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Cos’è la spesa militare? Soprattutto ricerca, posti di lavoro, e innovazione

La spesa militare ci ha dato smartphone e forno a microonde, farmaci e missioni spaziali. Le armi? Anche, come quelle che oggi permettono all’Ucraina di resistere contro la brutale invasione russa. E poi il futuro della sicurezza è cyber: investire nella formazione di nuove competenze nel settore della difesa significa proteggere ospedali, gasdotti, centrali elettriche e telecomunicazioni

Andiamo oltre i sondaggi con domande contorte e cerchiamo di fare chiarezza sul tema della settimana: cos’è la spesa militare? Molti italiani pensano a una pioggia di euro con cui comprare missili e bombe. È vero, in parte si tratta di armi, alcune delle quali le stiamo inviando in Ucraina a un popolo che anche grazie al sostegno europeo riesce a difendersi da un’invasione brutale. Ma grandissima parte della spesa attuale, e futura, servirà per sostenere la ricerca italiana, non solo in campo bellico.

Dai programmi spaziali alla epi-pen (la penna per l’adrenalina), dai nostri smartphone al forno a microonde, decine di innovazioni che usiamo ogni giorno sono nate grazie alla ricerca militare, in particolare quella americana. Quando sogniamo la rivoluzione tecnologica europea, dimentichiamo che i grandi salti scientifici sono figli di progetti governativi sviluppati e finanziati dal Pentagono. Darpa, l’agenzia della Difesa Usa specializzata in ricerca, è l’ente al quale dobbiamo internet (che si chiamava ARPAnet) e centinaia di altre scoperte e brevetti.

E quando parliamo della nostra arretratezza nelle materie Stem (science, technology, engineering and mathematics) non possiamo ignorare che invece una delle nostre forze è proprio nella ricerca aerospaziale e cibernetica, che ha scopi militari ma anche importantissime applicazioni civili.

Tra le competenze più richieste oggi ci sono i tecnici della cybersecurity, gli scienziati dei dati, gli agenti di human intelligence, sia nel settore pubblico (l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha appena pubblicato un bando), che nel privato. Difendere ospedali, centrali elettriche, gasdotti, sistemi di telecomunicazioni è un compito (anche) delle nostre Forze Armate. Che hanno disperato bisogno di reclute esperte in questi campi, che con maggiori fondi potranno formarsi nelle università italiane e adottare tecnologie sviluppate dalle aziende presenti sul nostro territorio.

Lo stesso motore può essere montato su un missile o sul razzo che porta in orbita un satellite. Un elicottero per il salvataggio ha lo stesso “scheletro” di uno da combattimento. E così per le comunicazioni criptate: sviluppate per la sicurezza dei soldati, oggi sono una delle funzioni più richieste delle app di messaggistica che usiamo tutti i giorni.

L’Europa, parliamoci chiaro, è più minacciata da attacchi digitali alle infrastrutture critiche che da un’invasione da terra. Dunque gli investimenti nel settore della sicurezza avranno un effetto moltiplicatore anche per l’istruzione, i centri di ricerca, le agenzie pubbliche e il settore privato, che potrà beneficiare di un ecosistema forte e competitivo.

Ignorare gli impegni presi con la Nato ormai 8 anni fa non solo sarebbe un durissimo colpo per l’immagine e lo standing italiano in Europa e nel quadro atlantico. Ma ci condannerebbe ancora di più a un futuro fatto non di crescita e sviluppo ma di decadenza e assistenzialismo.

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