offensiva verso Kiev.

Luci e ombre sulle conseguenze economiche del conflitto. La crisi energetica e le sanzioni imposte alla Russia rimettono l’Africa al centro del mercato energetico mondiale. Le potenzialità di questo sconvolgimento erano già state sottolineate il mese scorso dal presidente della Tanzania, Samia Suluh Hassan, e sono state confermate anche dal vertice Unione Africana-Unione Europea.

Il Pivot to Africa della domanda energetica europea era latente già a gennaio, con l’Algeria che era diventata il principale esportatore di gas verso l’Italia ma questa tendenza sarà cavalcata nei prossimi mesi anche da stati come Senegal, Costa d’Avorio, Mozambico e Nigeria che dispongono di risorse in abbondanza ma che devono affrontare il problema della logistica nella fornitura.

A fronte di un mercato energetico in crescita, il continente deve fronteggiare problemi di approvvigionamento e inflazione. L’aumento del prezzo del carburante la scorsa settimana ha portato alle prime proteste in Nigeria mentre, paesi come Egitto, Ghana, e Kenya che importano la maggior parte loro grano proprio da Russia e Ucraina, stanno già fronteggiando l’aumento dei prezzi sul mercato alimentare.

Da ultimo il problema delle finanze pubbliche. La guerra in Ucraina aumenta il rischio d’insolvenza dei debiti sovrani nel continente, già messi sotto stress dalla pandemia. A stretto giro non sussitono le condizioni per un vero e proprio default ma la dipendenza dal finanziamento estero combinata con la ristrutturazione in atto del regime dei sussidi potrebbero portare a una congiuntura sfavorevole nel lungo periodo.

In questo contesto, non è improbabile che le ripercussioni finanziarie della crisi in Ucraina spingano l’Fmi, a una revisione delle politiche sul debito delle economie africane, rimandando l’abolizione dei sussidi. Inoltre, le sanzioni mettono in crisi anche gli investimenti fatti nel continente da Mosca e questo spiega anche un certo tentennamento delle élite del continente a condannare l’invasione.

Insomma, sono tutte questioni pratiche più che di principio, ma in Africa, come in Europa, nulla sarà come prima dopo il conflitto.

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