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Putin perde la guerra. Ma solo quella dell’informazione

L’Occidente stravince la guerra dell’informazione e Putin, molto probabilmente, quella sul campo. Infatti, oggi prevale chi racconta la storia migliore, ma non va sottovalutata la rivincita della realtà. L’analisi di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria

Nel conflitto russo-ucraino stiamo vedendo la società della disinformazione nel suo massimo fulgore. È questa la mia idea e ritengo che, in ogni caso, non siamo pienamente consapevoli di quanto stia realmente accadendo. Premettendo che è inaccettabile risolvere le controversie con le bombe, Vladimir Putin molto probabilmente vincerà la guerra sul campo, ma ha già sicuramente perso quella dell’informazione.

È un discorso che parte da lontano. Già Polibio prima di Cristo evidenziava: “La verità è la prima vittima della guerra”. Infatti, non si può prescindere dall’emergenza educativa e democratica di questo tempo, che è rappresentata dalla disinformazione, poiché la manipolazione della realtà è un’arma connaturata a ogni conflitto.

L’opinione pubblica, durante la prima guerra mondiale è stata fortemente orientata, come spiega anche lo storico Marc Bloch. La Gran Bretagna organizzò una campagna di persuasione dei cittadini americani per renderli favorevoli all’intervento degli Usa nel conflitto; la seconda guerra mondiale è scaturita da azioni di palese disinformazione come il falso attacco di soldati polacchi a una postazione tedesca. E si è anche molto discusso sull’attacco giapponese a Pearl Harbor.

Alla seconda guerra mondiale seguì la guerra fredda combattuta attraverso la propaganda, e l’influenza culturale, la manipolazione dell’informazione e le spie. Oggi le cose non sembrano cambiate, anzi attraverso i social la situazione si è perfezionata, con gli algoritmi che monitorano ciascuno di noi.

A prescindere dalla vicenda, siamo in piena guerra dell’informazione che ha come punto d’arrivo la conquista della mente delle persone. È questo il campo di battaglia definitivo, con oltre il sessanta per cento della popolazione mondiale collegata a internet, che arriverà tecnicamente al cento per cento alla fine di questo decennio. Gli Usa hanno teorizzato già nel 1997 l’information dominance, esercitata grazie alla potenza dell’America nel cinema, delle arti, nei media, nell’informazione, nell’editoria e anche nella scienza, con università e premi Nobel.

È noto che i Servizi utilizzano il mondo dell’informazione e a riguardo esistono molte pubblicazioni, per esempio quelle di Aldo Giannuli; così come ci sono casi ben noti di giornalisti comprati, pagati dalla Cia, penso a quanto sostenuto da Udo Ulfkotte. Non a caso, l’intelligence Usa ha annunciato l’invasione dell’Ucraina alcuni giorni prima del 16 febbraio 2022, indicando anche la data esatta, che poi è slittata di fatto di una settimana.

Va, inoltre, rilevato che quello russo è un quadro plumbeo, con oppositori avvelenati al plutonio, come Aleksandr Litvinenko; politici arrestati, come Alexei Navalny; giornalisti ammazzati, come Anna Politkovskaja. Inoltre, il Cremlino è stato impegnato in 19 conflitti dal crollo del muro di Berlino e sulla sua attività di disinformazione nei Paesi Occidentali si dibatte costantemente, com’è accaduto anche in occasione delle elezioni presidenziali americane del 2016.

Così come va ricordato che non trascorre giorno nel mondo in cui non ci siano morti per guerra, poiché sono decine e decine i conflitti attivi in questo momento sul pianeta, e non ci sono morti più uguali degli altri.

Infatti, è sempre un problema di asimmetrie. Infatti, la globalizzazione richiede decisioni veloci, che le democrazie hanno difficoltà ad assicurare, mentre sono avvantaggiati i sistemi autoritari. C’è chi, come Daniel A. Bell, argomenta che i sistemi democratici in questo periodo storico sono incapaci di individuare élite pubbliche efficienti. Quindi in questa guerra si può intravedere anche lo scontro tra due diversi modi di selezionare le élite pubbliche. Con i risultati che sono di conseguenza.

Tutto, insomma, è da collocare nel giusto contesto. A cominciare dagli eventi che hanno preceduto l’invasione dell’Ucraina, da molti previsto, è che è la conseguenza di una realtà molto complessa, che non si può banalizzare.

