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Un Piano Marshall 2.0 per l’Est Europa. La proposta di Crolla (AmCham)

Tra pochi giorni, il 3 aprile, festeggeremo i 74 anni del Piano Marshall. Una data simbolica, ma anche vicina. Sarebbe bello se la storia si ripetesse con una Conferenza di Pace da tenersi lo stesso giorno per dare un futuro all’Ucraina, evitando di servirla su un piatto d’argento alla Cina e ai suoi progetti economici. L’intervento di Simone Crolla, consigliere delegato dell’American Chamber of Commerce in Italy

A quasi tre settimane dall’inizio del conflitto, che ormai è sempre più vicino alle porte d’Europa dopo il bombardamento al Center for Peacekeeping and Security di Yavoriv, appare chiaro che fornire armi all’esercito ucraino serve a guadagnare tempo. Nonostante il profondo spirito e amor di patria dell’esercito e del popolo ucraino, le forze in gioco sono impari. Uno degli obiettivi di Vladimir Putin era annichilire l’Ucraina, per la maggior parte rasa al suolo nelle sue aree più strategiche, con danni materiali che pare ammontino a decine, se non centinaia, di miliardi di dollari. E probabilmente la situazione peggiorerà nei prossimi giorni, se come sembra nelle ultime ore i russi vireranno i propri attacchi anche su Leopoli, motore economico del Paese.

Per quanto riguarda le sanzioni economiche, saranno sufficienti a fermare Putin? Attualmente, la Russia è un Paese sull’orlo del default. Rispetto alle sanzioni commerciali, storicamente poco efficaci e con effetti di lungo periodo, in questo caso riguardano i flussi finanziari, per cui è stata di fatto isolata l’economia russa dal mondo. È perfettamente calzante l’analisi di Nicholas Mulder, professore di Storia alla Cornell University, in una sua recente pubblicazione che ripercorre la storia delle sanzioni nel corso dei secoli: per la prima volta, con una rapidità e una portata senza precedenti, sono state imposte misure a uno Stato “non secondario” nello scacchiere internazionale (non come Iran, Venezuela, Corea del Nord, eccettera).

Sanzioni che sono state rilanciate anche privatamente dalle grandi corporation internazionali, da Apple a BlackRock, da Boeing a Microsoft, in prima linea nel disinvestire le proprie attività con Mosca, affossandone ulteriormente l’economia. Pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, sono state oltre 300 le grandi imprese che hanno deciso di lasciare la Russia. Una business diplomacy che evidenzia una posizione chiara, in protesta contro la guerra di Putin, comune alla stragrande maggioranza delle aziende occidentali (che nel frattempo, con encomiabile responsabilità, continuano a pagare gli stipendi ai loro dipendenti russi), da British Petroleum a Ferrari, da Ikea a Lego. È dunque saggia la posizione occidentale, che evita l’escalation bellica ed evidenzia come la Russia sia un gigante geopolitico, ma un nano economico, avendo il Pil pro-capite della Bulgaria e un’industria che si basa principalmente sull’export di materie prime (come nel caso dei Paesi più arretrati).

Tuttavia, non dimentichiamoci che Mosca potrebbe anche beneficiare, seppur parzialmente, del supporto economico della Cina, che in questo momento resta sullo sfondo. Probabilmente a Pechino non impazziscono per questa situazione, che ritengono essere prettamente europea. Anche per questo il presidente cinese Xi Jinping pochi giorni fa si è confrontato con l’omologo francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Tuttavia, nonostante non vogliano acuire ulteriormente le tensioni con l’Occidente, Pechino potrebbe trarre beneficio dalla situazione. Infatti, mentre le aziende statunitensi interrompono i propri business da Mosca a Vladivostok, secondo Bloomberg i cinesi sarebbero intenzionati ad aumentare le proprie partecipazioni in società russe del settore energetico.

Dunque, escludendo dagli scenari possibili un’impronosticabile e improbabile vittoria della resistenza ucraina e la fine, troppe volte annunciata in questi giorni, del regime di Putin, soprattutto per via di un golpe interno, quale potrebbe essere la strategia per porre fine al conflitto?

