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Silenzio assenso. Le montagne russe di Pechino

Silenzio o assenso? L’invasione russa in Ucraina è un cruccio serio per la diplomazia cinese. Pechino assiste compiaciuta all’erosione dell’ordine liberale. Ma non è detto che voglia correre in soccorso di Putin. Il commento di Stefano Pelaggi

La Repubblica Popolare cinese viene costantemente indicata dai media come un possibile mediatore nel conflitto in Ucraina. Sino ad oggi la posizione di Pechino sull’invasione russa è stata poco chiara, per giorni i media istituzionali cinesi non hanno parlato dell’evento mentre le azioni diplomatiche della RPC sono state improntate a una cautela estrema, anche per gli standard della pacata diplomazia del Regno di Mezzo.

L’invasione russa è innanzitutto un dilemma per le aspirazioni revisionistiche della Repubblica Popolare cinese, un attore che ambisce a rovesciare gli equilibri di potenza globali deve necessariamente avere un ruolo in un conflitto che modificherà in maniera drastica i rapporti egemonici. La spinta revisionistica di Pechino, ossia la possibilità di modificare l’assetto del futuro, appare incompleta sia a livello strategico sia a livello immateriale. La capacità di organizzare un ordine internazionale percepito come legittimo da tutti gli altri attori è la condizione necessaria per le pretese revisionistiche cinesi. La possibilità di una mediazione nel conflitto ucraino rappresenta un’opportunità unica per le ambizioni di Pechino, ma i tempi non sembrano maturi.

Il nuovo ordine globale immaginato dal Partito Comunista cinese, basato su stabilità, benessere e relazioni armoniose tra le diverse nazioni sarebbe potuto partire dalla mediazione in Ucraina. L’equidistanza rispetto a una posizione sull’invasione russa, o più propriamente un vero e proprio equilibrismo tra molteplici interpretazioni, è una condizione che diversi analisti giudicano propedeutica al possibile ruolo da mediatore.

Ma il ruolo di mediatore è tipicamente svolto da un attore che non è esclusivamente un elemento neutrale ma può anche offrire delle condizioni vantaggiose per entrambe le parti coinvolte. L’esempio classico è quello degli Stati Uniti con gli accordi di Camp David che portarono alla pace tra Egitto e Israele sotto la guida della presidenza Carter, mentre la mediazione dell’Onu nel conflitto tra India e Pakistan rappresenta l’esempio del fallimento di una mediazione di un soggetto terzo e neutrale.

La Repubblica Popolare cinese ha dei rapporti dei rapporti molto sbilanciati con i due attori coinvolti, nonostante i continui riferimenti sui media al ruolo di Kyiv nella Nuova via della seta, l’Ucraina è molto lontana dalla proiezione cinese. Le relazioni tra Mosca e Pechino sono principalmente motivate dagli avversari comuni dei due attori. La Cina ha deciso di avvicinarsi alla Russia, che era stato un rivale strategico per decenni, sulla spinta della pressione dei paesi occidentali ma la dimensione economica non è un elemento rilevante per Pechino. L’interscambio commerciale tra Cina e Russia rappresenta per Pechino il 2,4% del valore commerciale globale, mentre per Mosca la RPC è esclusivamente un’importante fonte di sostentamento economico.

Al di là del ruolo nella mediazione il conflitto ucraino costruisce un vero e proprio banco di prova per le ambizioni di Pechino. La narrazione cinese è fortemente incentrata sull’idea della “potenza responsabile che persegue un’ascesa pacifica” e l’invasione russa in Ucraina ha messo in difficoltà il ruolo che la RPC aveva tentato di costruire in questi anni.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi in un colloquio telefonico con il Segretario di Stato Tony Blinken ha sottolineato la necessità di tutelare le vite umane, evitare una crisi umanitaria e si è appellato alle Nazioni Unite per proteggere la sovranità di tutte le parti coinvolte. Wang durante la telefonata ha poi “insistito sulla risoluzione pacifica delle controversie attraverso il dialogo”. Il colloquio, esplicitamente richiesto da Washington per chiarire la posizione ufficiale di Pechino, non ha risolto i dubbi statunitensi e la dichiarazione cinese di sostenere un’azione ispirata ai principi della Carta dell’Onu è di fatto una non risposta.

Il primo marzo lo stesso ministro degli Esteri della Rpc in un colloquio con la controparte ucraina Dmytro Kuleba deplorava il conflitto armato in corso. Un’espressione poi ridimensionata da Hu Xijin, l’ex direttore del Global Times – che è stato per anni l’alfiere della più assertiva propaganda cinese in Occidente – ha affermato che il termine deplorare andava decontestualizzato e i documenti ufficiali adesso contengono l’espressione “profondamente addolorata”.

La mancanza di una chiara presa di posizione di Pechino è l’ultimo atto dell’equilibrismo cinese sull’invasione russa in Ucraina. Pechino aveva già scelto l’astensione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di fronte a una risoluzione che condannava apertamente l’invasione russa. Mentre le reazioni dell’opinione pubblica cinese sembrano polarizzate, una situazione inedita in Cina, con i media della Rpc che sostengono in maniera decisa le azioni di Mosca. Mentre la blogsfera cinese, su cui il Partito comunista cinese mantiene un determinato livello di controllo per le questioni giudicate sensibili, si è apertamente schierata a favore della resistenza ucraina.

La reazione alla deflagrazione del conflitto ha mostrato l’impreparazione dell’ambasciata della Cina a Kyiv, che prima ha consigliato ai cittadini cinesi di mostrare adesivi con la bandiera della Rpc per mettersi in sicurezza. Una disposizione annullata dopo pochi giorni, per non mettere a rischio l’incolumità dei cittadini cinesi. Al momento dell’ingresso delle truppe russa nel territorio ucraino l’ambasciata cinese non aveva una lista aggiornata dei cittadini della Rpc e non aveva emesso nessun tipo di allerta. Mentre tutti gli altri paesi del Pacifico orientale avevano già lanciato numerose comunicazioni ai propri cittadini riguardanti i rischi di un imminente conflitto.

La debolezza della proiezione diplomatica di Pechino è stata sottolineata da diversi analisti, mentre la scarsa capacità degli uffici consolari cinesi mostrata dagli eventi in Ucraina era già ben nota, ma un fallimento sul palcoscenico globale in una mediazione internazionale significherebbe “perdere la faccia” per Pechino. Ossia mostrare una limitata capacità di influenzare la politica internazionale, in particolare le azioni delle grandi potenze.

L’erosione dell’ordine liberale di Washington è chiaramente l’obiettivo di lungo termine di Pechino e l’esposizione in uno scenario complesso come quello ucraino rischierebbe di svelare le fragilità della proiezione cinese, già evidenziate da un’azione diplomatica confusa e poco incisiva.


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