Putin è spesso descritto come poco sano di mente, mal consigliato da generali che gli avrebbero prospettato una guerra-lampo, contrastato dall’intelligence, contestato dalla piazza e in procinto di essere sostituito per volontà degli oligarchi. Può anche essere così, ma può essere anche esattamente l’opposto. Inoltre, abbiamo assistito a notizie false sul bombardamento della centrale atomica di Zaporizhzhya a foto improbabili e superate, ad articoli non verificati.

L’anno di svolta nei rapporto tra Russia e Ucraina è il 2014, quando c’è stata la rivoluzione in Ucraina con la conseguente fuga del presidente filorusso Janukovic. In quello stesso periodo, Henry Kissinger dichiarava che l’Ucraina dovesse restare neutrale dalla Russia e dall’Ue. Nello stesso anno Lucio Caracciolo durante un’intervista rispose: “se non si risolve la questione ucraina adesso, quanto accaduto in Jugoslavia sarà al confronto un ricordo piacevole”.

Eventi come l’avvento dell’Isis, il terrorismo islamico in Europa, le elezioni in Usa e la pandemia hanno fatto passare tutto questo in secondo piano. Chi analizza i fenomeni in profondità senza guardare alla superficie sono gli storici. Franco Cardini, di cui è noto il pensiero critico verso gli States, ha sostenuto che Putin è stato provocato su tutti i fronti e Alessandro Barbero ha sottolineato che “l’identità russa è senza dubbio nata nella Rus di Kiev”.

In tutto questo qual è il ruolo dell’Italia? La posizione del nostro Paese contro il conflitto è chiara. C’è un grande coinvolgimento della popolazione, anche perché le parole di Papa Francesco toccano tutti. Eppure qualche settimana fa all’incontro con il presidente americano Biden c’erano i premier di Gran Bretagna, Germania e Francia, mentre quello italiano non c’era.

Però siamo nel blocco atlantico e la Costituzione italiana ripudia senza ombra di dubbio la guerra. Negli anni Cinquanta aderimmo alla Nato dopo un serrato dibattito parlamentare, con il Partito Comunista che alzava le barricate. La Dc assunse il ruolo di baluardo dell’atlantismo sebbene uomini come Moro, Fanfani e Andreotti, per non dire di Enrico Mattei, abbiano sempre coltivato un rapporto con l’est e il mondo arabo seguendo la linea di una certa autonomia pur nell’ambito delle alleanze, per poter tutelare gli interessi del nostro Paese.

E mentre i prezzi aumentano, a cominciare da quello dei carburanti, la Camera il 16 marzo 2022 ha approvato quasi all’unanimità un ordine del giorno per portare le spese militari da 25 a 38 miliardi l’anno”, pari al 2% del Pil. Vorrei ricordare che le spese per la ricerca sono un quarto di quelle militari.

Va notato che in Italia ci sono stati casi di forte contestazione riguardo a prese di posizione dissonanti rispetto alla contrapposizione del mondo occidentale con la Russia.  Abbiamo l’esempio della censura di Alessandro Orsini da parte della Rai o quello della cancellazione di un corso di letteratura russa su Dostoevskij alla Bicocca o, ancora, quello di Donatella Di Cesare che, per aver sostenuto che il popolo ucraino non si aiuta con l’invio di armi, è stata investita da un numero infinito di critiche.

Il sistema mediatico per sua natura amplifica la voce del padrone, mostra immagini di assembramenti nei supermercati o nelle stazioni di benzina, determinando il panico. E non va dimenticato che i nostri connazionali al 75 per cento non sanno comprendere un semplice testo nella nostra lingua e oltre il 26 per cento è analfabeta funzionale, per cui c’è profondamente da riflettere sulla natura della democrazia, e quindi del dibattito pubblico, nel nostro Paese.

In questo scenario, un ruolo importante, lo esercitano le società che gestiscono i social. Facebook e Twitter hanno bandito Trump mentre era presidente degli Usa in nome del politicamente corretto. È una manifestazione evidente della privatizzazione della politica, fenomeno non certo tranquillizzante.

In definitiva, si potrebbe sostenere che l’Occidente stravince la guerra dell’informazione e Putin, molto probabilmente, quella sul campo. Infatti, oggi prevale chi racconta la storia migliore, ma non va sottovalutata la rivincita della realtà. E quando tutto sembra accadere come un fulmine a ciel sereno è perché si sottovalutano i fatti. Ecco allora l’importanza dell’intelligence: capire i segnali deboli perché quelli forti li vedono tutti. Ma spesso conducono da un’altra parte. Infatti, per capire quello che sta realmente accadendo dovremmo sforzarci per essere lucidi perché, come ricorda Yuval Noah Harari “In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, il vero potere è sapere quali informazioni ignorare”.

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