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Rottamare il Pnrr non conviene. Monti (Luiss) spiega perché

Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli e membro del Covige, Comitato per la valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche del ministero per le Politiche Giovanili, racconta a Formiche.net a che punto siamo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza e quanto è fondamentale ora l’implementazione dei progetti

“In queste settimane di rinnovata instabilità mondiale sulla scorta della guerra in Ucraina, con il suo portato di conseguenze negative anche per la nostra economia, da più parti si è proposto di riscrivere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) legato ai finanziamenti europei di Next Generation EU. Nonostante sia condivisibile l’idea di cercare nuova linfa anche a livello europeo per la nostra ripresa, ‘rottamare’ il Pnrr non è la strada economicamente e politicamente più lungimirante per il nostro Paese”. È questo l’incipit dell’ultimo policy brief pubblicato da Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli, esperto di Pnrr, membro del Covige, Comitato per la Valutazione dell’Impatto Generazionale delle politiche pubbliche del ministero per le Politiche Giovanili e autore della guida “I fondi europei” (Luiss University Press), intervistato in esclusiva da Formiche.net.

Perché non è il momento di rottamare il Pnrr?

Vi sono almeno quattro buoni motivi per “andare avanti” con la strategia di ripresa e resilienza sostenuta dalle risorse del Dispositivo di Next Generation Eu. Il primo è che questa ennesima crisi rappresenta un banco di prova per il Pnrr: una buona strategia è tale soltanto se può reggere anche a improvvisi choc e una valutazione la si potrà fare solo quando avremo i primi dati sul raggiungimento dei target intermedi. Il secondo è che il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr è una sorta di corsa a ostacoli: una volta che si prende velocità, diventa più facile saltare le barriere che abbiamo di fronte; se invece ci si ferma tra un ostacolo e l’altro, ogni barriera sarà difficilmente sormontabile. Se ci fermiamo ora per riprogrammare il tutto, potremmo perdere lo slancio attuale e rischieremmo di bloccare le cose per mesi.

Il terzo è che la logica di attribuzione delle risorse comuni europee nell’ambito di Next Generation Eu non è necessariamente la stessa logica che sarebbe utile applicare per scongiurare l’attuale rallentamento dell’economia. Non è detto, infatti, che i Paesi più duramente colpiti dalla pandemia – e che comunque necessitano ancora di adeguato sostegno – siano gli stessi che risentiranno maggiormente dalle conseguenze della crisi ucraina. Rimanendo nell’alveo della nostra strategia nazionale, vedo difficile rimodulare le risorse del Pnrr avvertendo il forte timore che a pagare il conto sia la scuola e la ricerca (la missione n. 4). Infine, oggetto di più agevole modulazione potrebbe essere il Piano Complementare al Pnrr dotato di 30,64 miliardi di euro di sole risorse nazionali con alcuni stanziamenti per gli impianti di rigassificazione: stanziamenti che potrebbero essere rafforzati.

A che punto siamo nell’implementazione del Piano?

Nel 2021 l’Italia ha raggiunto 2 target (obiettivi quantitativi e d’investimento) e 49 milestone (obiettivi qualitativi o riforme), ancora una piccola parte rispetto ai 527 obiettivi (tra target e milestone) per i prossimi anni, ma comunque un inizio.

Il vero tema è porre l’attenzione su fasce di popolazione – in particolare giovani e donne – più colpite dalla recessione a valle della crisi finanziaria del 2008 prima, dalla crisi pandemica poi e con ogni probabilità dalla crisi ucraina ora.

In cosa consiste, invece, il piano REPowerEU?

