Invadendo l’Ucraina, il Cremlino è riuscito a catalizzare il processo di decarbonizzazione europeo in meno di un mese. Tra chi ci ripensa sul nucleare e chi aumenta fondi e sforzi per le rinnovabili, ecco come i Paesi europei corrono per sganciarsi dai combustibili russi
Vladimir Putin sta rivoluzionando il panorama energetico europeo, ma non nella direzione che ha perseguito per lo scorso decennio. La sua invasione dell’Ucraina ha costretto l’Europa a fare i conti con la propria dipendenza dai combustibili fossili russi, e ha fatto sì che le capitali europee raddoppiassero gli sforzi per farne a meno e garantire la propria sicurezza energetica – che a sua volta deve combaciare con il processo di transizione.
Tutto questo – più il caro-energia, sempre sullo sfondo – sta comportando scelte dolorose, persino impensabili fino a poche settimane fa. Venerdì il Belgio ha fatto marcia indietro sul proprio piano di denuclearizzazione, caposaldo dei Verdi al governo. Annunciando che il ciclo di vita di due reattori sarebbe stato esteso di altri dieci anni, il premier Alexander De Croo ha detto che la scelta “rafforzerà l’indipendenza del nostro Paese dai combustibili fossili in un ambiente geopolitico turbolento”.
La ratio della scelta è evidente: al Paese serve una fornitura energetica stabile in fase di transizione, e secondo il think tank Ember abbandonare il nucleare avrebbe aumentato l’intensità carbonica di un quarto entro il 2030. Anche il governo della Repubblica ceca ha scelto l’atomo, facendo partire una gara d’appalto per la costruzione di una nuova centrale nucleare, mentre il premier britannico Boris Johnson ha incontrato i rappresentanti dell’industria lunedì per capire come accelerare lo sviluppo dei progetti.
Gli occhi degli osservatori si sono subito rivolti verso la Germania, dove la situazione non è affatto diversa da quella del Belgio: Verdi al governo, smantellamento delle ultime centrali rimaste in corso, avversione all’atomo talmente forte da far preferire la riaccensione delle centrali a carbone (che al 15 di marzo producevano il 36% dell’elettricità tedesca, secondo Entso-E). Gli esperti dicono che si possono salvare gli ultimi reattori, ma il governo – dove si registrano divisioni in materia – non sembra intenzionato a cambiare idea.
Berlino preferisce accelerare gli sforzi verso la generazione di elettricità rinnovabile. Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione il governo aveva già potenziato il piano per sovvenzionare la costruzione di pannelli solari, sia per uso domestico che su scala industriale, e la costruzione di parchi eolici. I tedeschi hanno anche deciso di bandire la vendita di auto a combustione interna dal 2035, un’altra svolta, e allocato 200 miliardi di euro per la protezione ambientale da qui al 2026.
Oltre alla Germania anche l’Italia, l’Olanda e il Regno Unito hanno deciso di accelerare drasticamente sul fronte dell’eolico. La Francia (già molto più indipendente e molto meno inquinante grazie al nucleare) ha bloccato le sovvenzioni per il riscaldamento a gas e aumentato quelle per le pompe di calore. L’Austria ha dichiarato che pomperà più denaro per la generazione di energia rinnovabile, solo una delle tante misure decarbonizzanti. Lo stesso vale anche per il resto dei Paesi europei, man mano che il continente risponde alle contingenze innescate dalla guerra in Ucraina.
Da parte sua, la Commissione ha presentato un piano – RePowerEU – che cerca di rispondere alla dipendenza russa con la diversificazione delle fonti e un’ulteriore spinta verso l’energia pulita. La scelta su quali contenuti adottare a livello europeo arriverà con il Consiglio europeo di fine settimana, a cui parteciperà anche il presidente americano Joe Biden.