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Nucleare e de-escalation. Il vertice Nato visto da Marrone

Al vertice Nato di Bruxelles passa la linea della cautela e la volontà di “non arrivare a una escalation con la Russia”. Positivo il dispiegamento di ulteriori battlegroup a difesa dei Paesi dell’Alleanza più vicini all’area del conflitto, in chiave difensiva, e l’invio all’Ucraina di materiali protettivi contro armi non convenzionali. Airpress ne ha discusso con Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello Iai

“Non-escalation”, sostegno all’Ucraina e deterrenza, rafforzando il fianco est dell’Alleanza. La strategia della Nato resta la stessa dopo il vertice di Bruxelles secondo Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dello Iai. La riunione, nonostante abbia predisposto la fornitura all’Ucraina di materiale protettivo, di strumenti, di sensori, di tute per contrastare la minaccia proveniente da armi non convenzionali, non ha mutato la postura fin qui mantenuta dagli alleati. Come dimostra anche la volontà di dispiegare quattro battlegroup per rinforzare la difesa del fianco Est della Nato da possibili attacchi. “Le ipotesi, che ritenevo già infondate nei giorni scorsi, di no-fly zone o di invio di forze di peacekeeping, avanzate da alcuni alleati dell’Europa orientale, non sono state prese in considerazione. La Nato continua invece a fornire un supporto alle forze ucraine, in modo proporzionale alla volontà di non arrivare a una escalation con la Russia”. Anche la proroga del mandato di Jens Stoltenberg è condivisibile (ed era prevedibile), secondo l’esperto dello Iai, ma c’è da registrare un dato: da 23 anni ogni segretario generale è stato espressione di un Paese affacciato sul Mare del Nord.

Come può essere letto il summit Nato?

Il vertice Nato non ha impresso una svolta radicale alla posizione degli alleati rispetto alla guerra russo-ucraina. La strategia della Nato continua a basarsi su due obiettivi: da un lato la protezione degli Stati membri, evitando quindi l’escalation, e dall’altro il sostegno al Paese aggredito. L’equilibrio trovato in questo mese, dal punto di vista dell’Alleanza, ha prodotto il risultato di non innescare una escalation tra Nato e Russia. L’avanzata di Mosca è stata difatti fermata dalla resistenza delle forze ucraine e, in piccola parte, con il contributo degli equipaggiamenti militari donati dai Paesi membri della Nato – a cui si aggiunge l’assistenza economica e umanitaria. Dunque la Nato, a mio avviso, non aveva motivo di cambiare la propria strategia, se non aggiungendo la fornitura di protezioni contro l’uso di armi Nbcr (nucleari, biologiche, chimiche, radiologiche), insieme a una maggiore cooperazione sulla sicurezza e difesa cibernetica.

Pare quindi che sia passata la linea della cautela…

È passata la linea della non-escalation. La linea della continuità, del sostegno alle Forze armate ucraine adattandola a una realtà che potrebbe portare all’uso di armi chimiche e batteriologiche da parte della Russia. Tra le novità del vertice di Bruxelles vi è la fornitura all’Ucraina di materiale protettivo, di strumenti, di sensori, di tute per contrastare questa minaccia. Ma non vi sono stati, tuttavia, salti di qualità. Le ipotesi, che personalmente ritenevo già infondate nei giorni scorsi, di no fly zone o di invio di forze di peacekeeping, avanzate da alcuni alleati dell’Europa orientale, non sono state prese in considerazione. La Nato continua invece a fornire un supporto alle forze ucraine, in modo proporzionale alla volontà di non arrivare a una escalation con la Russia. Anche il dispiegamento dei battlegroup multinazionali sul fianco Est prosegue su questa linea perché avviene nel perimetro della Nato e rafforza la postura di dissuasione rispetto all’avanzata delle forze russe in Ucraina nell’ultimo mese.

Gli alleati si stanno misurando con il pericolo di incidenti o azioni che utilizzino armi non convenzionali, quali armi atomiche o chimiche. È uno scenario verosimile? E se fosse un’azione volontaria cosa spingerebbe la Russia a utilizzarle, visto che questo provocherebbe una reazione più forte dalla controparte internazionale?

