L’art. 30 del DL 21, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 marzo, introduce una regolamentazione sulle materie prime critiche, in cui vengono inserite ex lege i rottami. Una novità che porta a qualche riflessione sistematica. L’analisi di Massimo Medugno
Dal 22 marzo l’esportazione fuori dall’Unione europea di rottami dovrà essere notificata. I rottami ferrosi, anche non originari dell’Italia, costituiscono materie prime critiche e la loro esportazione è soggetta all’obbligo di notifica. Lo prevede l’art. 30, comma 2 del Dl n. 21/2022 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 marzo e in vigore da ieri.
Si tratta di una Lista chiusa? No, l’art. 30 (Disposizioni in tema di approvvigionamento di materie prime critiche) prevede anzi che con decreto del presidente del consiglio dei ministri (Dpcm), su proposta del ministero dello Sviluppo economico e del ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, sulla base della rilevanza per l’interesse nazionale e del pregiudizio che deriverebbe dall’operazione, anche in relazione alla necessità di approvvigionamento di filiere produttive strategiche, sono individuate, le materie prime critiche, per le quali le operazioni di esportazione al di fuori dell’Unione europea sono soggette alla procedura di notifica.
Ma andiamo con ordine. Le imprese italiane o stabilite in Italia che intendono esportare, direttamente o indirettamente, fuori dall’Unione europea le materie prime critiche individuate tramite Decreto del presidente del consiglio dei ministri o i rottami ferrosi hanno l’obbligo di notificare, almeno dieci giorni prima dell’avvio dell’operazione, al ministero dello Sviluppo Economico e al ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale una informativa completa dell’operazione.
Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque non osservi l’obbligo di notifica è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30 per cento del valore dell’operazione e comunque non inferiore a euro 30 mila per ogni singola operazione. Le misure previste dall’art. 30 si applicano fino al 31 luglio 2022.
Ma esiste una definizione di le Materie Prime Critiche secondo l’ordinamento? Sì, ogni tre anni viene stilata ed aggiornata la lista di Crm (Critical Raw Materials) a livello europeo al fine di promuovere ricerca e innovazione, condurre trattative commerciali e attuare l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Due sono i criteri adottati dalla Commissione per definire la lista delle materie prime critiche: importanza economica e rischio di approvvigionamento per l’industria europea.
Ad oggi – lista del 2020 – sono 30 le Crm individuate tra cui Antimonio, Afnio, Barite, Bauxite, Berillio, Bismuto, Borato, Carbon coke, Cobalto, e le Fluorite, Fosforite, Fosforo, Gallio, Germanio, Stronzio, Tantalio, Terre rare leggere e Terre rare pesanti. Un tema, quello delle Crm, evidenziato nella Strategia per l’Economia Circolare (Sec) del Mite che era stata in consultazione fino al 30 novembre.
Ma l’ordinamento italiano vigente ci offre altri spunti, per certi versi inaspettati. Ad esempio l’art. 198 bis (che riguarda il Piano Nazionale di Gestione dei Rifiuti), comma 3 lett g) del Dlgs 152/2006 (Tu Ambientale) fa riferimento all“’individuazione di flussi omogenei di rifiuti funzionali e strategici per l’economia circolare e di misure che ne possano promuovere ulteriormente il loro riciclo.”
Qui si scrive di “rifiuti funzionali e strategici per l’economia circolare”, mentre nell’art. 30, comma 1 fa riferimento a “filiere produttive strategiche”. Basti pensare quanto avvenuto durante la fase più profonda della pandemia con la carenza di fibre cartarie da aprile 2020 per la fabbricazione di prodotti in carta. Il tema delle Materie Prime Critiche (o Strategiche) trova una sua piena valorizzazione nell’ambito della riorganizzazione delle catene di fornitura.
Ma la normativa ambientale, ci offre ulteriori spunti. Ad esempio, ancora quella in materia di rifiuti che è la più robusta. Il principio di autosufficienza per le Regioni secondo cui, per alcune frazioni di rifiuti, occorre avere una capacità adeguata a livello territoriale.
Quello di prossimità, che serve a indirizzare una ricaduta in termini di sviluppo sostenibile che dev’essere innanzi tutto nazionale ed europea (non si tratta di creare barriere all’export dei rifiuti, ma indicare delle priorità). In questo senso il citato Piano nazionale per la gestione dei rifiuti, previsto dalla normativa sui rifiuti più recente (Dlgs 116/2020), è certamente un punto di riferimento.
Fare pianificazione, significa contribuire, con adeguate infrastrutture, a creare un ambiente dinamico e innovativo, tipico del mercato. In questo modo le imprese, sia quelle che producono rifiuti siano quelli che li recuperano – grandi, medie e piccole – potranno svilupparsi e contribuire allo sviluppo sostenibile. Avere un sistema di gestione dei rifiuti più equilibrato, che tenga in considerazione le Materie Prime Critiche e Strategiche (l’art. 30 citato può essere un utile strumento in questa direzione, per superare fasi di tensione e di emergenza), significa anche far crescere l’economia circolare e contribuire in maniera effettiva alla rivoluzione verde.