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Phisikk du role – Sedici marzo: Moro e l’indesiderata attualità

Quest’anno evocare quel drammatico evento significa mettere in campo questioni di dolorosa attualità. Questioni che hanno a che fare con lo stato di salute della nostra democrazia e dei principi che reggono gli Stati sovrani dell’occidente democratico e liberale

Abbiamo soventemente ricordato il rapimento di Aldo Moro e il feroce assassinio dei suoi uomini di scorta come il doloroso adempimento di una sorta di dovere gentile della memoria. Infatti se è vero che qualche volta il 16 marzo ha trovato echi drammatici restituiti dalla realtà incendiaria del terrorismo internazionale, più spesso, però, in questi 44 anni si è consumato come un galateo del ricordo, offerto talvolta alle nuove generazioni attraverso i filmati in bianconero delle teche Rai.

Quest’anno, invece, evocare quel drammatico evento significa mettere in campo questioni di dolorosa attualità. Questioni che hanno a che fare con lo stato di salute della nostra democrazia e dei principi che reggono gli Stati sovrani dell’occidente democratico e liberale.

Perché questa guerra maledetta e persino antica di Putin, che, come tutte le guerre (e forse ancora di più, attraverso l’acribia dell’orrore portata nelle case dai media), allaccia le sue radici semantiche al lemma terrore, si abbatte sulla platea disorientata dei cittadini europei, bloccati in un fermo-immagine di totale impotenza. Ed è proprio l’effetto che provoca l’atto terroristico: l’angoscia che visse l’intero popolo italiano in quel lontano 1978.

Un’angoscia in cui si intrecciarono due drammi: quello umano, dei cinque uomini assassinati a sangue freddo, delle loro incolpevoli famiglie e di Moro prigioniero per 55 giorni e poi destinato a fare la stessa fine; quello politico-istituzionale, dell’aggressione allo Stato di diritto, ai partiti che l’avevano edificato e vivificato, al popolo sovrano, condannati all’impotenza di fronte al ricatto del terrore.

A compimento di un mosaico di somiglianze il contesto: nel ‘78 la Guerra Fredda, con i tentativi del partito comunista di Berlinguer, il più importante del mondo occidentale, di tracciare una prima via emancipativa dall’Unione Sovietica attraverso il progetto dell’Eurocomunismo, condiviso con i comunisti francesi e spagnoli; oggi la Russia di Putin che torna a vivere suggestioni di egemonia in quel quadrante euro-asiatico che combaciava con la geografia politica zarista e poi comunista. Se si vuole persino quell’aura di antico, della violenza per nulla asettica e cibernetica di questa guerra uomo contro uomo, riconduce all’attentato di terroristi armati con armi da fuoco per un attacco di prossimità.

Ma, ancor di più delle mestissime analogie di contesto, c’è la comunanza di obiettivi: l’attacco al cuore della democrazia disegnata dalle costituzioni in cui si coniugano libertà e pluralismo, per affermare modellistiche autoritarie.

Sappiamo come andò 44 anni fa: una risposta di popolo, corale, partecipata, compatta, riuscì nell’ora più dura a sconfiggere, nel nome di Moro, un’aggressione vile e malvagia che aveva visto agire attori minori in uno psicodramma che forse aveva altre regie. E fu una risposta che rese onore allo statista pugliese, che di quella Costituzione democratica fu uno dei padri.

Come andrà oggi non lo sappiamo ancora. Possiamo solo sperarlo: non c’è l’Italia sola in questa nuova drammatica sfida allo stile di vita democratico dell’occidente, ma tutta l’Europa. Un convinto europeista come Moro avrebbe trovato le parole giuste per dire che è giunta l’ora di avere insieme, tutti e 27 i paesi sovrani, una sola parola ed una sola politica di difesa della nostra democrazia. Ne sono certo.



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