La libertà vive di conflitti democratici ma non è esportabile e deve essere fatta crescere nei luoghi in tensione. Ragion per cui i liberali debbono attivarsi per far sì che i comportamenti reali nelle relazioni tra nazioni differenti siano il meno possibile distanti quelli della libertà
Sabato 5 marzo sono usciti tre articoli di importanti giornalisti (Polito, Cazzullo e Caracciolo) che danno una visione plastica del nodo in cui è ormai avvolto il mondo occidentale sul come affrontare la guerra Russia – Ucraina.
Fin qui Nato e ambienti ultra conservatori Usa (che Biden argina a fatica), hanno tenuto una linea di certo lontana dal metodo liberale. Hanno consentito per lungo tempo (come minimo) che l’Ucraina non adempisse al trattato di Minsk 2 da essa stessa sottoscritto nel 2015 sul punto essenziale, nell’ottica russa, del riconoscimento di un’autonomia rafforzata alla regione del Donbass. E sono rimasti inerti ancora due settimane fa, quando di nuovo Putin ha posto quel riconoscimento quale condizione per non iniziare l’invasione dell’Ucraina. Già questa inerzia prolungata – completamente estranea al metodo liberale – è stata oggettivamente un errore capitale (salvo si intendesse provocare l’incidente che portasse ad una guerra non locale). Il comportamento è perfino peggiorato dopo l’invasione dell’Ucraina, poiché si è risposto con una campagna mediatica martellante in tutto l’Occidente per denunciare l’aggressione dell’autocrate Putin e sollecitare l’aiuto del mondo libero agli ucraini in guerra per la loro libertà e in difesa preventiva della nostra. Con quale obiettivo, se si esclude la guerra non locale?
Peraltro la logica della libertà non consente di per sé ambiguità tattiche. Se non si vuole la guerra mondiale – saggiamente Biden ha ripetutamente detto di non volerla e in seguito anche la Nato lo ha confermato – allora non si deve proseguire nell’aizzare l’opinione pubblica occidentale contro Putin e la Russia. Il fatto che la Russia ha una struttura non democratica e che Putin è modellato sul Kgb, oltre che notorio, è indiscutibile. Quindi insistere su questo tasto serve solo a spingere verso il ritorno al clima della guerra fredda. Che è un clima inadatto a promuovere gli scambi e i confronti, i soli presupposti del rafforzarsi della libertà civile imperniata sul cittadino individuo. E perciò un clima autolesionista.
I tre articoli richiamati all’inizio sono emblematici del nodo di fronte a noi. Polito cita Churchill che apostrofò i governanti inglesi con la famosa frase: “Potevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra”. E commenta: “Oggi in Ucraina ci sono i carri armati e i missili russi. E se si è contro la guerra, è contro chi la fa che bisogna manifestare”. Cazzullo scrive: “Viene un momento in cui bisogna decidere da quale parte stare. I generici appelli alla pace sono condivisibili, ma non bastano. La nostra parte non può che essere quella della libertà e della democrazia. È retorica? No, è carne e sangue”. Ambedue, evocano solo emozioni e non propongono coerenti comportamenti liberi sul come agire in concreto. Per cui, o preparano il passaggio alla guerra armata oppure lavorano per la guerra fredda. Caracciolo, invece, svolge un’analisi precisa di tre differenti scenari ma indica una sola strada ”per evitare che sfoci nella guerra totale e la destabilizzazione permanente dell’Eurasia: esplorare la via negoziale […] intavolare un negoziato fra Putin e Zelinsky”.
È indispensabile (ed urgente) che il mondo occidentale si impegni nel favorire questo negoziato, cominciando dall’indurre l’Ucraina (da tempo esistono stretti rapporti riservati con Kiev) ad essere disponibile ad accettare le principali condizioni di Putin per senso di realismo (dopo che disattendere il trattato Minsk2 ha favorito lutti e distruzioni). Il mondo occidentale ha il compito di convincere Zelensky che nel 2022 la libertà non si matura con l’emotività degli appelli a sua difesa evocando una sorta di guerra santa. Del resto, la libertà vive di conflitti democratici ma non è esportabile e deve essere fatta crescere nei luoghi in tensione. Ragion per cui i liberali debbono attivarsi per far sì che i comportamenti reali nelle relazioni tra nazioni differenti siano il meno possibile distanti quelli della libertà.
Un simile comportamento dell’Occidente è indispensabile ed urgente anche per incanalare i potenziali sviluppi pericolosi del sistema delle sanzioni economiche messe in campo finora. A parte il far crollare la globalizzazione come principio, è esatto quanto sottolinea l’Economist. Si può aprire una nuova era della guerra economica ancora di più divisiva dell’economia mondiale, siccome le sanzioni economiche robuste spingono all’autarchia e quindi alla chiusura dei mercati. Il che allontanerebbe troppi paesi dal sistema finanziario imperniato sull’Occidente, favorendo di certo la Cina, già oggi dedita attivamente a costruirne uno suo imperniato sul renminbi. E in generale, ridurre gli scambi è sempre un concreto atto a danno delle libertà.