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Oltre le sanzioni, che fare in Europa e in Italia? Scrive il prof. Baldassarri

Conflitto russo-ucraino, dipendenza energetica e sanzioni. I conti che il governo ha presentato il 18 febbraio scorso, dopo il varo del terzo decreto caro-bollette, andranno sicuramente rivisti perché pre-invasione. E in peggio poiché il prezzo di gas e petrolio è già aumentato di un ulteriore 40%. Ma sia l’Europa sia l’Italia qualcosa possono fare. L’intervento di Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia

Dopo l’invasione e l’annessione della Crimea nel 2014, Putin ha ora detto che l’Ucraina è stata inventata da Lenin e Stalin e che comunque le provincie russofone dell’est sono russe. E come l’Urss ha fatto in Ungheria nel 1956 ed in Cecoslovacchia nel 1968, oggi Putin “è corso in soccorso” dei fratelli del Donbas per liberarli dal gioco dei cugini ucraini, attaccando però l’intera Ucraina a tutto campo, da nord, da sud e da est e dicendo che l’Ucraina è russa.

Questo non è il comunismo internazionalista dell’Urss, ma la grande madre Russia dei Romanov. Qualcuno potrebbe anche credere che Putin sia così sciocco da voler diventare il Nicola II del XXI secolo. In realtà è invece intelligenza, magari perversa, e lungimiranza, magari egocentrica. Per lui si tratta infatti di dare in pasto ai cittadini russi la Grande Russia per evitare il contagio della democrazia vera proveniente dall’Occidente europeo… sempre più vicino e sempre più sentito dagli stessi cittadini russi. Le manifestazioni di Mosca e San Pietroburgo e le migliaia di arresti sono segni evidenti di crescente malessere interno.

È come se noi italiani rivendicassimo oggi Nizza e la Savoia come terre “italiane” o come se l’Austria, qualche decennio fa, avesse invaso l’Alto Adige in soccorso dei fratelli del sud-Tirolo. E forse proprio la soluzione data alle provincie autonome di Trento e Bolzano  poteva un solido esempio storico da applicare all’Ucraina ed alle regioni russofone del suo est. Ma questo è per ora stravolto dalla guerra.

Dall’altro lato, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato completerebbe di fatto l’accerchiamento della Russia: Repubbliche Baltiche e Polonia a nord ovest ed Ucraina a sud-ovest.

È un vicolo stretto dove vogliono passare da una parte all’altra due larghi autobus: ciascuno entra a malapena nel vicolo, se si fronteggiano e pretendono di entrare entrambi lo scontro è inevitabile, con morti e feriti in tutti e due gli autobus. Con una differenza.

Putin, fino a quando ha alle spalle il suo regime autocratico, può permettersi di correre rischi e quindi è entrato nel vicolo stretto. Ed ora il vero rischio per Putin è interno. Fino a quando cioè gli oligarchi suoi amici e soprattutto il popolo russo e la sua crescente borghesia potranno continuare a sostenerlo?

L’Occidente e la Nato con le loro democrazie non possono permettersi gli stessi rischi, non entrano nel vicolo con i propri carri armati e adottano sanzioni.

Di fatto avrebbe potuto essere un confronto anche duro tra Russia ed Unione Europea, ma l’Europa non c’è, né politicamente, né militarmente. Il vuoto europeo viene quindi riempito da un fronteggiarsi da lontano tra la Russia che vuole ristabilire la sua egemonia sull’Ucraina almeno mantenendola neutrale e gli Stati Uniti, che guidando e pagando in gran parte la Nato, vogliono impedire che la Russia torni ad essere la grande madre Russia.

Premesso quindi che Putin è “l’invasore” e l’Ucraina “l‘invasa”, cerchiamo anche di capire da dove veniamo e dove vogliamo andare.

Per oltre venti anni l’Occidente (Stati Uniti ed Europa) ha compiuto enormi sforzi autolesionisti per offrire alla Cina la possibilità di cambiare la faccia geo-economica del mondo globale e dare alla Russia la tentazione di cambiare la faccia geo-politica d’Europa.

