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Perché la rete non perdona più Salvini. L’analisi di Carone

La politica italiana ci ha abituato a cambiamenti veloci e spesso in direzioni piuttosto bizzarre, e la pandemia non ha fatto che accelerare questa sensazione di smarrimento e di cesura tra il prima e il dopo. Eppure, la rete non perdona, e nonostante la Lega non sia l’unico partito italiano che abbia avuto legami con la Russia, con Putin e con il suo partito, al centro delle polemiche c’è quasi solo Salvini. L’analisi di Martina Carone

Ne parlavamo proprio su queste pagine, all’alba dell’anno nuovo: Matteo Salvini sembra impersonare sempre più il protagonista di quella ormai iconica vignetta tratta dal fumetto “Tintin”: quel capitano – malconcio, esausto – che si rallegra della fine della settimana, rifugiandosi nell’alcool; e che si sente rispondere, dal suo interlocutore (Tintin) un’amara constatazione: “Capitano, è mercoledì”.

Il “capitano” Salvini infatti da tempo incappa in una serie di scivoloni comunicativi, che minano quelli che molti – tra cui la sottoscritta – avevano indicato come punti di forza (non solo comunicativa) del leader leghista: la capacità di cavalcare l’onda dell’opinione pubblica, di dettare l’agenda, di imporre i suoi tempi, di creare occasioni mediatiche, di infilarsi negli spazi politici lasciati vuoti dagli avversari; la capacità, soprattutto, di adottare linguaggi e tecniche di comunicazione (anche e soprattutto digitali) che ne hanno enormemente amplificato il messaggio. Ad oggi, queste caratteristiche sembrano esserglisi rivoltate contro: e la scenetta – tragicomica – del sindaco polacco che sbugiarda Salvini a mezzo maglietta di Putin ne è solo l’ultimo esempio.

Ma forse, più che ad un’analisi sbagliata, questa spirale di autolesionismo è dovuta ad uno scollamento totale tra il “capitano” e l’opinione pubblica italiana che sembra ormai difficile da recuperare. E questo avviene per diverse ragioni.

Innanzitutto, Matteo Salvini è in difficoltà dal punto di vista politico. La sua leadership, dopo il boom della Lega alle Europee 2019 (34%), registra da tempo un calo costante: a livello di consensi ma anche di visibilità, minata dal sostegno al governo Draghi, che lo ha esposto allo scontento di chi invece lo avrebbe voluto all’opposizione, a condurre in prima persona alcune battaglie (come quella sull’introduzione del Green Pass, o quella contro la ministra Lamorgese) diventate ormai appannaggio e prerogativa di Giorgia Meloni; ma la sua leadership è minata anche e soprattutto dallo scontento interno al suo stesso partito, che assume varie forme: dall’iper governista Giorgetti (che alle comunali di Roma strizza l’occhio a Calenda invece del candidato ufficiale del centrodestra), e dai governatori leghisti, sempre più in difficoltà nel tentare di mantenere un equilibrio pressoché impossibile tra le responsabilità del governo locale e le pulsioni anti-sistema nazionali, coccolate da Salvini. Insomma, una situazione di difficoltà oggettiva, dovuta sia al cambiamento del contesto esterno sia, contemporaneamente, da alcune “teste d’ariete” all’interno della Lega.

In secondo luogo, Salvini fatica a modellare, come faceva un tempo, l’agenda politica e il dibattito pubblico, indirizzandolo verso ambiti in cui le sue posizioni ne farebbero l’interprete più credibile. Un tempo, la sua strategia di andare oltre il classico “sound bite” rafforzando le sue uscite con l’utilizzo persino del proprio corpo come canale di comunicazione indiretto (basti pensare alle felpe, alle divise, ai cappellini… elementi che, volenti o nolenti, avevano finora solitamente avuto risultati eccellenti, sintomo di un’ottima strategia) risultava efficace; ma oggi, in questa fase, si trova davanti una serie di complicazioni che hanno avuto l’effetto di rendere lo stesso Salvini distonico, nei toni e nei contenuti, rispetto al sentimento popolare e all’opinione pubblica.

La politica italiana ci ha abituato a cambiamenti veloci e spesso in direzioni piuttosto bizzarre, e la pandemia non ha fatto che accelerare questa sensazione di smarrimento e di cesura tra il prima e il dopo. Eppure, la rete non perdona, e nonostante la Lega non sia – va detto – l’unico partito italiano che abbia avuto legami con la Russia, con Putin e con il suo partito, al centro delle polemiche c’è quasi solo Salvini: le sue foto a Mosca mentre indossa la maglietta con il volto del presidente russo avevano fatto scalpore allora, e fanno –giustamente – tanto più scalpore oggi, dopo che Salvini si è scoperto “pacifista”, compiendo virate spettacolari con avvitamento carpiato rispetto al suo legame con Putin.

Ovviamente, la scelta di porsi come evangelico portatore di pace e serenità non l’ha aiutato nel ritrovare la perduta sintonia con gli italiani, anzi. Ma più che esultare per la legge del taglione (chi di maglia ferisce, di maglia perisce) questo episodio fa sorgere dubbi sulla capacità del leader leghista di porsi come interlocutore politico credibile: oggi Salvini è comunque l’ex vicepremier e ministro dell’Interno italiano, e un domani (se i sondaggi avranno ragione) potrebbe avere un nuovo ruolo apicale e di governo.

Tutto ciò induce a riflettere sul se (e quanto, e come) lo scontento interno alla Lega possa trovare un suo spazio oggi, in un momento in cui la leadership salviniana non è più in grado di interpretare lo spirito del tempo; e a chiedersi se l’assenza di nuove figure capaci di gestire il partito a livello nazionale possa essere un problema superabile per un partito che oggi registra poco meno del 20% dei consensi, e che quando Salvini indossava magliette col volto di Putin, valeva più del 30%.

Siamo costretti a chiederci, da ultimo, se la (brutta) figura di Salvini non abbia messo in difficoltà il nostro Paese, già minato dalle beffarde e taglienti uscite del presidente ucraino verso Mario Draghi, già messo in seconda fila al tavolo delle trattative europee.

Insomma: Salvini ha fatto una mossa scellerata, forzata, “boomerista”, confusa e goffa – al punto che vien da chiedergli “ma un suocero non ce l’hai, Matte’?”. Ma quel che resta non è solo una beffa ad un leader ormai in certificata difficoltà o la sensazione che la legge del taglione, oggi, abbia trovato applicazione. Restano anche, a conti fatti, grandi dubbi sul domani, dal punto di vista interno (Salvini riuscirà a governare e adottare finalmente dei sacrosanti toni istituzionali?) ma anche internazionale (riuscirà a non farci finire sui giornali di tutto il mondo, derisi e sbeffeggiati?). E infine, soprattutto: cosa resterà di tutto questo? Speriamo non solo qualche meme.


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