Al di là di quelle militari, astuzia e diplomazia sono le principali armi che abbiamo. D’altronde, appare evidente come la mediazione sia ormai l’unica via d’uscita. Senza umiliare la Russia e metterla necessariamente spalle al muro, cosa che comporterebbe certamente la tanto temuta Terza guerra mondiale. Diplomazia e necessari passi avanti da parte di tutti i leader mondiali, dal presidente statunitense Joe Biden a papa Francesco. Qualcosa si muove: oggi a Roma si incontrano il consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan e l’omologo cinese Yang Jiechi. Sullivan si confronterà anche con il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio Mario Draghi, l’ambasciatore Luigi Mattiolo. L’obiettivo è convincere la Cina ad assumere un ruolo più proattivo nel mettere fine all’aggressione della Russia in Ucraina e nel non assecondare eventuali richieste di supporto da parte di Putin.

Per giungere a una soluzione sarebbe lungimirante che le Nazioni Unite istituissero con un’apposita risoluzione una Conferenza di Pace paneuropea, bypassando il veto russo in Consiglio di sicurezza (come nel 1950 per la famosa Risoluzione 82, che invitava la Corea del Nord a cessare le ostilità e ritirare le proprie truppe dall’invasa Corea del Sud). La Conferenza dovrebbe prevedere il ritiro delle truppe in cambio del ritiro delle sanzioni, promuovendo un progetto di crescita, un Piano Marshall 2.0, per l’Est Europa che non ha ancora raggiunto uno sviluppo industriale pienamente maturo e una crescita economica condivisa (così come accaduto con i circa 1.300 miliardi di euro investiti in venti anni per assorbire nella Germania Ovest la scalcinata economia socialista della gemella dell’Est).

What are the sufferings? What is needed? What can best be done? What must be done?”, queste le parole pronunciate, durante il suo primo discorso alla Harvard University, da George Catlett Marshall, segretario di Stato e padre dello European Aid Program, noto appunto come Piano Marshall, concretizzatosi nella firma del presidente Harry Trum Truman il 3 aprile 1948. Una data simbolica, ma anche vicina. Per una volta, sarebbe bello se la storia si ripetesse con questa Conferenza di Pace da tenersi lo stesso giorno 74 anni dopo.

Probabilmente nessuno obietterebbe ad un sostegno per la ricostruzione dell’Ucraina, ma sarebbe opportuno finanziare la modernizzazione dell’intera area, evitando di servirla su un piatto d’argento alla Cina e ai suoi progetti economici. Queste risorse servirebbero a evitare nuove tensioni e assecondare un processo di vero ammodernamento e integrazione verso quel mondo liberale tanto auspicato dai Paesi di quest’area, nel rispetto delle specificità di ogni cultura e Nazione, senza inciampare negli errori del passato. A coordinare le operazioni potrebbero essere le Nazioni Unite, con il fine di favorire quella rivoluzione della dignità (ogni riferimento è puramente voluto) e del ritorno a quella pace che ha garantito stabilità e prosperità nel nostro continente negli ultimi settant’anni.

In conclusione, provo a mettermi nei panni di un giovane trentenne russo, cresciuto in un mondo globale, aperto, di possibilità e speranze per il proprio futuro. Ho sempre in mente le immagini dell’inaugurazione nel 1990 del primo McDonald’s in Russia: prima ancora dell’apertura delle porte, erano già 5.000 le persone allineate in attesa in Pushkin Square e in quella prima giornata furono addirittura 30.000 i clienti, con code dalla durata di 8 ore. Testimonianza concreta della voglia di Occidente dei russi. Da quel primo McDonald’s, ne sono stati aperti altri 850 nel Paese, tutti chiusi da martedì. Cosa ne pensano oggi quegli stessi russi, trent’anni dopo aver assaggiato il loro Big Mak, che sapeva di libertà, di un ritorno al passato? Guardate qui e giudicate voi.

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