Bisogna distinguere tra armi nucleari da un lato e armi chimiche e biologiche dall’altro. Le armi nucleari rappresenterebbero una escalation fortissima del conflitto e credo che la Russia non le userebbe come primo impiego in Ucraina. Il delicato scambio di messaggi sulla politica nucleare di deterrenza reciproca tra Mosca e Washington mi sembra pertanto che vada interpretato come un implicito understanding riguardo al fatto che nessuna delle due parti userà per prima l’arma nucleare. Quindi, un po’ traendo lezione dalla Guerra Fredda, il conflitto non si estende al territorio né della Russia né dei Paesi Nato, ma rimane circoscritto all’Ucraina.

Per quanto riguarda le armi chimiche?

Capitolo diverso sono le armi chimiche e biologiche perché esse rappresentano un’atrocità, una escalation per i civili ucraini che nelle aree colpite ne vedrebbero gli effetti drammatici ben oltre l’obiettivo militare colpito. Tuttavia, tali armi secondo me non porterebbero a una escalation del conflitto con la Nato. Come d’altronde l’uso di armi chimiche in altri teatri, come quello siriano, non ha portato all’intervento occidentale. Si tratta di un terreno molto scivoloso, di propaganda, un terreno in cui la Russia non è chiaro come intenda muoversi. Ciò che appare chiaro è che Mosca stia raschiando il fondo del barile delle proprie capacità militari, dai missili ipersonici che sono sproporzionati quanto a costo per l’impiego fatto in Ucraina, fino all’arruolamento di mercenari e riservisti e allo spostamento di truppe russe da regioni anche distanti. Putin sta esaurendo la capacità militare di sfondare le linee ucraine, che non solo resistono, ma sono in grado di manovrare e contrattaccare. Questo mette Mosca di fronte a un bivio tra l’intensificare il conflitto, che porterebbe a un uso di armi più devastanti per la popolazione civile, o d’altra parte in qualche modo prendere atto che non si riesca a sfondare il fronte ucraino, e dunque prepararsi a negoziare un cessate il fuoco.

È stato deciso il dispiegamento di quattro ulteriori battlegroup in Romania, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. Qual è il loro scopo? Perché sono stati dislocati?

La Nato dopo la prima guerra russa in Ucraina del 2014 ha dispiegato quattro battaglioni multinazionali nelle tre repubbliche baltiche e in Polonia. In seguito a questa seconda guerra in Ucraina che rafforza la posizione russa perlomeno sul Mar Nero e che segna il superamento di una serie di linee rosse, dal momento che si tratta di un’invasione totale di un Paese sovrano, pacifico e democratico, i battaglioni servono a mostrare l’unità e la coesione della Nato. Assicurando allo stesso tempo la deterrenza nei Paesi al confine con l’Ucraina e quindi appunto in Romania, Ungheria, Slovacchia e nella Bulgaria affacciata sul Mar Nero dove la posizione russa si è rafforzata. Si tratta, pertanto, di una risposta che agisce sempre in ottica difensiva e proporzionata. Così si concretizza la difesa collettiva, che pone alcune migliaia di soldati provenienti dal Nord America e dall’Europa occidentale in tutti i Paesi del fianco orientale, dal Baltico alla Bulgaria, facendo sì che un qualsiasi atto aggressivo, ibrido o non ibrido, da parte della Russia in uno qualsiasi di questi Stati rappresenti un attacco contro le Forze armate di tutti i Paesi membri. Lo scopo è nuovamente quello di scoraggiare e dissuadere questo eventuale attacco con un dispiegamento di forze che rimane nel perimetro della dissuasione convenzionale della Nato nei confronti della Russia. Non dimentichiamo che la Nato rimane ferma nella sua volontà di non intervenire direttamente in Ucraina.

In occasione del vertice si è deciso anche di prorogare di un anno il mandato del segretario generale, Jens Stoltenberg. Era nell’aria?

È una questione delicata, in generale è necessario e fisiologico che in un’Alleanza di trenta Paesi membri vi sia un periodico ricambio del vertice politico-istituzionale. Ponendo attenzione anche al bilanciamento geografico. È dai tempi di Javier Solana, quindi dal 1999, che i segretari generali provengono da Paesi che si affacciano sul Mare del Nord. Tuttavia, è anche comprensibile che in questo momento l’attenzione politica, militare e diplomatica degli Stati membri dell’Alleanza Atlantica sia rivolta all’Ucraina, e quindi ci sia anche meno modo per gestire un rinnovo complesso e delicato come quello della carica di segretario generale.



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