L’Occidente affonda le sue radici comuni nella Bibbia che parla di “un” peccato originale. Ebbene, in questi due decenni siamo riusciti a commetterne tre.

Il primo. Stati Uniti ed Europa hanno consentito l’ingresso della Cina nel WTO lasciandogli anche la facoltà di decidere politicamente il cambio del renmimbi.

Per venti anni la Cina ha accumulato 700 miliardi di dollari di surplus commerciale all’anno. Questo vuol dire che i soldi americani ed europei sono andati in Cina per comprare le loro merci. I cinesi hanno accumulato ingenti fondi sovrani e, con i soldi che gli abbiamo dato, sono tornati in America ed in Europa a comprare pezzi strategici del nostro sistema produttivo e del nostro sistema logistico ed anche pezzi importanti di Africa e di Sud America.

Il secondo. Di fronte alla globalizzazione il vecchio G7 non ha più potuto governare il mondo da solo rappresentando un terzo del mondo. Occorreva coinvolgere Cina, India, Russia, America Latina ed Africa in un nuovo G8. A Pratica di Mare apparve un timido G7+1, dove il +1 fu l’invito alla Russia di Putin. Negli anni successivi però, invece di integrare la Russia in Europa (ed in prospettiva anche nella Nato) l’abbiamo esclusa e circondata.

Il terzo peccato originale è esclusivamente europeo. Abbiamo costruito una politica energetica legata ai tubi del gas russo. Solo la Francia ne è fuori con le sue 58 centrali nucleari. La Germania ha rinunciato al nucleare e si è attaccata ai tubi del Nord Stream 1 e 2. L’Italia ha rinunciato al nucleare, ha rinunciato al gas nazionale, non ha fatto i degassificatori ed anch’essa si è attaccata ai tubi del gas russo. Solo per la lungimiranza di pochi, contro il parere di molti, il gas ci viene oggi anche dal South Stream direttamente dal Kazakistan.

Guardiamo anche ai numeri.

La Russia è un Paese con 144 milioni di abitanti e un Pil di circa 1600 miliardi di euro, pari a quello della Spagna, e con un Pil per abitante di 11.110 euro, meno della metà dei 25.000 euro di quello spagnolo e poco più di un terzo dei 27.000 di quello italiano.

La Russia è quindi una piccola-media economia determinante nel modo per le forniture di petrolio e gas. D’altra parte però, è un gigante mondiale dal punto di vista militare con uno dei più potenti eserciti e con oltre 4000 testate nucleari.

L’Unione Europea dopo la Brexit ha 450 milioni di abitanti con un Pil di 14.000 miliardi di euro ed un Pil per abitante di circa 28.000 euro. Quest’area però dipende fortemente dall’estero per le risorse energetiche e non ha un esercito ed una difesa comune. Un gigante economico, ma un nano politico-militare.

È evidente che tutto questo è avvenuto non per semplice stupidità dell’Occidente ma per una miope visione di breve-medio periodo attratta dalle possibilità di “fare affari” sia con la Russia che con la Cina. È mancata cioè una visione strategica di lungo periodo che permettesse di far capire che la prosperità degli affari di breve-medio termine era la strada verso la progressiva perdita di sovranità e potere nello scenario globale del ventunesimo secolo.

Paradossalmente, l’invasione russa dell’Ucraina è quindi una punta di iceberg che nasconde l’accumulo di miopia o l’accumulo di affari di breve termine. L’invasione cinese di Taiwan sarebbe anch’essa una punta di iceberg?

La guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina “poggia” tutta su questo squilibrio strategico-strutturale di tipo economico-politico-militare, portandoci tutti ad un tragico tiro alla fune. Da una parte, miliardi di dollari che scappano dalla Russia via computer. Dall’altra parte milioni di persone che scappano dall’Ucraina… anche a piedi.

L’impennata del prezzo del gas e del petrolio iniziata già nello scorso autunno ha pesantemente impattato sulla vita economica e sulla condizione sociale di famiglie ed imprese in tutta Europa.