Lo scorso 8 marzo la Commissione europea ha presentato il piano per ridurre drasticamente la dipendenza dei paesi membri della Ue dal gas russo. Il piano prevede da un lato il raggiungimento della totale indipendenza entro il 2030, ma con una riduzione di due terzi già nel 2022 e, dall’altro, il mantenimento degli stoccaggi di gas sopra il 90% della capienza totale all’inizio di ottobre di ogni anno. Un piano ambizioso ritenuto, tuttavia, da taluni poco realistico tanto che gli stessi capi di governo, riunitisi qualche giorno dopo a Versailles, hanno invitato la Commissione a formulare un nuovo e più articolato piano entro il mese di maggio.

Cosa pensa delle risorse destinate alle politiche giovanili?

Penso che serva una strategia volta ad annullare qual divario generazionale che opprime i nostri giovani da almeno 15 anni e i cui effetti si vedono sull’alto numero dei Neet, sul basso tasso di laureati e sulle condizioni di povertà in cui versano molti di loro. Una speranza è l’attività del Covige, il Comitato per la Valutazione dell’Impatto Generazionale delle politiche pubbliche presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduto dalla ministra Fabiana Dadone che lavora per l’introduzione della valutazione di impatto generazionale di ogni nuova politica pubblica e nella definizione dell’annunciato Patto per l’Occupazione giovanile da parte del Ministro del Lavoro Andrea Orlando.

Che ruolo devono assumere le Università nel pluriennale processo di execution del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?

Oggi è fondamentale formare figure professionali ad hoc, con forti competenze di project management e di gestione di fondi pubblici, in grado di lavorare efficacemente per potenziare la capacità delle istituzioni nazionali e locali, sfruttando al meglio le attuali risorse economiche e finanziarie. Un riscontro evidente è dato dal successo dei Master della School of Government della Luiss, a cui si rivolgono molti neolaureati o funzionari della Pubblica Amministrazione che vogliono specializzarsi o riqualificarsi nelle istituzioni italiane e nella implementazione del Pnrr. Per le studentesse e gli studenti che invece iniziano ora un corso di laurea triennale o magistrale, l’Università offre programmi dove si studiano le basi metodologiche e l’architettura del Piano, come nei miei corsi in cui mi concentro specificatamente sullo sviluppo applicativo dei suoi investimenti e riforme.

Come fanno le risorse del Pnrr ad arrivare alle imprese e come possono queste ultime tenersi informate sulle tante opportunità a loro riservate?

In due modi: attraverso norme nazionali (o bandi emessi dalle amministrazioni centrali) che prevedono benefici diretti per le imprese (progetti “a titolarità diretta”) e mediante bandi diretti ai Comuni, di cui le imprese possono diventare fornitrici di beni e servizi (interventi “a regia”). Alcuni tra i principali quotidiani hanno avviato vere e proprie campagne di informazione sulle opportunità offerte alle imprese dal Pnrr, mentre le associazioni territoriali e settoriali di Confindustria si stanno organizzando per fornire informative e supporto specifico alle imprese. L’alternativa è informarsi sulla stampa specializzata o sul sito del governo creato ad hoc Italiadomani.gov.it.

Un altro driver fondamentale del nostro Paese è il patrimonio culturale, a cui sono destinati oltre tre milioni del Pnrr. Quali misure sono secondo lei richieste per fare della cultura un driver di rilancio dell’economia italiana e del turismo?

Direi che una delle esigenze è sempre la formazione: offrire percorsi che preparino professionisti alla valorizzazione e gestione del patrimonio culturale è il presupposto per incidere sul suo sviluppo. La Luiss ha lanciato per questo il corso di Laurea Magistrale in Policies and Governance in Europe (deadline delle iscrizioni venerdì 1° aprile – come gli altri corsi magistrali), proprio dedicato ad aspiranti professionisti dei fondi europei con indirizzi in “Economic governance and market regulation” – per sviluppare competenze sulla gestione dei fondi europei per affrontare le sfide del Recovery Plan – e “Cultural heritage” – per imparare a governare il patrimonio culturale in ambito europeo e imparare a valorizzare l’immenso patrimonio del nostro Paese.

 



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