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Una strategia italiana per l’Indo-Pacifico. Parla Formentini (Lega)

Intervista con il vicepresidente della commissione Esteri della Camera che ha presentato un’ordine del giorno impegnando il governo ad avviare una riflessione sulla posizione nella regione. Bisogna essere pronti alla sfida che “le politiche interne ed estere” della Cina rappresentano per i valori occidentali. Sul rapporto con Pechino, a tre anni dalla firma per la Via della Seta, promuove Draghi: “Ha inviato segnali di forte discontinuità”

Paolo Formentini, deputato della Lega e vicepresidente della commissione Esteri della Camera, ha presentato come primo firmatario un’ordine del giorno, approvato a larga maggioranza nei giorni scorsi a Montecitorio con il parere favore del governo Draghi, che impegna l’esecutivo “ad avviare una riflessione sulla posizione da adottare con gli Alleati Nato e Stati membri dell’Unione europea nei confronti del teatro indo-pacifico, in quanto anche connesso alle nostre aree di prioritario interesse strategico”.

Oggi (mercoledì 30 marzo, ndr) è iniziato in commissione Esteri della Camera l’iter della risoluzione presentata dall’onorevole Formentini a sostegno di quell’ordine del giorno.

Il ministero degli Affari esteri ha pubblicato a gennaio un documento sul contributo italiano alla strategia europea per l’Indo-Pacifico. Serve di più?

Serve una visione integrata dell’Italia nell’Indo-Pacifico, un documento onnicomprensivo che impegni il governo ad aumentare il personale nelle sedi diplomatiche, soprattutto negli uffici politici, stanziare maggiori risorse per i fori nella regione e promuovere una riflessione approfondita sulla sfida che le politiche interne ed estere della Repubblica popolare cinese rappresentano per i valori occidentali.

Dunque, un aumento della presenza diplomatica. Ma anche militare?

Nell’ultimo periodo abbiamo assistito a diverse esercitazioni nell’Indo-Pacifico, come la recente Balikatan, che ha visto impegnati Stati Uniti e Filippine. Dobbiamo lavorare affinché anche l’Italia possa prendere parte a queste esercitazioni. La Francia è una potenza dell’Indo-pacifico. Anche la Germania si è dotata di una visione per la regione. Ora serve una riflessione su cosa vuole essere l’Italia, che certamente ha il Mediterraneo allargato come area di riferimento ma non può escludere la presenza nell’Indo-Pacifico, dove si decidono il futuro dell’economia e quello della diplomazia.

Ha parlato di interessi economici. Quali sono le sue preoccupazioni?

L’Indo-Pacifico non è così lontano, basti pensare alle catene di approvvigionamento dei semiconduttori, con Taiwan leader del settore. La militarizzazione della regione da parte della Repubblica popolare cinese rischia di minare la libertà di navigazione per tutto il mondo. Ci sono, dunque, ragioni democratiche e ragioni economiche per difendere l’“Indo-Pacifico aperto e libero”, come lo indicano i nostri alleati statunitensi.

Guardando anche alla situazione in Ucraina, crede che siamo davanti a un confronto-scontro globale tra modelli, da una parte le democrazie e dall’altra le autocrazie?

Non c’è dubbio che prima questa fosse materia per gli studiosi, oggi invece è sotto gli occhi di tutti. Ma è sotto gli occhi di tutti ciò che noi, come mondo libero, stiamo facendo. La Cina, con la sua ambizione ad annettere Taiwan entro il 2050, osserva cosa fanno l’America e l’Europa sull’aggressione russa all’Ucraina. Anche per questo dobbiamo difendere una democrazia esemplare come Taiwan.

Da ormai qualche anno, dopo l’esclusione della Russia per l’annessione della Crimea del 2014 e in seguito alle sfide nell’Indo-Pacifico, circola l’idea di allargare il G7 trasformandolo in un’alleanza di democrazie. È arrivato il momento di procedere in questa direzione?

Sicuramente serve un coordinamento tra democrazie. Questa convergenza degli Stati liberi e democratici per arginare l’espansionismo e l’aggressività cinesi sta emergendo in maniera naturale. È stato riattivato il Quad, è nato l’Aukus, Australia e Giappone hanno firmato un accordo di accesso reciproco delle truppe ai rispettivi territori.

Chiudiamo sull’Italia. Non c’è stata molta attenzione sui tre anni, caduti la scorsa settimana, del Memorandum d’intesa sulla Via della Seta siglato con la Repubblica popolare cinese dal governo gialloverde. Sembra un’era geologica fa.

I tanto declamati vantaggi commerciali di quell’intesa, non li abbiamo visti. Abbiamo visto, invece, mire sulle nostre infrastrutture, porti e 5G in primis. Il governo Draghi ha inviato segnali di forte discontinuità, per esempio con l’utilizzo dei poteri speciali a più riprese. È senza dubbio una nota positiva a protezione di nostri asset strategici.



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