In Italia, la dipendenza dal gas e dal gas russo in particolare è più alta che nel resto d’Europa. Pertanto, l’impatto sulle famiglie e sulle imprese italiane è già oggi più forte rispetto al resto d’Europa.

Tutti pensavano che il prezzo del gas sarebbe sceso nella seconda metà di quest’anno. Con l’invasione russa dell’Ucraina è invece aumentato di un altro 40%.

I conti che il governo ha presentato il 18 febbraio scorso dopo il varo del terzo decreto caro-bollette sono stati ovviamente riferiti alla situazione pre-invasione.

Il ministro Franco ha infatti precisato che il caro bollette ha pesato su famiglie ed imprese nell’ultimo trimestre 2021 per 22 miliardi di euro, nel primo trimestre 2022 per altri 22 miliardi e nel secondo trimestre 2022, se il prezzo di gas e petrolio fossero scesi, avrebbe pesato per 15 miliardi di euro. A fronte di questo il governo ha dato sostegni rispettivamente per 3,5, 5,5 e 5,8 miliardi. Questo vuol dire che famiglie ed imprese, dopo aver pagato 59 miliardi in più e dopo aver avuto circa 15 miliardi di sostegni, hanno subito un caro bollette “netto” pari a 44 miliardi di euro che pertanto costituiscono un minore potere d’acquisto delle famiglie che va a ridurre i consumi e risultati devastanti per molte imprese che saranno costrette a chiudere e che comunque fermeranno tutte le loro intenzioni di investimento.

Pertanto, con il caro bollette e prima della guerra, quella previsione di crescita del 4,5% nel 2022 si era già ridotta ad uno sperabile 2,5%.

Con la guerra questi conti vanno sicuramente rivisti in peggio poiché nel secondo trimestre di quest’anno il prezzo di gas e petrolio non scende ma è già aumentato di un ulteriore 40% e questi prezzi sono destinati a durare forse fino a fine anno. Per le famiglie e le imprese quindi si tratterà di un extra-costo di almeno 35 miliardi a trimestre, più di 100 miliardi a fine anno. Dopo la guerra e con l’ulteriore impennata dei prezzi dell’energia rischiamo quindi di tornare prossimi alla crescita zero. Ovviamente questa forchetta di previsioni dipenderà dalla durata e dall’esito della guerra, sia sul piano militare che sul piano geopolitico-strategico.

Come noto in queste condizioni Stati Uniti ed Europa hanno varato sanzioni progressive, che penalizzano come noto chi le riceve ma penalizzano anche chi le dà, per di più in modo molto diverso tra America ed Europa e tra Europa ed Italia.

Ma dopo le sanzioni, che altro fare? Due cose in Europa e due cose in Italia.

L’Europa deve rinviare di almeno tre anni il nuovo patto di Stabilità e raddoppiare il NGEU finalizzandolo esclusivamente a spese europee per la difesa nell’ambito dell’alleanza atlantica e per la realizzazione a tappe forzate di un piano energetico dell’Unione che porti al dimezzamento della dipendenza dall’estero in non più di dieci anni.

L’Italia deve, in primo luogo, provvedere subito con sostegni per circa 50 miliardi al caro bollette verificando sia gli extra profitti delle imprese che importano e distribuiscono gas e luce che con il caro bollette ci guadagnano, sia gli oneri di sistema per le fonti alternative, sia il peso del fisco. Fatto questo, se come probabile non basterà, occorre seriamente procedere con uno scostamento di bilancio adeguato, meglio se consentito dalla decisione europea di rinviare il nuovo Patto di Stabilità.

In secondo luogo, se prima del caro-bollette e se prima della guerra era comunque urgente varare le riforme strutturali in sei-sette mesi, dopo il caro bollette e dopo la guerra è necessario varare le riforme strutturali in sei-sette settimane, insieme al Piano Energetico Nazionale che abbiamo dimenticato di fare da oltre venti anni.



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